DANTE- DIVINA COMMEDIA- INFERNO
Riflessioni sulla Cantica dell’INFERNO in generale e in particolare sui canti I-II-III-IV-V-VI.
Personalmente ho trovato l’opera abbastanza complessa perché il linguaggio utilizzato non è assolutamente paragonabile a quello che noi siamo abituati ad usare. È certamente un linguaggio aulico, che a mio avviso conferisce molto prestigio allo scritto dantesco ma penso che sia, per noi ragazzi della società odierna, molto difficile da interpretare. Allo stesso tempo però, è stato per me uno spunto di riflessione, da cui ho compreso quanto la lingua italiana sia cambiata in questi secoli e quanto sia diverso il nostro linguaggio rispetto a quello dell’epoca dello scrittore. Il tema della lingua, infatti, mi è sempre stato a cuore e mi rendo conto che purtroppo il vocabolario italiano si rimpicciolisce sempre di più lasciando, soprattutto ai ragazzi della mia generazione, un lessico davvero poco forbito e povero di qualunque termine un po’ più ricercato. Credo che il bello della lingua della nostra nazione sia proprio questo: avere tantissime alternative per esprimere lo stesso concetto, avere la possibilità di scegliere tra una vasta gamma di vocaboli bellissimi; eppure, non sappiamo apprezzarlo. Per questo, se da un lato trovo difficile la Divina Commedia, dall’altro ne rimango stupefatta e affascinata.
Per quanto riguarda invece il contenuto, in quanto donna odierei essere riconosciuta come una donna-angelo. Questo perché se da un lato Dante trattava la sua donna con massimo riservo, dall’altro la ritengo una concezione alquanto materialista ed egoista: se l’uomo vedeva la figura femminile come qualcosa di angelico nato per fare da tramite con Dio, allora di conseguenza amava la donna solamente perché rappresentava una garanzia per la salvezza, una sorta di lascia passare. Dunque, nonostante questo genere di amore fosse sentito e sincero, se fossi stata una donna di quell’epoca, mi sarei probabilmente sentita usata e non amata per ciò che sono davvero.
Inoltre, mi risulta davvero difficile capire il legame che l’uomo aveva con Dio. Personalmente non sono credente, ma penso che chi invece professa un determinato credo, non dovrebbe farne la sua ragione di vita. Penso che l’uomo debba vivere la sua vita ponendo il suo benessere al primo posto e che invece vivere in funzione di Dio non sia una cosa sana per la persona perché noi, uomini, siamo arrivati sulla terra per goderci la nostra unica esistenza, non soltanto per espiare i nostri peccati.
In generale l’opera mi è piaciuta molto e anzi vorrei approfondirla ancora, ma una cosa che non ho apprezzato in egual modo, è stato il canto dei lussuriosi: Dante manifesta il suo rammarico e il suo dispiacere per Paolo e Francesca, ma trovo sbagliato il fatto che lui non ammetta la sua colpa. Anche Dante era perdutamente innamorato di Beatrice nonostante il suo matrimonio con Gemma Donati, dunque non capisco perché porsi al di sopra dei due sfortunati amanti. È vero che lo scrittore non si lasciò mai travolgere dalla passione amorosa e carnale nei confronti dell'amata, ma era comunque innamorato di una donna che non era sua moglie.
Ma i particolari che più mi hanno affascinata, oltre al linguaggio, sono i rimandi alla cultura classica, di cui sono fortemente appassionata. Mi è piaciuta molto l’idea di comporre un’opera che conciliasse la cultura medievale a quella greco-romana, soprattutto perché prima del Rinascimento nessuno prestava più particolare attenzione o conduceva studi sulla Roma o sulla Grecia antica. Anche la scelta di accoppiare una persona del Medioevo a un cittadino dell’antichità l’ho trovata molto interessante. Proprio per questo il canto che tra tutti ho preferito è stato quello ambientato nel Limbo.
Un elemento invece che stimo molto, è il modo in cui Dante condanna la mancanza di volontà: io sono fortemente convinta del fatto che chi vuole, può e che la più grande sofferenza che l’uomo possa arrecare a sé stesso, sia la mancanza di voglia, la pigrizia, la mancanza di obiettivi posti per migliorare noi stessi. La vita è una, sprecarla per mancanza di volontà mi sembra davvero ingenuo e superficiale. Abbiamo la possibilità di vivere un’esperienza che in tanti ci invidiano, perché gettarla via per mera pigrizia o mancanza di voglia? Lo trovo irrispettoso soprattutto per noi stessi, perché meritiamo di goderci la vita, ma dobbiamo imparare che i primi nemici di noi stessi siamo proprio noi, che a volte ci abbattiamo da soli senza nemmeno rendercene conto.
Dunque, se dovessi esprimere un mio parere sull’opera direi che, nonostante alcuni punti che non capisco e su cui non sono d’accordo, nel complesso l’ho trovata molto interessante e mi piacerebbe anche analizzare ancora i canti che la compongono. D'altronde, anche ciò che non ci piace può sempre essere fonte di riflessione, perché in ogni cosa c’è sempre qualcosa che possiamo imparare. Solo così abbiamo l’opportunità di arricchire il nostro bagaglio culturale e solo in questo modo ci renderemo conto del fatto che non esiste ricchezza più grande della sapienza o uomo più ricco del saggio.
SEGHEZZI ASIA - CLASSE III AL
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La Divina Commedia è stata composta da Dante Alighieri tra il 1304 e il 1305. Altri studiosi la fanno invece risalire al 1307. Per comprendere la Divina Commedia bisogna però considerare che Dante, vissuto nel medioevo, precisamente tra il 1265 e il 1321, è influenzato dall’ oscurantismo e dalla paura di non salvarsi l’anima, benchè alla sua epoca fosse già scongiurata la fine del mondo. Dante è quindi fortemente influenzato, come tutta la popolazione medievale, dall’idea della dannazione eterna, e suo precipuo pensiero quindi era il comportarsi bene in funzione della vita dopo la morte, per poter accedere al Paradiso. Nella Divina Commedia ci sono numerose allusioni non solo ad avvenimenti della sua vita sociale e privata, ma anche ai suoi inviolabili principi morali, che ha applicato per tessere la trama del poema. Importanti le ripetute allusioni alla sua vita pubblica e incarico politico, che gli ha radicalmente cambiato la vita, costringendolo ad abbandonare Firenze in quanto accusato ingiustamente di baratteria. Egli protesta contro questa ingiusta accusa, scrivendo letteralmente nel suo poema, quando elenca le tre macro categorie di peccato, che il peggiore di questi è appunto la fraudolenza. Invece un’allusione positiva che si rinviene nell’opera riguarda la sua vita privata e, in particolare, il suo amore sublimante per Beatrice. Quindi, riassumendo le suddette considerazioni, le caratteristiche principali che si rilevano all’interno dell’opera sono: la costante, anche se non sempre esplicita, allusione a condurre una vita senza eccessi, nell’osservanza della legge della Chiesa, i diversi riferimenti alla sua vita pubblica, privata e sentimentale ma, in ogni caso, emerge una vera e propria repulsione, proprio nella cantica dell’Inferno, per i fraudolenti ed i traditori.
Interessante, inoltre, la geografia all’interno del poema, Dante si è basato sulle concezioni aristoteliche e tolemaiche accettate dalla Chiesa medievale. Ma Dante, come poteva essere sicuro che la Chiesa non si sbagliasse a riguardo? Ebbene, questo è un punto cruciale per conoscere non solo le credenze medievali, ma soprattutto per spiegare la paura diffusa di quell’epoca. È infatti certo che fosse proprio la Chiesa, attraverso la diffusione di figure minacciose e di pene infernali, ad incutere smodato timore nella mente della popolazione sia colta, della quale faceva parte Dante, che analfabeta. A causa di queste invenzioni da parte della Chiesa, si diffuse anche la pratica dei flagellanti, gruppi di persone, spesso guidati da un ecclesiastico, che mortificavano la carne, perché ritenuta impura.
Quindi il fulcro della questione è che Dante ha basato la sua opera su credenze e indicazioni di una Chiesa sovrana e su una mentalità ancora fortemente teocratica.
CHIARA VITOLO - CLASSE III CL
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L’opera di Dante Alighieri, nel corso dei miei studi, è stata fonte di particolari riflessioni, dati i diversi temi affrontati all’interno dei canti svolti, per i quali, per quanto lo studio sia stato approfondito, le considerazioni principali sono dovute specialmente al contenuto, più che alla struttura di questi.
Le dettagliate descrizioni e le velate allegorie sono sicuramente ciò che al mio occhio sono apparse più rilevanti: la selva oscura, il viaggio intrapreso e la stessa figura del poeta sono poche delle immagini che identificano una più profonda rappresentazione simbolica della Divina Commedia, che spazia dalla cultura del tempo alla politica, dalla religione alle comuni ideologie, facendo sì che uno degli obiettivi primari di Dante, ovvero l’inserimento dell’intero panorama medievale, arrivi anche al lettore.
Uno dei più grandi esempi che mi apparso durante la lettura è stato sicuramente l’inserimento della figura di Virgilio, che è mostrato come allegoria della ragione umana, ma che, seguendo la realtà vissuta dal posta appena citato, non può rispondere a domande che possano essere collegate alla religione dello scrittore fiorentino.
Ulteriore importanza può essere data a uno dei punti sicuramente più rilevanti, che è spiccato sin dall’introduzione, è la consapevolezza presa dallo scrittore delle proprie azioni, il quale giudica se stesso, durante la stesura, come peccatore, elevando sì la figura di Beatrice come donna angelo in grado di salvarlo, ma accorgendosi anche delle proprie colpe, avute anche in vita, prima della morte dell’amata.
Questo dettaglio appare anche all’interno del secondo canto, poiché il poeta, in procinto di iniziare il percorso all’interno degli inferi, è in continuo dissidio con se stesso, in quanto non si sente pronto al suo compimento, già stato effettuato da San Paolo ed Enea.
L’unica nota che è apparsa come meno comprensibile è stato lo svenimento, che si ripete più volte durante il corso dei canti: ciò che Dante ci mostra con questa azione è sicuramente il forte coinvolgimento avuto dopo l’incontro con i dannati dell’Inferno, che tende alla chiusura dei canti; tuttavia, tramite questa perdita di sensi, è frequente l’omissione di spiegazioni in merito agli eventi accaduti, come avviene, per esempio, al termine del terzo e del quinto canto, nei quali non si trova una vera spiegazione per il passaggio tra i gironi.
Malgrado ciò, questo tema rimane quasi secondario, poiché ho sempre ritrovato una grande curiosità verso la narrazione del poeta e le informazioni date dagli stessi personaggi dello scritto, che sembra possano far vivere in prima persona gli episodi avuti durante la vita terrena.
Il prostrarsi alle persone grazie alla lingua volgare è segno che queste riflessioni potessero arrivare anche all’intera popolazione del tempo.
RACHELE SCIUSCO - CLASSE III AL