EFFETTO FARFALLA
“Si dice che il minimo battito d'ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo”. Questa frase proviene dal film “The Butterfly Effect” ed esprime come un piccolo cambiamento può far accadere cambiamenti molto più grandi. É un concetto derivato dalla “teoria del caos” e nonostante possa fare paura, riflette la nostra realtà. In questo modo si fa riferimento allo stretto rapporto fra le azioni che compiamo nel presente rispetto a quello che deve ancora accadere. É una teoria astratta che ci permette di riflettere su quanto una piccola azione possa apportare cambiamenti anche piuttosto importanti.
Può essere una vera e propria opportunità per le nostre vite, perché ci consente di apprezzare maggiormente il tempo che abbiamo a disposizione e di valutare le azioni che compiamo durante le nostre giornate, dando loro un peso maggiore, perché ogni cosa che diciamo o mettiamo in atto ha un impatto fondamentale su quello che ci circonda. Per esempio, anche solo un semplice ritardo di pochi minuti può fare la differenza tra prendere o perdere un treno, con ripercussioni sulla giornata o sull’intera vita. L’effetto farfalla ha ripercussioni persino in ambito medico e storico:
•La scoperta della penicillina: nel 1928, Alexander Fleming scoprì per caso il primo antibiotico quando una muffa contaminò una coltura batterica. Questo incidente portò a salvare numerose vite.
•L’innesco della Prima Guerra Mondiale: nel 1914, l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria fu assassinato a Sarajevo a causa di una serie di eventi casuali, tra cui un errore di percorso dell’automobile su cui viaggiava.
L’effetto farfalla, quindi, dimostra che viviamo in un mondo imprevedibile, dove ogni piccola azione può avere conseguenze inaspettate.
SOFIA MIGLIARBA 1^D
GLI EFFETTI DELLA MUSICA NEL CERVELLO
La musica è parte integrante della vita dell’uomo, ci permette di comunicare ed esprimerci mettendoci in relazione con il mondo esterno, ma anche con la nostra interiorità. Ci è utile fin dalla comparsa dei primi ominidi che, ancor prima di cimentarsi nell’articolazione di fonemi, adottavano una comunicazione basata sul canto, modulando il tono e la durata di alcuni suoni. Le implicazioni della musica nella nostra quotidianità hanno catturato l’attenzione di diversi campi della scienza che adesso indagano i suoi effetti in relazione all’anatomia, al funzionamento del nostro organismo, alle funzioni cognitive.
Le neuroscienze, così come la psicologia e la neurologia, hanno condotto degli studi giungendo a risultati sorprendenti, la musica infatti ci influenza più di quanto appare.
L’ascolto o la produzione di melodie infatti attiva zone dell’encefalo non direttamente collegate all’ascolto, come la corteccia cerebrale frontale dove giungono gli stimoli motori per i quali vengono elaborate risposte poi inviate agli organi effettori. La musica è anche collegata al linguaggio, possiamo individuare fisicamente questo legame nell’area di Broca, situata nella corteccia prefrontale, deputata alla produzione del linguaggio. Un danneggiamento di quest’area comporta non solo difficoltà nel linguaggio fluente ma anche AMUSIA ovvero incapacità di produrre musica e di distinguere i generi musicali.
Gli effetti benefici della musica si riscontrano principalmente nella NEUROPLASTICITÀ e nella sinaptogenesi, due processi che consistono nella formazione di nuove connessioni neuronali grazie all'aumento del numero di neuroni e di sinapsi, fenomeno che fino a poco tempo fa era considerato impossibile. Dunque i musicisti avranno un maggior numero di collegamenti neuronali a cui è legato l’aumento di volume di alcune zone della corteccia cerebrale motoria e del cervelletto. Anche il corpo calloso, che ha funzione di collegare le parti corrispettive dei due emisferi, risulta più sviluppato negli individui che suonano uno strumento, principalmente nella parte anteriore che unisce le zona motoria destra e quella sinistra. Le variazioni della corteccia motoria dipendono da vari fattori; diversi studi hanno dimostrato come siano connesse all’esercizio, infatti la differenza di volume si percepisce anche notevolmente tra i musicisti professionisti che dedicano quotidianamente ore allo studio, e i musicisti amatoriali meno assidui. Un altro fattore è l’età di inizio della pratica, specialmente sotto i 7 anni si notano cambiamenti più evidenti e rapidi che andando avanti con l’età sono sempre più lenti e meno incisivi. Confrontando encefali di musicisti e non si è rilevato che le differenze più marcate sono nelle zone associate agli arti non dominanti, che per i musicisti devono raggiungere le stesse prestazioni del corrispettivo dominante, da cui devono essere indipendenti. Inoltre gli studi evidenziano come questi fenomeni siano più evidenti mettendo a confronto uomini piuttosto che donne a causa della migliore coordinazione che le seconde possiedono geneticamente.
Dal punto di vista evoluzionistico la musica può determinare un quoziente intellettivo maggiore ma può anche avere effetti dannosi. Infatti l’ascolto della musica fin da neonati permette lo sviluppo di capacità che hanno riscontri positivi anche nei processi cognitivi, ad esempio bambini che praticano musica nella fascia dai 4 ai 6 anni sono agevolati nei compiti che richiedono memoria a breve termine. L’esposizione prolungata e intensa a certi tipi di musica invece è considerabile nociva per gli stati fetali, durante i quali è consigliato l’ascolto di musica secondo i gusti della madre per favorire il rilascio di endorfine che giungono anche al feto. Infatti alcuni generi musicali a un volume elevato potrebbero risultare dannosi perché provocano un’interruzione della fase quieta del sonno del feto, durante la quale avviene il massimo sviluppo embrionale. Inoltre la piacevolezza dell’ascolto musicale è sfruttata a scopi terapeutici, la musicoterapia infatti, è adottata sia per disturbi psicologici ma è anche introdotta nelle terapie della demenza senile. Esposizione a certi motivi musicali può infatti riportare alla memoria alcuni ricordi passati in pazienti affetti da tale patologia.
Pertanto, anche grazie a questi studi scientifici, bisogna riconoscere l’importanza che quest’arte ha nel corso della nostra vita, e non solo in una dimensione individuale, al fine di riconoscere le sue potenzialità e sfruttarle al meglio per il benessere personale e collettivo.
DILETTA MARIA MANISCALCO 4^B
Nel 1831 un fenomeno straordinario colpì diverse regioni del mondo: il sole appariva di un insolito colore blu o verde, suscitando stupore e preoccupazione tra la popolazione. Questo evento, noto come il "Sole blu del 1831", è stato oggetto di numerose interpretazioni, sia scientifiche che folkloristiche. L’anno 1831 fu segnato da importanti eventi storici e naturali. Tra questi, l’eruzione del vulcano Ferdinandea nel Mar Mediterraneo e l'attività di altri vulcani in diverse parti del mondo. Le eruzioni vulcaniche sono note per il loro impatto sull’atmosfera terrestre, rilasciando enormi quantità di polveri e gas che possono alterare la percezione della luce solare.L’eruzione del Ferdinandea fu solo una delle manifestazioni di un’intensa attività geologica che caratterizzò il XIX secolo. Nel corso degli anni precedenti e successivi, si verificarono eruzioni importanti che contribuirono a fenomeni climatici insoliti. Gli scienziati di oggi ritengono che l’effetto combinato di queste eruzioni possa aver avuto un impatto significativo sull’ambiente globale.Il Sole blu si verifica quando particelle sospese nell'atmosfera diffondono selettivamente la luce. Normalmente, l’atmosfera terrestre disperde la luce solare in modo da far apparire il cielo blu e il Sole di un colore giallo-arancio. Tuttavia, se nell’aria vi sono particelle di una specifica dimensione, come cenere vulcanica, polvere o aerosol, la luce rossa e arancione viene bloccata, permettendo solo alle lunghezze d’onda blu e verdi di passare. Questo porta a un Sole che appare bluastro o verdastro, un fenomeno raro ma documentato in più occasioni. Nel 1831, l’eruzione del vulcano Ferdinandea nel Mediterraneo fu accompagnata da emissioni di cenere e gas nell’atmosfera. Ma non fu l’unico evento vulcanico di quell’anno: eruzioni furono registrate anche in altre parti del mondo, tra cui l’Indonesia e le Filippine. La combinazione di questi eventi potrebbe aver saturato l’atmosfera con particelle in grado di modificare la diffusione della luce solare, portando alla percezione del Sole blu in diverse aree.È interessante notare che, all’epoca, le conoscenze scientifiche sul fenomeno erano limitate, e molte persone attribuirono l’evento a cause soprannaturali. Alcuni giornali dell’epoca riportarono teorie che legavano il Sole blu a profezie apocalittiche o a segni divini, suscitando grande paura tra la popolazione.Cronache storiche riportano osservazioni del Sole blu in Europa, America e Asia nel corso del 1831. Alcuni testimoni descrissero un Sole che appariva quasi irreale, con tonalità azzurre e verdi, mentre altri riferirono di tramonti insolitamente colorati. In molte culture, il fenomeno fu interpretato come un presagio di eventi straordinari, alimentando credenze popolari e teorie apocalittiche.Un resoconto dettagliato proveniente dalla Francia descrive come il Sole sembrasse più piccolo e meno brillante del solito, mentre in alcune zone degli Stati Uniti si parlava di un cielo quasi surreale, con una luminosità diffusa che alterava la percezione del paesaggio. Alcuni scienziati dell’epoca tentarono di spiegare il fenomeno attraverso esperimenti ottici rudimentali, ma senza strumenti adeguati non fu possibile giungere a una conclusione definitiva.Gli scienziati moderni ritengono che il fenomeno del Sole blu del 1831 sia stato un chiaro esempio di come le eruzioni vulcaniche possano influenzare l’atmosfera e la percezione visiva del Sole. Eventi simili si sono verificati anche in epoche più recenti, come dopo l’eruzione del Krakatoa nel 1883 e quella del Monte Pinatubo nel 1991, entrambe responsabili di effetti ottici simili.Oltre agli effetti visivi, questi eventi possono avere conseguenze climatiche più ampie. Ad esempio, la cenere vulcanica e gli aerosol rilasciati nell’atmosfera possono portare a un temporaneo raffreddamento globale, riducendo la quantità di radiazione solare che raggiunge la superficie terrestre. Questo fenomeno è stato osservato dopo le grandi eruzioni storiche e potrebbe aver avuto un ruolo anche nel clima del XIX secolo.Il Sole blu del 1831 rimane uno degli esempi più affascinanti di interazione tra fenomeni geologici e atmosfera. Grazie agli studi scientifici, oggi possiamo comprendere meglio questi eventi, riconducendoli a cause naturali e non a eventi sovrannaturali, come si credeva in passato. Tuttavia, il mistero e il fascino del Sole che cambia colore continuano a catturare l’immaginazione delle persone, ricordandoci quanto il nostro pianeta sia dinamico e imprevedibile.La storia del Sole blu del 1831 dimostra come la scienza continui a evolversi, permettendoci di dare risposte sempre più precise a fenomeni che un tempo sembravano inspiegabili. Ancora oggi, gli scienziati studiano l’atmosfera e i suoi effetti sulla luce per comprendere meglio questi eventi e prevedere le loro conseguenze sul clima globale. Il legame tra attività vulcanica e cambiamenti atmosferici è un campo di ricerca fondamentale, che potrebbe aiutarci a comprendere meglio il futuro del nostro pianeta.
CARMELA SARPONG ANANE 2^BA
In Cina si registra un incremento dei casi di infezioni respiratorie dovute al metapneumovirus umano (HMPV), un virus conosciuto sin dal 2001 ma che, in questo inverno, sta attirando nuovamente l’attenzione degli esperti della sanità pubblica. L’HMPV, responsabile di sintomi che spaziano da lievi raffreddori a forme più gravi di infezioni respiratorie, è noto da decenni. Tuttavia, il recente aumento dei contagi, soprattutto nelle regioni settentrionali del Paese, ha sollevato preoccupazioni, in particolare per le fasce più vulnerabili della popolazione. Neonati, anziani e soggetti con un sistema immunitario compromesso sono infatti a maggior rischio di sviluppare complicanze serie.Il virus, che solitamente circola in concomitanza con altri patogeni respiratori durante la transizione, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, colpisce la maggior parte dei bambini almeno una volta entro i primi cinque anni di vita. Gli esperti sottolineano che, pur essendo parte del consueto mix stagionale di agenti infettivi, la natura dell’HMPV ne complica il monitoraggio e la rapida identificazione, rendendo la gestione dei focolai una sfida per le autorità.
Ma come possiamo prevenire questo virus?
A differenza del coronavirus, che ha scosso il mondo con la pandemia di Covid-19, l’HMPV non richiede misure straordinarie. Le strategie di prevenzione – come l’igiene delle mani, l’uso di mascherine in ambienti a rischio e il mantenimento di distanze di sicurezza – si sono dimostrate efficaci per contenere la diffusione del virus. Tuttavia, il fatto che l’HMPV sia meno tracciabile rispetto ad altri virus respiratori evidenzia l’importanza di una vigilanza costante e di un sistema di sorveglianza efficiente.Le autorità sanitarie cinesi, pur monitorando attentamente la situazione, hanno rassicurato la popolazione: il sistema sanitario non è al momento sovraccarico e non si prospettano emergenze. La situazione, sebbene da tenere sotto controllo, rientra nei parametri stagionali attesi per questa parte dell’anno.
E parlando di uno sguardo al futuro?
L’attuale incremento dei casi di HMPV non è indicativo di una nuova minaccia sconosciuta, ma ribadisce quanto sia cruciale mantenere alta l’attenzione anche verso virus già noti. La storia insegna che, in un contesto in cui le infezioni respiratorie stagionali si alternano di anno in anno, la preparazione e l’adozione di misure preventive mirate sono strumenti fondamentali per proteggere le fasce più deboli della popolazione.
Mentre la comunità internazionale osserva con interesse l’evolversi della situazione in Cina, gli esperti invitano a non sottovalutare mai l’importanza della prevenzione, ricordando che, anche se il nemico è vecchio, la sua capacità di ripresentarsi richiede sempre una pronta e coordinata risposta.
MICHELA MARFIA 4^CA
SOPHIA SORTINO 2^CA
Quante volte ci è capitato di fare dei gesti involontari durante le discussioni di tutti i giorni? Tutti questi sono segnali non verbali che il nostro corpo utilizza per comunicare, spesso inconsciamente. Quando si parla, invece, si utilizza un linguaggio verbale, forma più universalmente riconosciuta. Il linguaggio verbale, se usato correttamente, permette a chi parla di esprimere pensieri complessi, concetti astratti e dettagli specifici, i quali vengono precedentemente elaborati con cura dal nostro cervello. Questo tipo di linguaggio si divide in due principali categorie: linguaggio orale, che, come dice il termine stesso, è caratterizzato dalla nostra voce e il linguaggio scritto, definito dai caratteri scritti.
Merita attenzione anche il cosiddetto linguaggio paraverbale, costituito da tutti gli elementi della comunicazione verbale che non sono parole in sé, ma che influenzano il modo in cui le parole vengono percepite: il tono di voce, l'enfasi, pronuncia, il ritmo, le pause, le risate, il silenzio ed altre espressioni sonore.
Per renderci conto di come la comunicazione paraverbale influenzi le nostre relazioni quotidiane, sfrutteremo degli esempi comuni:
- il ritmo: più veloce se vogliamo sottolineare qualcosa, mentre, se vogliamo approfondire un argomento, è più scandito e con delle pause brevi, per catturare l'attenzione del nostro interlocutore;
- il tono e il volume della voce: quando siamo arrabbiati o non accettiamo il nostro interlocutore, alziamo la voce per cercare di sopraffarlo. Un tono basso, invece, attira l'attenzione e sembra più serio. Un tono acuto può infastidire chi ascolta e mostra insicurezza;
- il timbro: fa notare quanto crediamo in quello che diciamo e, così, anche la nostra sicurezza;
- il silenzio: quando siamo soli, può essere pesante o rilassante. Con gli altri, una pausa di silenzio può mostrare riflessione, calma e determinazione.
Ritornando al linguaggio non verbale, esso è normalmente costituito da espressioni facciali, gesti delle mani e postura e, come è stato detto, spesso si manifesta senza che noi ce ne accorgiamo.
I segni più identificativi del linguaggio non verbale.
- le gambe o le braccia incrociate trasmettono un segno di chiusura dell'interlocutore, il quale non è aperto ai messaggi che gli vengono rivolti;
- il sorriso, se accompagnato da alcuni tratti, come il movimento degli occhi che forma delle "rughette" e un'apertura del corpo, si può considerare "vero", caso contrario, viene considerato "falso";
- lo sguardo, se è diretto, indica interesse, a meno che non sia prolungato, nel qual caso può essere minaccioso. Evitare il contatto visivo può indicare che la persona è in ansia, prova imbarazzo, cerca di nascondere qualcosa o è distratta;
- le pupille si dilatano in presenza di attrazione o desiderio; al contrario, si restringono in caso di rabbia o umore negativo.
Ricapitolando, il nostro corpo manda continuamente segnali ai nostri interlocutori. Recenti studi hanno individuato delle percentuali per ogni tipo di linguaggio: il 55% per il linguaggio non verbale, il 38% per il linguaggio paraverbale; e solo 7% per il linguaggio verbale.
NILDE VITRANO 2^I
Avete mai notato quegli ologrammi che appaiono come immagini tridimensionali, ma in realtà sono solo disegni su una superficie piatta? Ebbene, l’olografia quantistica suggerisce che l’intero universo potrebbe funzionare in modo simile. Tutto ciò che vediamo, tocchiamo e viviamo nello spazio tridimensionale potrebbe essere una sorta di “proiezione” di informazioni che si trovano su una superficie bidimensionale ai confini dell’universo. Questa teoria ha origine dallo studio dei buchi neri, oggetti nello spazio con una gravità così intensa che nulla può sfuggire, nemmeno la luce. Gli scienziati hanno notato un fatto curioso: l’informazione contenuta in un buco nero non è proporzionale al suo volume, come ci si aspetterebbe, bensì all’area della sua superficie esterna, nota come orizzonte degli eventi. Questo ha sollevato un interrogativo: e se l’informazione dell’intero universo fosse “scritta” su una superficie, proprio come un ologramma? Nel 1997, il fisico Juan Maldacena avanzò l’idea che questo concetto potesse applicarsi non solo ai buchi neri, ma all’intero universo. Secondo lui, la nostra realtà tridimensionale potrebbe essere una rappresentazione di dati che esistono su un confine bidimensionale. È un po’ come nei videogiochi: i personaggi sembrano muoversi in uno spazio 3D, ma tutto il gioco è memorizzato su un disco piatto.
Un concetto chiave legato a questa teoria è l’entanglement quantistico. Si tratta di un fenomeno straordinario: due particelle possono essere collegate in modo tale che, se si modifica qualcosa in una, l’altra cambia istantaneamente, anche se si trova dall’altra parte dell’universo. È come se fossero unite da un filo invisibile. Alcuni scienziati ritengono che queste connessioni possano rappresentare la “struttura nascosta” dell’universo. Se pensiamo all’universo come a una vasta rete di particelle interconnesse dall’entanglement, possiamo ipotizzare che lo spazio-tempo stesso derivi da questa rete di legami. Un’idea ancora più affascinante riguarda i wormhole, quei tunnel spaziali che nei film di fantascienza collegano due punti distanti dell’universo. Alcuni fisici, come Maldacena e Leonard Susskind, hanno proposto che quando due particelle sono entangled, potrebbero essere connesse da un mini-wormhole invisibile. Se questa teoria si rivelasse corretta, potrebbe aiutarci a comprendere meglio fenomeni misteriosi come i buchi neri e la stessa struttura dello spazio-tempo.
Perché è così cruciale questa teoria? Se l’olografia quantistica venisse confermata, rivoluzionerebbe completamente la nostra percezione della realtà. Implicherebbe che spazio e tempo non sono entità fisse e assolute, ma emergono da leggi più profonde che si basano sull’informazione e sull’entanglement. Inoltre, questa teoria potrebbe finalmente unire le due grandi leggi della fisica: la meccanica quantistica, che spiega il comportamento delle particelle subatomiche, e la relatività generale, che descrive la gravità e il comportamento dell’universo su scala macroscopica. Attualmente, queste due teorie sono in conflitto, e trovare un modo per integrarle è uno degli obiettivi principali della fisica moderna. Dunque, l’olografia quantistica suggerisce che il nostro universo potrebbe essere un enorme ologramma, dove tutto ciò che percepiamo in 3D deriva da informazioni contenute su una superficie 2D. L’entanglement quantistico potrebbe essere la chiave per comprendere come si forma e si organizza lo spazio-tempo. Se questa idea si rivelasse corretta, potremmo trasformare il nostro modo di comprendere l’universo, risolvere alcuni dei più grandi enigmi della fisica e, chissà, magari sviluppare nuove tecnologie futuristiche basate su questi principi. Anche se siamo ancora lontani dall’avere tutte le risposte, la ricerca continua e potrebbe condurci a scoperte straordinarie su come funziona realmente il nostro universo.
MARIAGIULIA PILLITTERI 4^H
Sono molte le persone che hanno idee sbagliate sui cosiddetti disturbi mentali. Spesso si tende facilmente a giudicare chi sceglie di affidarsi ad uno psicoterapeuta o ad uno psichiatra. E' necessario quindi sradicare il pregiudizio secondo cui avere bisogno del sostegno di uno specialista signifi essere folli.
Ma cos’è un disturbo mentale? Chiamate ambiguamente malattie mentali, esse sono dei "quadri" che vedono alterazioni e difficoltà nel comportamento, nelle funzioni cognitive e nella sfera emotiva. Questa, almeno, è la definizione data dal DSM-5, ovvero il manuale per il riconoscimento dei disturbi mentali. E’ da sottolineare, però, i disturbi mentali non sono ben definiti, ma sono più delle "etichette" per definire meglio la situazione di un individuo o di un paziente. Infatti la condizione mentale di ogni persona è molto diversa, anche se hanno magari lo stesso disturbo.
I disturbi mentali si dividono in diverse categorie. Tra le più importanti, ricordiamo i disturbi dell’umore. Essi vanno ad intaccare appunto l’umore, che può essere molto basso (umore depresso) o molto alto (umore maniacale). I disturbi d’ansia definiti come disfunzione dell’ansia. Disturbi psicotici o schizofrenici, i quali alterano la visione della realtà, o con pensieri o con allucinazioni. Disturbi della personalità. Rientrano in questa categoria il concetto di borderline, e poi l'antisociale, il narcisista e chi è affetto da spinte ossessivo-compulsive. Disturbi dell’alimentazione come l’anoressia. I disturbi sessuali: disfunzioni sessuali, parafilie, disforia di genere.
Ma psicologo e psichiatra sono la stessa cosa? Qual è la differenza? La differenza sostanziale tra i due è che lo psichiatra è un vero proprio medico, perciò lavora con i medicinali, indicando al paziente un percorso farmacologico; lo psicologo lavora con le parole, e si occupa quindi della psicoterapia, anche se entrambi possono diagnosticare disturbi. Sono tutt’e due importanti per un eventuale guarigione o contenimento.
TOMMASO CHIELLO 3^EA
L'ambiente e il cambiamento climatico rappresentano questioni di grande rilevanza a livello globale. Il cambiamento climatico, infatti, si riferisce a modifiche significative e durature delle temperature e delle condizioni atmosferiche nel tempo. Questo fenomeno è principalmente attribuibile all'aumento dei gas serra, come l'anidride carbonica (CO2) e il metano (CH4), che derivano da attività umane; aggiungiamo l'uso di combustibili fossili, la deforestazione, l'agricoltura intensiva e il consumo eccessivo.
Tra le conseguenze del cambiamento climatico, bisogna senz'altro segnalare i seguenti fenomeni: temperature più elevate, tempeste più intense, aumento della siccità, riscaldamento e innalzamento dell'oceano, perdita di specie, insufficienza di cibo, più rischi per la salute, povertà e sfollamento.
Per evitare che queste conseguenze prendano il sopravvento, diverse associazioni stanno facendo il possibile per divulgare i loro progetti in tutto il mondo. A questo proposito, non possiamo non ricordare l'agenda 2030: diciassette obiettivi da raggiungere entro il 2030, come la creazione di città sostenibili, il consumo e la produzione responsabili e la certezza dell'acqua pulita.
Mancano meno di 5 anni al 2030, ed è difficile pensare che quegli obiettivi saranno raggiunti. Basterebbe che ognuno di noi provasse ad uscire dalla propria sfera di abitudini, e si prendesse cura del bene comune; così, forse, pian piano si potrebbero fare grandi cose.
NILDE VITRANO 2^I
L’idea che i vulcani possano essere “fabbriche naturali” di oro aggiunge fascino a questo metallo prezioso. Da sempre considerato simbolo di ricchezza e potere, l’oro ha origine in processi geologici che risalgono a miliardi di anni fa, quando meteoriti ricchi di metalli colpirono la giovane Terra, arricchendo il suo nucleo e il suo mantello.
La scienza ha da sempre cercato di svelare i misteri della formazione dell'oro sulla Terra, e uno studio recente, condotto dalla China University of Geosciences di Pechino, ha fatto luce su un aspetto fondamentale di questo processo: il ruolo dello zolfo. Secondo il nuovo modello termodinamico sviluppato dal team internazionale di ricerca, lo zolfo è il motore che favorisce la risalita dell’oro dal mantello terrestre fino alla superficie, contribuendo alla formazione di ricchi depositi auriferi in prossimità dei vulcani.
I depositi d’oro associati ai vulcani si formano principalmente nelle cosiddette zone di subduzione, aree geologiche in cui una placca della crosta terrestre scivola sotto un’altra, innescando la risalita di magma e l’attività vulcanica. Un fenomeno particolarmente evidente nella cintura di fuoco del Pacifico, una delle regioni più attive del pianeta dal punto di vista geologico che comprende paesi come Nuova Zelanda, Indonesia, Filippine, Giappone, Russia, Alaska, Stati Uniti occidentali, Canada e Cile.
L’oro che si trova in queste zone non è presente in forma pura, ma è legato chimicamente a ioni trisolfuro, che si spostano dalle placche in subduzione fino al mantello grazie a particolari condizioni di pressione e temperatura. Qui, il legame con l’oro dà vita a un complesso molecolare in grado di muoversi all'interno del magma, che in seguito viene trasportato verso la superficie attraverso i processi vulcanici.
Tale scoperta è stata possibile grazie ad esperimenti di laboratorio condotti in condizioni controllate di temperatura e pressione. Il nuovo modello termodinamico elaborato dai ricercatori fornisce un modo per comprendere i processi che portano alla formazione dei depositi auriferi nelle zone di subduzione.
Secondo Adam Simon, uno degli autori dello studio, l’integrazione di questi risultati con le conoscenze geologiche esistenti potrebbe rivoluzionare le future esplorazioni minerarie. La conoscenza porterà infatti all'affinamento delle strategie di ricerca e ad una precisa individuazione delle aree più promettenti per l’estrazione del prezioso metallo.
Inoltre, l’industria mineraria è da sempre alla ricerca di nuove tecnologie per individuare depositi auriferi con metodi meno invasivi e più sostenibili. Lo studio sullo zolfo e il trasporto dell’oro nei vulcani potrebbero aprire nuove strade, permettendo di prevedere con maggiore precisione dove potrebbero trovarsi giacimenti economicamente sfruttabili.
Attualmente, alcune delle più grandi miniere d’oro del mondo si trovano proprio in prossimità di antichi sistemi vulcanici, come la Miniera di Grasberg in Indonesia, la Muruntau in Uzbekistan e la Super Pit in Australia.
Oggi, grazie ai progressi della ricerca, stiamo finalmente svelando i segreti di come l’oro emerge dalle profondità del pianeta. E mentre l’industria mineraria guarda con interesse a queste nuove scoperte, il legame tra oro e vulcani continua ad affascinare scienziati e appassionati di geologia in tutto il mondo.
VIVIANA GIARDINA 4^D
Nel 79 d.C. un'eruzione del Vesuvio distrusse Pompei, distruggendo gli edifici e le vite degli abitanti. Nel XVI secolo la città venne riscoperta grazie a sistematici lavori di scavo.
Oggi, agli strumenti dell'archeologia si aggiungono quelli della biologia molecolare. Un esempio molto recente è dato da una pubblicazione su Current Biology, incentrato sulle analisi del DNA antico. Con il seguente termine si indica il materiale genetico risalente a periodi molto remoti, solitamente esposto a condizioni ambientali di ogni tipo e difficile da studiare. A condurre questa ricerca è stato un gruppo di università italiane e statunitensi: esse sono riuscite a estrarre il DNA proveniente dai calchi di cinque individui rimasti uccisi nell'eruzione.
I calchi dei corpi sono stati realizzati a partire dal 1863 dall'archeologo Giuseppe Fiorelli; essi sono fra i reperti più famosi del sito, capaci di generare emozioni nei visitatori.
Per preparare i calchi era necessario colare gesso all'interno delle cavità lasciate nella cenere dai corpi, dopo aver rimosso le ossa per facilitare il processo. Questi calchi sono stati ritoccati in base al gusto di quel periodo; scelta non facile per la grande carenza di dati anatomici, fatto, questo, che ha reso necessario utilizzare indizi di altro tipo, per esempio, il genere delle vittime. Fra i calchi più noti ci sono quelli della cosiddetta casa “del braccialetto d'oro”: un bambino e una donna che indossava un braccialetto d'oro. La presenza di questo ornamento e di un bambino hanno permesso di capire che la figura adulta era associata a un'immagine femminile o materna. Proprio lo studio del DNA antico ha permesso di verificare la fondatezza di altre interpretazioni, con risvolti inaspettati. I risultati mostrano che l'individuo adulto indossava il bracciale e che era accanto al bambino, ma in realtà era un uomo, non una donna, come si credeva. Tutti gli individui studiati avevano caratteristiche genetiche simili a quelle di popolazioni mediorientali, uno di loro probabilmente aveva la pelle scura; un dato interessante, questo, non solo dal punto di vista scientifico, ma anche sociale. Questo studio dimostra quanto possano essere inaffidabili le narrazioni basate su prove limitate. Continuare a fare indagini con i nuovi strumenti della scienza ci aiuterà a raccontare meglio le storie di queste persone e, forse, col tempo, anche la nostra.
ADRIANA SCIORTINO 4^CA