L'Arcella sul filo del tempo

SINTESI DELL’EVOLUZIONE URBANISTICA DELL’ARCELLA

Età antica

All’epoca PALEOVENETA risalgono le prime tracce di insediamenti tra via T. Aspetti e via A. da Bassano dove si trovava la confluenza tra un corso d’acqua ed il fiume Brenta.

Nel 49 a. C. Padova divenne municipium romano, ma già dal 789 a. C. via T. Aspetti era stata pavimentata e strutturata con il nome di via Aurelia Cotta (dal senatore promotore dell’intervento) che proseguiva verso Camposampiero e Asolo attraversando l’area agricola a nord di Patavium.

Via A. da Bassano si chiamava invece all’epoca via Medoacus (antico nome latino del fiume Brenta) perché portava verso la Val Brenta (odierna Valsugana).

Questo importante crocevia favorì l’insediamento urbano correlato anche ad attività che potevano essere utili in un importante snodo di passaggio, come fabbri, osterie, locande per i viandanti, ecc. Inoltre, in tale contesto agreste, si trovavano anche ville extraurbane e luoghi di sepoltura (come testimoniano i ritrovamenti archeologici).

Periodo medievale

Attorno al 600 d. C. avvenne un importante modifica del corso del fiume Brenta che fece spostare il suo tracciato nell’attuale alveo di Vigodarzere.

Al 1220 risale la fondazione del monastero di S. Maria in Cella che si dice avvenne addirittura da parte dello stesso S. Francesco di passaggio per Padova. Esso dipendeva dalla Cattedrale di Padova. Lì morì nel 1231 S. Antonio durante una sosta del suo trasbordo da Camposampiero.

Tra il 1300 e il 1400, in epoca di dominazione dei Carraresi, furono edificate delle nuove mura cittadine che arrivavano fino alla zona Codalunga con Porta SS. Trinità a difendere l’importante via strategica verso Vigodarzere.

Dominio veneziano

Padova cade sotto la Serenissima sin dal 1405, ma fu solo nel 1509, in seguito alla guerra di Cambrai, che Venezia decise di dotare la città di nuove mura difensive più efficienti e moderne. Al difuori di queste dovevano essere rasi suolo edifici e alberi nel raggio di circa un miglio per poter agevolare la difesa e la vista dei nemici a distanza. Fu così che vennero completamente distrutti boschi, case e palazzi di tutta la zona e ne venne inoltre vietata la riedificazione per quasi i tre secoli successivi. La spianata così ottenuta venne battezzata il “Guasto”.

Solo attorno al 1600 si cominciò a ripristinare una piccola costruzione devozionale nel luogo dove avvenne la morte di S. Antonio attorno alla Cella del Transito (tollerata dai veneziani) che, anche grazie alle numerosissime donazioni dei fedeli, crebbe pian piano nel corso dei secoli.

Dagli inizi del ‘700 cominciarono lentamente ad apparire degli sporadici casoni rurali e ville signorili, mentre nel 1792 venne restaurata la chiesa parrocchiale e costruito il suo famoso viale come raccordo rettilineo alla strada principale.

Ottocento e prima anni del Novecento

All’inizio dell’800 la zona si presentava ancora immersa nella campagna con l’eccezione di piccole borgate rinascenti (zona Ca’ Magno, attuale chiesa di S. Gregorio Barbarigo) ed alcune contrade sparse.

La vasta area era attraversata da poche strade, da alcuni canali di modeste dimensioni ed era disseminata di insediamenti rurali con alcune abitazioni costituite ancora dai tradizionali “casoni” (paesaggio tipicamente veneto-rurale con una popolazione contadina di modestissima condizione come in altre aree extra-urbane).

Verso la fine dell’800 ci fu un aumento esponenziale della popolazione, dopo quasi tre secoli di divieto di inurbamento da parte della Serenissima, anche a seguito della nuova connotazione industriale assunta del quartiere. Si procedette anche alla costruzione di una scuola elementare che si trovava nell’edificio poi divenuto “il dazio”.

Il 12 dicembre 1842 ci fu l’inaugurazione della nuova ferrovia Padova-Venezia e venne costruita anche la stazione. Di conseguenza aumentarono esponenzialmente gli insediamenti: l’Arcella venne immediatamente coinvolta nello sviluppo urbano ed industriale favorito dalla nuova linea e ancor di più dopo la costruzione del cavalcavia Borgomagno (inaugurato nel 1903).

Finché non venne costruito il cavalcavia per attraversare i binari c’era un passaggio a livello ma il traffico era tale che si sentì la necessità di provvedere al problema. Il manufatto era molto moderno per l’epoca, si trattava del primo viadotto in calcestruzzo armato mai costruito in Italia (progetto dell’Arch. Ing. Daniele Donghi). A quegli anni risale anche la sistemazione di Corso del Popolo.

Nel 1909 fu completata la linea di tramvia elettrica che collegava Pontevigodarzere a Padova attraversando tutto il quartiere Nord.

Verso gli anni ‘20 e ’30 del Novecento il Borgomagno e l’Arcella formavano già un quartiere in pieno sviluppo, saldamente ancorato alla città verso Sud, mentre gli insediamenti continuavano a svilupparsi verso Nord in forma molto disordinata e del tutto spontanea, a causa dell’assenza di ogni forma di pianificazione. Il primo piano urbanistico comunale per i quartieri extra-urbani del 1926 (Progetto di Piano Regolatore e di ampliamento della città di Padova redatto dal “Gruppo degli Urbanisti Romani”) intendeva, secondo regole moderne per l’epoca, dotare i quartieri di scuole, campi sportivi, giardini, ecc. e collegarli tra loro delimitandoli da un grande anello di circonvallazione per bloccare e separare la città dalla zona industriale in espansione, con l’aggiunta di una rete tranviaria che collegasse il centro con le periferie. Questo moderno intervento però non ebbe alcuna applicazione concreta e fu solo nel 1933 che si indisse un concorso urbanistico per l’ampliamento della città che includeva anche un intervento denominato Borgomagno.

In seguito al concorso venne redatto il piano “Piccinato-Munaron”, ripreso successivamente dall’ufficio tecnico comunale nel 1947 assieme al piano di ricostruzione delle zone devastate dai bombardamenti. Questo progetto prevedeva un progressivo sviluppo degli insediamenti verso Nord collegando l’Arcella con Pontevigodarzere e creando così una nuova e consistente continuità urbana lungo l’antico asse stradale primario: via T. Aspetti - via G. Reni.

Agli anni ’30 risale anche lo stadio Arcella, posto oltre i limiti dell’espansione urbana dell’epoca, ma sempre in base a quanto previsto dalle indicazioni di sviluppo tracciate dal piano “Piccinato-Munaron”.

Negli anni ’20 e ’30 ci fu un’espansione edilizia del quartiere talmente rapida da saturare gli spazi disponibili con edifici di carattere soprattutto economico-popolare (case a schiera) in prossimità degli insediamenti industriali che si trasferivano o nascevano nella zona.

Lungo la viabilità principale, invece, si edificava secondo tipologie di livello più elevato: nelle zone della “prima Arcella” (situata tra la stazione ferroviaria ed il santuario di Sant’Antonino) che era considerata più signorile e di pregio rispetto alle zone più marginali, sorsero villini liberty- decò (si vedano alcuni esempi in via Bonazza e in via Vecellio). Molti di questi edifici, in larga parte oggi perduti, portavano le firme dei migliori architetti padovani del periodo come N. Galimberti, T. Paoletti, P.T. Miozzo, G. Lupati, A. Zanivan e molti altri ancora. La perdita di molti fabbricati di quest’epoca (e anche delle precedenti) non è però imputabile solo alle incursioni aeree: in molti casi ciò che si era salvato dalle bombe venne abbattuto in seguito, soprattutto negli anni ’60 e ’70, da dissennate e miopi ristrutturazioni e ricostruzioni prive di ogni sensibilità culturale e spesso anche di qualunque scrupolo.

Tra il 1943 e il 1945 ci fu la distruzione del 90% degli edifici del quartiere a causa dei bombardamenti concentrati sulla zona (definita strategica in quanto in prossimità della stazione ferroviaria); la viabilità principale e secondaria venne sconvolta e disastrata dai crateri delle bombe. La quasi totalità della popolazione residente nel quartiere era sfollata e solo qualche centinaio di abitanti rimase in zona. Anche il cimitero venne seriamente danneggiato e reso inagibile, mentre rimase pressoché intatto il Santuario dell’Arcella e quasi indenni anche le altre chiese della zona (SS. Trinità, Pontevigodarzere, S. Carlo).

La ricostruzione e il grande sviluppo del secondo dopoguerra

Le poche case rimaste presentavano comunque danni o lesioni più o meno gravi, molti degli sfollati volevano rientrare nel quartiere e si aprirono due possibilità: o aspettare i risarcimenti e ricostruire in tempi più lunghi o accettare un risarcimento “forfettario”. Quest’ultima scelta fu fatta da molte persone perché consentiva di ottenere subito una somma di denaro, anche se inferiore, da utilizzare per riedificare in modo più veloce. Le ricostruzioni realizzate in questo modo prevedevano che si rifabbricasse sugli stessi perimetri precedenti senza bisogno di nuovi progetti e nuove licenze. Ovviamente si verificarono abusi di ogni genere favoriti dalla situazione d’urgenza, più o meno giustificata dall’emergenza abitativa, che determinò condizioni tali da travolgere ogni norma e procedura minimale stabilita dalle precedenti regole urbanistiche. Tutto questo non favorì certamente una ricostruzione pianificata e lungimirante (non rispettarono ad esempio gli indirizzi del piano regolatore “Piccinato-Munaron”), creando così le condizioni che determinarono lo sviluppo caotico e disordinato del quartiere con conseguenze e ricadute di lunghissima durata.

L’inurbamento e la rapida crescita dell’edificazione, oltre al ritorno degli sfollati, erano dovuti anche all’aumento delle nascite e all’immigrazione di una notevole parte degli abitanti del centro storico per effetto dello sventramento-risanamento di alcuni quartieri (come S. Lucia, Conciapelli, ecc.), ma soprattutto anche alla locazione in zona San Carlo-Cà Magno, nel secondo dopoguerra, di molte fabbriche con nuove attività produttive. Il tutto avvenne in una situazione di notevole disagio a causa della mancanza di servizi infrastrutturali e amministrativi. Questa inadempienza dei piani strutturali urbanistici, spesso di carattere speculativo, proseguì fino a tutti gli anni ’70, edificando anche nelle aree destinate ai servizi al verde e alle infrastrutture urbane. Intanto tra gli anni ’50 e l’inizio degli ’80 la popolazione era più che quadruplicata.

Nel 1975 l’arch. Luigi Piccinato redasse una variante al vecchio piano regolatore che prevedeva la preservazione delle aree verdi rimaste e altri interventi positivi, ma anche questo fu rispettato solo in parte.

Negli anni ’80 iniziò un decremento demografico e fino agli anni ’90 si susseguirono una serie di profondi cambiamenti economico-sociali che tuttora coinvolgono le realtà presenti nel territorio (dagli esercizi commerciali fino alle strutture ecclesiastico religiose). Si registra su tutto il territorio una costante perdita di omogeneità del tessuto connettivo formato da una popolazione locale stabile.

Il sovrapporsi continuo e quasi convulso di problematiche nuove di tipo infrastrutturale (viabilità, verde pubblico, aggiornamento del patrimonio edilizio, trasformazione-riqualificazione delle strutture produttive e commerciali, ecc..) su un tessuto urbano già penalizzato da notevoli carenze e da una pesante sfasatura tra progettualità urbanistica e sviluppo dell’insediamento, pone all’amministrazione civica di oggi complesse e inderogabili questioni di interventi progettuali e infrastrutturali. Da oltre due decenni si pongono e ripropongono continuamente soluzioni e piani d’intervento sulla mobilità dei mezzi pubblici e privati e sulla gerarchizzazione della rete stradale sempre più inadeguata di fronte ai flussi di traffico in costante e incontrollabile crescita. Molto spesso si è dovuto constatare che interventi progettati e finalmente attuati vengono già superati dagli eventi e da nuove emergenze.

Il tumultuoso sviluppo del ‘900 e le nuove e per molti aspetti imprevedibili evoluzioni degli ultimi decenni hanno radicalmente trasformato il volto e la realtà del territorio di “Padova Nord”, mentre si propongono questioni e sfide assolutamente nuove, tra le quali l’immigrazione di nuovi gruppi etnici sempre più presenti e numerosi.

Anni 2000

Negli anni 2000 nasce il nuovo quartiere di Padova Nord (Santissima Trinità e via Buonarroti; Arcella, Sant'Antonino e San Bellino; San Carlo; Arcella 2 e Pontevigodarzere), la seconda circoscrizione amministrativa del Comune dopo il centro storico, definita da barriere naturali (il Brenta) e artificiali (ferrovia e strade).

Analizzando effettivamente i dati demografici del Comune di Padova, si nota che, se da un lato il dato della popolazione dell’Arcella si attesta su un numero pressoché immutato (nel 1995 erano presenti 40.047 abitanti, nel 2015, invece, 39.145), causato dal decremento della natalità e dall'invecchiamento dei residenti (4.963 abitanti hanno 75 anni o più, il dato più alto tra tutti i quartieri di Padova), dall'altro è evidente come il quartiere sia soggetto allo scontro di due flussi contrari, uno in entrata e uno in uscita. Un’ulteriore prova della dinamicità del territorio: nel 2015, 1.339 persone hanno deciso di trasferirsi nel quartiere 2 - Nord, che comprende oltre l’Arcella propriamente detta (ovvero la zona retrostante alla stazione) anche San Bellino, San Carlo, Santissima Trinità e Pontevigodarzere, mentre 1.232 individui hanno fatto la scelta inversa, spostandosi altrove.

Dati più recenti confermano quanto detto. Nel 2018, infatti, l’Arcella ha registrato il maggior numero di nascite dell’intera città (146), seguita a ruota dalla zona San Carlo (119) su un totale di 1509 nati, ma quanto riguarda i decessi, le due zone contano rispettivamente 154 e 135 morti.

Numeri che, in parte, risentono del grande movimento studentesco: Padova accoglie ogni anno circa 15.000 universitari e molti trovano una stanza o un alloggio in affitto proprio nell'Arcella sia per i prezzi più bassi, ma anche perché attratti dagli spazi più ampi e dalla multiculturalità.

La forte presenta etnica, infatti, è un ulteriore elemento caratterizzante: nel quartiere a nord di Padova, sempre seguendo i dati del 2015 del Comune, gli stranieri residenti sono 10.485 su un totale di poco più di 30.000 in tutta la città. Solo nel 2018, i nuovi arrivi nel quartiere sono stati 1654, di cui 1043 stranieri.

Ultimi sviluppi

Nel marzo del 2007 viene inaugurata la nuova linea del tram che, attraversando il centro storico, collega Pontevigodarzere con il quartiere Guizza.

Nel Documento unico di programmazione 2016-2018, tra le finalità che il Comune si propone di raggiungere, c'è anche un deciso intervento di riqualificazione dell'Arcella: «L’obiettivo è avviare una rigenerazione urbana che proceda per piccoli passi concordati con i cittadini. Dopo l’azione antidegrado e in favore della sicurezza, le iniziative consisteranno nel favorire il commercio e la creazione di spazi aggreganti la socialità di tutto il quartiere Arcella. Sarà impedita la cementificazione e la costruzione di mostri di calcestruzzo, mentre saranno promossi spazi aggregativi e una vera piazza Azzurri d’Italia. Il piano dovrà prevedere anche la realizzazione di un parco nei pressi della chiesa di San Carlo».

L'intenzione è quella di donare un polmone verde che attualmente manca nel rione centrale, mentre è presente a Pontevigodarzere con parco Morandi e, nella prima Arcella, col parco Milcovich. Padova, in rapporto alle altre città italiane, dispone nel complesso di una buona percentuale di aree verdi, ma nel quartiere 2 Nord, in relazione alla forte densità abitativa (5.832 abitanti per Kmq, secondo i dati del 2015 del Comune di Padova), le aree verdi nella zona sono limitate: se il parco dinanzi alla fornace Morandi è simbolo di valorizzazione, il parco Milcovich ha subìto un percorso più travagliato. Non è molto grande, attualmente è abbastanza frequentato soprattutto per la presenza di campi da basket e giostre per i più piccoli, ma è un parco che nei decenni precedenti è stato spesso in ombra, luogo principalmente di spaccio e che ha vissuto la forte concorrenza con il patronato di Sant'Antonino, molto attrezzato e organizzato per ospitare famiglie e bambini. Inizialmente abbandonato, quando il patronato ha chiuso temporaneamente per i lavori di restauro, il Milcovich è rinato.

Tuttavia proprio nell'aria est all'ingresso dell’Arcella, il Comune ha attuato l’ultimo e significativo intervento urbano nel quartiere a nord di Padova, dopo la costruzione della linea del tram: il ponte Unità d’Italia. Inaugurato nel 2011 dopo 13 anni di gestazione, il cavalcaferrovia cuce l’Arcella da via Jacopo Avanzo col cuore della città e con la fiera, ma per la realizzazione delle sue enormi rampe è stata sacrificata un’ulteriore fetta di verde.


Alcune informazioni sono tratte da Leopoldo Saracini, Padova nord : storia di un quartiere, Studio L. R. S.. Arte Grafica Editoria, 2002