n.10 - autunno 2022

Edward Wilson: “Signore delle formiche”


del prof. Mauro Furlani

Sociobiologia, biodiversità ormai da diversi anni sono termini entrati nel linguaggio comune, talvolta usati in modo improprio, spesso in modo del tutto incompleto rispetto alla loro accezione scientifica corretta.

La convenzione Internazionale di Rio de Janeiro - 5 Giugno 1992 - riconosce la biodiversità come valore universale che richiede da parte dei paesi firmatari impegni tali da salvaguardarne il valore intrinseco nelle diverse articolazioni di cui è formata.

Molto più recentemente, l’8 Febbraio 2022, un po’ in sordina rispetto all’importanza del suo significato, il termine è stato introdotto nella nostra Carta Costituzionale ad integrazione dell’Art. 9. Parlamento e Senato, introducendo questo termine nella nostra Costituzione, in particolare nel Titolo primo, hanno voluto far propri quanto la Corte Costituzionale aveva già e in più circostanze sancito con varie sentenze estendendo il significato del paesaggio. Forse, una modifica così importante avrebbe dovuto richiedere un dibattito pubblico che al contrario non c’è stato. Ma questa è un’altra questione.

La multiforme varietà della vita sul nostro Pianeta da sempre è stata la risorsa a cui l’uomo ha attinto per millenni, e colpito l’immaginario collettivo destando interesse da parte di chi in passato come oggi ha colto nella ricchezza della vita motivo di ispirazione, di studio, di sostentamento, di giovamento spirituale oltre che materiale.

La diversità della vita era ben nota già dall’antichità; motivazioni pratiche e utilità quotidiana, hanno spinto le popolazioni all’acquisizione di conoscenze pratiche o per semplice curiosità, alla sua catalogazione.

Secondo quanto riportato da Ernst Mayr in Storia del pensiero biologico (1982), Aristotele cataloga solo 550 tipi di animali, mentre più tardi gli erbari rinascimentali riportano poche centinaia di tipi di piante.

Per molti secoli l’interesse per la determinazione della multiforme varietà dei viventi si concentrò sulle piante, soprattutto per gli aspetti legati agli usi terapeutici. In Italia la prima cattedra di botanica legata agli studi medici venne istituita a Padova nel 1533. Il primo sistema coerente di classificazione della vita si ebbe con Linneo che nel 1753 riporta in Species plantarum circa 6000 specie, mentre nel 1778 elencò circa 4000.

Pur inviando i propri allievi in ogni angolo del mondo a prelevare materiali biologici utili al suo rivoluzionario metodo di classificazione, il numero specie animali che egli stimava era di appena 10.000, non dissimile dal numero di piante.

Darwin, circa un secolo dopo, coglie più compiutamente la ben più ampia portata della diversità della vita. Nella sua principale e più nota pubblicazione “l’Origine delle specie” chiude il volume con la frase “ Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con le sue diverse forze, originariamente impresse dal Creatore in poche forme, o in una forma sola; e nel fatto che, mentre il nostro pianeta ha continuato a ruotare secondo l’immutabile legge della gravità, da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime, si sono evolute e continuano ad evolversi.”

Questa breve riflessione esprime tutto il suo stupore e la meraviglia per la grandiosità della diversità della vita. A Darwin tuttavia, per una più completa comprensione del termine diversità biologica mancava, il contributo di altre discipline maturate nel secolo successivo come la genetica e l’ecologia, e ancor più recentemente, la biologia molecolare.

Il termine biodiversità è stato introdotto molto più tardi grazie a due dei più influenti biologi del secolo scorso e di questa prima parte di quello che stiamo vivendo, Edward Wilson e Thomas Lovejoy.

Di recente, all’età di 93 anni Edward Wilson se ne è andato, lasciandoci in eredità non solamente alcuni termini entrati nel lessico comune, ma anche un grande contributo di idee, di filoni di ricerca in precedenza poco esplorati, oggetto di intensi dibattiti, studi specifici, oltre che confronti, talvolta scontri tra biologi evoluzionisti.

Nella lunga attività di ricerca, Wilson, oltre che di biodiversità, insieme a Robert McArthur nel 1963, si è occupato della biologia e della distribuzione delle specie nelle piccole isole fornendo un contributo fondamentale per la comprensione del significato di isola biologica e degli effetti sulla ricchezza specifica correlata alle dimensioni dell’isola.

Wilson e McArthur verificarono che la ricchezza di specie delle isole in tutto il mondo stà in una relazione costante con la superficie dell’isola. Una riduzione del 90% delle dimensioni di un’isola si traduce in una diminuzione del 50% della diversità biologica.

Come noto in biologia, il concetto di isola non si limita esclusivamente all’isola geografica; il termine si estende a tutte le aree geografiche isolate da altri contesti naturali e privi di collegamenti funzionali con essi.

In questo senso un’isola biologica, meglio, isolato biologico, può comprendere un lago, un lembo forestale circondato da ampie aree coltivate e non più connesso alla foresta principale, oppure aree sommitali delle montagne, le cui differenze climatiche dei fondovalle limitano lo spostamento di specie animali e in certa misura anche vegetali verso aree con condizioni ambientali analoghe a quelle di origine.

La teoria delle piccole isole è riconosciuta tutt’ora di straordinaria importanza applicativa in ecologia, in zoologia evolutiva e sistematica oltre che in campo conservazionistico. Pone, infatti, a coloro che si occupano di conservazione e gestione delle specie rare, localizzate o a rischio di estinzione, quesiti non semplici da risolvere. Quali sono le superfici minime e come calcolarle per garantire la conservazione di una specie, di una popolazione o di un intero ecosistema? Che sistemi di connessione risultano più efficaci per evitare un impoverimento specifico oltre che un deperimento genetico delle popolazioni che insistono in un certo isolato? Quali effetti possono arrecare alla conservazione di una specie o gruppi di specie la costruzione di una infrastruttura che interrompa la continuità di un ecosistema?

L’isolamento geografico causato dagli interventi dell’uomo sull’ambiente ha conseguenze negative sulle specie e sulle comunità, a causa dei tempi molto rapidi, in termini biologici, con cui le infrastrutture sono realizzate.

Nei ben più lunghi tempi geologici gli effetti di un isolamento geografico possono concorrere alla produzione di effetti ben diversi.

Marcello La Greca (1984) esprime in modo molto chiaro gli effetti positivi che la frammentazione degli habitat ha avuto nei tempi geologici recenti: la “frammentazione degli habitat e la loro riunione ha rappresentato un importante fattore di speciazione. Le frammentazioni plioceniche e pleistoceniche e i ponti insulari verificatesi a seguito delle fluttuazioni del livello marino conseguenti alle modificazioni climatiche ha rappresentato un importante fattore di spostamento di specie da contesti biogeografici diversi con insediamenti e processi di speciazione favoriti da lunghi periodi di isolamento.” Marcello La Greca faceva riferimento, nello specifico, all’Italia ma quanto affermato potrebbe essere esteso all’intero mediterraneo e ad ogni altro contesto.

Per rimanere in ambito regionale, è interessante citare, due endemismi, entrambi relitti glaciali, presenti il primo nel Lago di Pilato sui Monti Sibillini, a circa 2000 metri di altitudine, il Chirocephalus marchesonii, piccolo fillopode anostraco e una seconda specie separata da questa in un circo morenico nello stesso massiccio montuoso il Chirocephalus sibyllae. Entrambe queste specie sono state spinte verso sud dall’espansione glaciale Würmiana, successivamente insediate ed evolute come popolazioni distinte fino ad assumere il rango di specie distinte.

Sempre di origine glaciale è la piccola arvicola delle nevi Chionomys nivalis, piccolo roditore localizzato nelle cime più alte degli Appennini oltre che in modo disgiunto nelle Alpi.

Numerose isole hanno costellato il Mediterraneo nei periodi di innalzamento del livello marino; per contro la ritenzione di grandi masse d’acqua sequestrate nei ghiacciai continentali hanno prodotto istmi, ponti naturali, nuovi collegamenti e dato continuità ad aree geografiche in precedenza disgiunte. Queste grandi fluttuazioni climatiche plioceniche e pleistoceniche, accompagnate da una frammentazione degli habitat, hanno costretto molte specie a numerosi spostamenti e moltiplicato ciò che i biologi chiamano radiazione adattativa. La colonizzazione di nuovi habitat ha spinto molte specie a nuovi adattamenti e conseguenti isolamenti riproduttivi, condizione per lo sviluppo dei frequenti endemismi che popolano il Mediterraneo. Se l’area mediterranea è considerata un hot spot di biodiversità lo si deve oltre che alla sua posizione geografica anche alle vicissitudini climatiche degli ultimi due milioni di anni e ai ponti naturali instauratesi tra nord e sud del Mondo.

In anni più recenti l’idea di isolato è stato ripreso e studiato in contesti diversi compreso la frammentazione delle strutture forestali in ambiti estesi come nelle foreste equatoriali sud americane, fino ai nostri isolati forestali, patches, i cui paesaggi naturalizzati sono spesso frammentati.

Nel contesto italiano spesso le strutture forestali sono di medie e piccole dimensioni. A dare continuità e collegamenti biologici è il fitto reticolo idrografico, talvolta rivestito da una vegetazione naturale lineare che collega contesti ecosistemici separati.

Wilson evidenziò che non tutte le specie risentono nella stessa maniera della frammentazione; specie con una maggiore capacità di spostamento riusciranno a colonizzare rapidamente anche ambienti isolati e lontani dall’area di sorgente, altre, al contrario, impiegheranno tempi ben più lunghi o vi riusciranno affatto. Come facciano specie apparentemente prive di apparati locomotori efficaci a superare un tratto di mare oppure un lungo percorso aereo apre un capitolo di grande interesse e curiosità che ha catalizzato l’interesse anche dello stesso Autore. Le strategie sono spesso molto bizzarre e fortuite. Ma si sa, la natura ha inventato meravigliose bizzarrie!

L’Autore ripercorre la colonizzazione di quanto rimasto del vulcano Krakatau completamente ricoperto di ceneri e privo di qualsiasi forma di vita a seguito della devastante esplosione iniziata 27 agosto del 1883. Ebbene, appena nove mesi dall’eruzione una spedizione francese accompagnata da un naturalista trovò un piccolo ragno intento a tessere la sua minuscola tela, fiducioso che assieme a lui fosse arrivata anche una piccola preda. Da quel momento, piano piano, arrivarono altre specie veleggiando sospese in aria come i ragni o con mezzi casuali e di fortuna che le correnti marine o burrasche depositavano casualmente sulle spiagge.

Quanto sopra accennato è rimasto all’interno del dibattito di un ristretto numero di studiosi della biologia della conservazione.

Ben altra risonanza ebbe quello della sociobiologia il cui significato e campi di studio sono associati alla figura scientifica di E.O. Wilson.

La sociobiologia ha sollevato forti perplessità e alimentato un intenso dibattito non solo tra gli studiosi di biologia evoluzionistica e di etologia ma anche al di fuori dell’ambito strettamente biologico, tra psicologi, sociologi e intellettuali di diversa formazione.

Wilson probabilmente trasse ispirazione dallo studio e dall’osservazione del comportamento sociale delle formiche che occuparono gran parte della sua ricerca scientifica. Le strutture sociali molto complesse, la ferrea organizzazione interna, la formazione di caste rigide, la divisione dei ruoli, del lavoro e il sacrificio riproduttivo a cui gran parte delle formiche sociali erano destinate contribuirono a sollevare domande e interrogativi.

Egli fonda la sua teoria mutuando in parte l’organizzazione sociale, taluni comportamenti dell’uomo a quanto avevano da insegnare questi imenotteri. Il determinismo genetico che condiziona la struttura sociale e il comportamento individuale delle formiche, l’eusocialità, a suo parere poteva applicarsi in qualche maniera a tutti gli organismi, mammiferi compresi e perciò anche alla società umana e al comportamento individuale e collettivo.

Come spiegare, infatti, l’esistenza all’interno di queste società animali, di caste sterili in una sorta di altruismo estremo che sacrifica gran parte degli individui di una società dalla possibilità di riprodursi, a vantaggio di un solo individuo?

In una visione classica della selezione naturale la rinuncia di molta parte degli individui di una popolazione o di un gruppo sociale alla riproduzione apparentemente si configura come uno svantaggio evolutivo: numero minore di individui prodotti e minor contributo in termini di geni trasmessi alle generazioni successive.

L’altruismo, nei casi estremi sacrifica l’esistenza dell’individuo al bene della comunità. Questo comportamento, molto diffuso all’interno di specie come gli imenotteri sociali, non trova una adeguata spiegazione in una visione in cui l’individuo e la popolazione sono i soggetti principali del processo evoluzionistico.

Il valore adattativo dell’altruismo fu esplorato da altri autori tra cui W.D. Hamilton già dal 1964.

John Maynard Smith nel tentativo di dare una spiegazione a questo apparente paradosso introduce l’espressione: kin selection, selezione di parentela. La selezione di parentela agisce in misura proporzionale al grado di parentela. In sintesi la kin selection è tanto più attiva quanto maggiore è il livello di parentela e dunque il numero di geni condivisi. Ad esempio, in un bilancio complessivo, può risultare vantaggioso per una femmina di volpe accudire i suoi fratelli dell’anno successivo alla sua nascita e migliorare le loro probabilità di sopravvivenza, perché condividono con essa una parte numerosa dei loro geni. Il successo riproduttivo della propria madre e genitrice dei propri fratelli o fratellastri è anche un suo successo per la propagazione dei propri geni.

Il problema della selezione di individui che all’interno delle società animali si differenziavano mettendosi al servizio della comunità non sfuggì neppure a Charles Darwin; nell’Origine delle specie parlando di istinto.”....nella formica operaia abbiamo un insetto fortemente diverso dai genitori, eppure assolutamente sterile, per cui non potrebbe mai trasmettere ai discendenti modificazione della struttura e dell’istinto acquisito in seguito. E’ giusto chiedersi come si concili questo con la teoria della selezione naturale.”

La rinuncia istintuale alla riproduzione come spesso accade negli organismi che si organizzano in strutture sociali appare come un caso estremo di altruismo.

Nelle pagine successive Darwin non mette in alcun modo in dubbio la teoria della selezione naturale pur dovendosi confrontare con questa apparente contraddizione.

“Questa difficoltà, apparente insuperabile, si riduce o, come credo scompare se ricordiamo che la selezione può essere applicata alla famiglia, oltre che all’individuo, e quindi può ottenere in questo modo lo scopo desiderato.”

La teoria sociobiologica in una sintesi estrema tende ad estendere al comportamento umano quanto in natura è ben noto; si può ritenere che taluni comportamenti non solo sono il risultato di acquisizioni e modificazioni indotti dal condizionamento sociale, culturale, educativo, ma una componente del fenotipo comportamentale trasmesso attraverso le generazioni, così come avviene per ogni altro tipo di carattere. Estendendo questa analogia, si può pertanto affermare che se un comportamento umano ha un valore selettivo diverso rispetto ad un altro, questo carattere tenderà ad affermarsi nelle generazioni a discapito di altri che rimarranno meno diffusi all’interno della popolazione.

Come era facile attendersi l’estensione all’uomo di alcuni comportamenti relativamente diffusi in natura, compresi tra i nostri cugini più prossimi, gli scimpanzé, sollevò un intenso dibattito tra gli studiosi. Tra gli altri, particolarmente graffianti furono le critiche del paleontologo e grande divulgatore, Stephen J Gould oltre che di Richard Lewontin, anch’essi docenti presso la stessa Università di Harvard in cui lavorava Wilson.

Le maggiori critiche che vennero sollevate furono l’uso di un approccio riduzionistico del comportamento umano e dell’organizzazione sociale e un determinismo comportamentale estremamente pericoloso. Secondo i detrattori della teoria di Wilson i comportamenti umani sono epigenetici plasmati dalle condizioni sociali e da una organizzazione della società imperfetta ed esclusiva. “ Credo che i sociobiologi abbiano fatto un errore fondamentale nelle categorie. Stanno cercando la base genetica del comportamento umano al livello sbagliato”. Stephen J. Gould (2006)

La principale preoccupazione dei critici sembrava essere l'idea che la sociobiologia fornisse un alibi al mantenimento di pregiudizi, dell’ingiustizia sociale e delle disuguaglianze. Se vi è una scrittura genetica questa almeno in parte vanificherebbe il percorso verso una società più giusta e priva di pregiudizi.

Essi rifiutavano l’idea meccanicistica e riduzionistica che la sociobiologia, così come formulata, a loro parere avrebbe giustificando su basi genetiche ciò che al contrario trovava motivazione all’interno della cultura, dell’educazione delle contraddizioni economiche ecc. Stephen J Gould nella prefazione al volume Otto piccoli porcellini (2003), usa espressioni particolarmente sferzanti e parole addirittura offensive nei confronti di questa teoria “ come evitare i trabocchetti del determinismo biologico (e la sua infelice eredità nell’uso sociale) e la semplice stupidità della sociobiologia quando viene applicata nell’angusto modo adattamentistico e speculativo(...)” e ancora, in Intelligenza e pregiudizio (1998) dello stesso Autore il giudizio , e forse anche la semplificazione a cui ricorre non è meno severo “I sociobiologi hanno cercato, per esempio, un fondamento adattativo e genetico dell’aggressione, del rancore, della xenofobia del conformismo dell’omosessualità (...) Credo che la biologia moderna fornisca un modello che sta tra l’affermazione disperata che la biologia non ha niente da insegnarci sul comportamento umano e la teoria deterministica che gli aspetti specifici del comportamento sono programmati geneticamente dall’azione della selezione naturale.”

Sostenere che alla base di taluni comportamenti umani vi sia un substrato adattativo non significa di per sé che sia la base genetica predeterminata a guidare scelte sociali o comportamenti individuali. Se scivolassimo in questa conseguenzialità commetteremmo un grave errore che lo stesso Wilson certo non prevedeva e neppure alludeva nel suo lavoro. Non vi sono geni che presiedono all’altruismo o all’aggressività o, utilizzando un’iperbole al razzismo. Lo sviluppo del comportamento risiede nell’interazione continua tra la genetica dell’uomo, il suo percorso evolutivo, le condizioni sociali, culturali, storiche ecc.

Wilson con la sua lunga attività scientifica ha dato un contributo fondamentale per la comprensione degli aspetti più complessi controversi e coraggiosi della biologia evolutiva, aprendo nuove strade e soprattutto stimolando nuovi confronti.

Wilson sviluppa tutta la sua attività di ricerca in un secolo in cui è acquisito il ruolo centrale dell’evoluzione per una lettura dei fenomeni biologici. Con la genetica, la biologia molecolare vengono meno anche taluni inibizioni che riguardano l’interpretazione della breve storia evolutiva dell’uomo. Questa consapevolezza non ha alcun valore giustificativo dei comportamenti umani che sono interamente a carico della sua capacità di scelta.

Il procedere scientifico è fatto anche di azzardi intellettuali, di sassi lanciati lontano i cui effetti potranno influenzare in misura diversa in funzione alla capacità di attirare altre ricerche e aprire settori inesplorati, corse in avanti e lenti ritorni indietro. In questo senso, la parte più controversa del lavoro di Wilson, la sociobiologia, ha avuto il merito di aprire un varco coraggioso all’interno di un settore ancora poco esplorato.


Note bibliografiche

Alcock J., 2000 Etologia un approccio evolutivo. Zanichelli

Darwin C., 1859., L’origine delle specie. Varie edizioni

La Greca M., 1984. Le origini della fauna italiana. Le Scienze, 187: 66-79

Mayr E. 1982., Storia del Pensiero Biologico. Bollati Boringhier

Gould S. J.1998., Intelligenza e pregiudizio. Il Saggiatore

Gould S.J. 1993., Otto piccoli porcellini. Il Saggiatore

Wilson O. E. 2020., Le origini profonde delle società umane. Raffaello Cortina Editore

Wilson O.E. 2009., La diversità della vita Per una nuova etica ecologica. BUR Rizzoli

Wilson E.O. 1999., L’armonia meravigliosa. Mondadori Saggi

Sitografia

https://pikaia.eu/ci-ha-lasciato-e-o-wilson-mirmecologo-naturalista-divulgatore-e-peso-massimo-della-biologia-evoluzionistica/

https://www.doppiozero.com/materiali/le-origini-profonde-delle-societa-umane