Febbraio - 2024 - numero 8

Uno sguardo sul Kurdistan

Lo stretto legame tra le lotte curde e l’autodeterminazione femminile

Come la storia di un popolo si intreccia con la presa di coscienza delle donne e il loro ruolo nella costruzione di un’altra società 

di Eleonora Casciarri-3CB 

 

La storia dei Curdi è molto lunga. Dal 1923 a seguito della guerra d’indipendenza turca, il Kurdistan, regione originaria dei curdi, è stato diviso tra quattro Paesi: Turchia, Siria, Iran e Iraq. Attualmente le condizioni di vita per i curdi sono dure in tutti e quattro gli Stati:  sono discriminati a tal punto che è proibito utilizzare la propria lingua madre (lingua curda) rischiando per questo anche l’arresto. In Siria non possono nemmeno votare, è proibito uscire dal paese, servire l’esercito ed essere impiegati nelle istituzioni statali. Nell’ultimo decennio il Kurdistan è stato protagonista di diversi conflitti: la guerra civile nel 2011 tra il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), il regime di Bassar al-Assad, scontri  sia con Turchia che con Daesh (più conosciuto in Occidente come ISIS) i quali temono fortemente l’indipendenza curda.


Il ruolo delle donne in questo percorso è centrale: sono note per aver combattuto nella lotta contro Daesh e assunto ruoli strategici e amministrativi. La presa alle armi delle donne curde, motivata dalla loro voglia di libertà, è il risultato di decenni di barriere sollevate dalla società patriarcale in cui vivevano. Il segnale d’inizio è stato dato da Abdullah Öcalan, leader del PKK che criticò aspramente il modello familiare curdo e il namus, secondo cui l’onore sessuale di una donna doveva essere protetto fino all’oppressione e al controllo dei loro corpi. L’idea di Öcalan fu essenzialmente quella di spostare il focus della società curda sulla protezione dell’onore della terra anziché su quella, opprimente, del corpo delle donne. E fu un successo. 


Un altro concetto importante se si parla di donne curde e la loro liberazione è sicuramente l’idea della Jineologia, un neologismo derivante dalla parola curda jin, che significa donna, e la parola greca logos, discorso o parola. La Jineologia è un concetto basato sulla riscoperta e su una nuova visione delle donne nella scienza, nei saperi e nella storia. Questo parte dal fatto che la logica scientifica patriarcale definisce il sapere come potere e la scienza come un dominio adibito a governare, controllare e sfruttare una minoranza per il profitto.


L’importanza delle donne è fondamentale soprattutto nella funzione attiva e partecipe che esse svolgono all'interno della società. È così che sono nate importanti formazioni come lo Ypj (Unità di protezione delle donne, organizzazioni militari di difesa del territorio, di pari passo alle formazioni maschili YPG) o associazioni come l’Unione delle donne  (centri di aggregazione sia femminili che maschili con funzione politica e conflittuale). Degni di nota per la loro importanza sono anche le Case delle donne, luogo di rifugio delle donne vittime di violenza di genere e domestica, e le Accademie delle donne, università in cui ci si concentra sulla rilettura delle storia dando alle donne un ruolo centrale. 


Possiamo concludere quindi che fuori dal nostro circondario e dalle accademie europee, ci sono mondi, letterature, culture che meritano attenzione e, magari, possono essere per noi un grande spunto di riflessione.

EMILIO E JOYCE LUSSU 

di Giorgia Gabbolini 

L’8 Marzo è una data ottenuta e riconosciuta con lotte e sofferenze e si tende spesso a consacrarla parlando di donne, con le donne e per le donne. Ma c’è una donna e soprattutto un uomo, che hanno fatto di questa differenza di genere un sodalizio politico, storico, sociale ed affettivo. Un legame che non si basa su una logica separatista, patriarcale e colonialista ma che riconosce e valorizza le differenze nel loro apporto nei confronti della società. Questi due personaggi, sconosciuti purtroppo alla maggioranza del paese, all’opinione pubblica, alle antologie e spesso anche ai loro stessi compaesani, sono Joyce ed Emilio Lussu. Chi sono? Emilio Lussu, ufficiale decorato della guerra mondiale, intrepido fuggitivo dal carcere di Lipari insieme ai fratelli Rosselli, antifascista, sardo di quella sardità dei contadini, dei proletari e della terra brulla di Sardegna. Rivoluzionario, non di professione formato alla scuola Leninista, ma giunto al materialismo storico e dialettico solamente tramite esperienze vissute globalmente in mezzo ai contadini della sua terra e con essa, in tutte le terre del mondo. Non per ultimo, abilissimo scrittore contemporaneo, autore di libri come “Diplomazia clandestina “, “Un anno sull’altipiano” (per citarne solo alcuni). Joyce Lussu, nata Gioconda Salvadori Paleotti, maritata Lussu (per sua scelta, perché a suo dire “ il padre non me lo sono scelto ma il marito si”), non basta un semplice articolo per elencare le mille vite che ha vissuto: antifascista, partigiana, militante in battaglia, traduttrice, scrittrice, politica, storica, romanziera, poetessa. 

Due personalità che spesso non vengono associate, ma che sono un grande esempio di rivendicazione di qualsiasi tipo di diritto essenziale dell’uomo. Uno su tutti: l’autodeterminazione di fronte alla storia generale ma soprattutto alla propria storia. Le loro vite rocambolesche si sono intrecciate nonostante i 20 anni di differenza, nonostante un conflitto mondiale, nonostante le fughe, nonostante il cianuro sempre a portata di mano nel caso di imboscate delle squadre fasciste e naziste. Ma soprattutto, nonostante tutto quello che è accaduto nel dopoguerra dove, sostanzialmente, quella società che tanto avevano provato a cambiare, è rimasta la stessa nelle sue contraddizioni continue. Le donne continuavano a essere relegate ai margini della società, così come le classi subalterne e come le minoranze etniche. Nel mondo, mentre in Italia si festeggiava il 25 Aprile, continuavano ad esserci sfruttamenti, sottomissioni, colonialismi e razzismi. Poco importava se il fascismo era stato debellato in Italia, se nel mondo ancora esisteva e silenziosamente si trasformava.  Secondo i coniugi Lussu, la più grande forma di colonialismo si registra in primis dall’uomo sulla donna, per poi riflettersi sui bambini, anziani e in larga scala su tutto ciò che è sfruttabile, minoritario e di poco conto. Un uomo come Emilio non ha mai riconosciuto nella donna l’essere quello che oggi viene chiamato “sesso debole” perchè non c’erano di fronte ai suoi occhi alcune divisioni di stampo biologico, ma solo di idelogie e partecipazione nei confronti della storia. Joyce, d’altro canto, non si è mai tirata indietro nelle missioni più pericolose (affidate perlopiù da Emilio stesso) portandole a termine tra fronti e frontiere e incinta di 4 mesi. Ricordare l’8 Marzo, seguendo il pensiero di Emilio e Joyce, è ricordare a tutti come una società giusta ha alla sua base l’apporto e contributo di uomini e donne, inquilini di questo mondo, che allo stesso modo indagano la contemporaneità e le sue logiche e che non fanno un passo indietro di fronte alla storia. Che costruiscono e prendono parte a tutti i processi che ne fanno parte. 

Parlare di donne oggi è, con le parole di Joyce:


“[..] essere donna, domani, dovrà equivalere a non accorgersi di esserlo, dato che i problemi inerenti alla vita femminile, come del resto quelli inerenti alla vita maschile, o all’infanzia o alla vecchiaia -sessualità, nascita, educazione,allevamento, malattia, gioco, riposo, produzione materiale, produzione ideale-  saranno assunti con uguale responsabilità e felice appropriazione da ogni membro del gruppo sociale.”


Emilio e Joyce fanno politica insieme, di quella politica che oggi nemmeno conosciamo; conoscere a fondo non solo gli effetti  ma anche le cause del nostro stato presente, individuarne le responsabilità, identificare l’avversario nella storia e nella società e anche dentro noi stessi. 

In questo nuovo 8 Marzo, la miglior mimosa che dobbiamo permetterci è la lettura di opere incredibili come quella di questi protagonisti che la storia passata ha provato a cancellare, ma che il futuro si merita di nuovo di riscrivere. 


Inchiostro tra le pagine

Rubrica di libri di Aurora Boco 5CB

“DE PROFUNDIS” DI OSCAR WILDE 


Trama

Il libro è una lunghissima lettera che Oscar Wilde scrive dal carcere al suo amico e amante Lord Alfred Douglas. In essa lo scrittore riversa tutti i suoi pensieri  sulla loro storia e su tutto quello che hanno passato prima del carcere, riportando alla luce aspetti della loro vita e della loro relazione che erano stati nascosti prima di allora.


La lettera è scritta da Wilde nel 1897 dal carcere di Reading (dove lo scrittore scontava la pena per l’accusa di sodomia) dopo due anni di silenzio nei quali tra i due amanti non c’era stata alcuna corrispondenza, così Wilde decide di riversare tutto il suo dolore e il suo struggimento senza più filtri.

Quello che agli occhi degli altri era visto come un amore struggente e impossibile, era in realtà soltanto l’illusione della passione di un uomo meschino,  sfuggente e, come lo descrive più volte lo scrittore, senza la più vaga immaginazione.


“Se la nostra vita insieme fosse stata quella che il mondo immaginava, una vita tutta di piacere [...] non saprei più ricordarne un solo episodio.

È perchè fu piena di momenti e giorni tragici, amari, sinistri [...] che posso rivedere e riudire nei minimi dettagli ogni singolo episodio, anzi quasi non so vedere e udire altro”


Oscar si vedrá coinvolto in una guerra tra padre e figlio, che si procrastina per anni, in cui lui non ha colpe e alla quale non ha mai attivamente partecipato. La vita di Wilde sarà oggetto delle cattiverie gratuite del padre di Bosie e nelle continue liti tra i due, l’unico a farne le spese sarà il nostro scrittore, inevitabilmente condannato alla rovina economica e sociale.


“Dal punto di vista intellettuale, l’Odio è la negazione eterna, dal punto di vista delle emozioni è una forma di atrofia che uccide tutto fuorché se stesso”


Wilde scrive che “dietro il Dolore c’è sempre un’anima” e lui il suo dolore ce lo mostra chiaro e tondo in tutta la prima parte della sua lettera, lamentando senza rimorsi e senza ripensamenti tutti i danni, le umiliazioni e le ferite subite.


“Avrei potuto presentarti uno specchio e mostrarti una così orrenda immagine di te, che non l’avresti riconosciuta tua finchè non l’avessi sorpresa a ripetere i tuoi gesti d’orrore, e allora avresti saputo di chi fosse e avresti odiato quella e te stesso, per sempre”


Nella seconda parte cercherà di prendersi le sue colpe mettendosi in discussione e spiegando tutti gli errori commessi e le messe in scena che ha dovuto portare avanti per poter sopportare il peso di responsabilità non sue.


“Non era la prima volta che ero stato costretto a salvarti da te stesso”


Le ultime pagine rappresentano l’accettazione del dolore della propria situazione, l'umiltà e la consapevolezza con cui Wilde affronta questo excursus di emozioni e sofferenza è veramente sorprendente.

Nelle ultime righe cercherà di perdonare Bosie invitandolo a scrivergli per raccontargli com’è la sua vita in questo momento, dimostrando una sensibilitá e un’umanitá inaudita.


“Scrivimi di te in tutta franchezza: della tua vita, dei tuoi amici, delle tue occupazioni, dei tuoi libri”


Mi sento anche di condividere il fatto di aver trovato una vaga somiglianza con il tema delle maschere di Pirandello, soprattutto quando si parla di come, Lord Alfred Douglas (Bosie), abbia indossato la sua maschera per tutti questi anni, senza mai rivelare le sue vere intenzioni e continuando imperterrito la sua messa in scena.

Non dubito che in fondo anche lui amasse Wilde, ma il suo amore era celato dietro ad un Odio accecante e dietro sue “violenze indecenti”

 

“Una faccia di bronzo è una gran cosa da mostrare al mondo, ma di tanto in tanto, quando sei solo e non hai pubblico intorno, devi, penso, toglierti la maschera, nient’altro che per respirare. Altrimenti, credo proprio che soffocheresti”



Un libro per chi ha bisogno di sfogarsi e lasciarsi andare senza sensi di colpa


Titolo: De Profundis

Autore: Oscar Wilde

Traduzione: Camilla Salvago Raggi

Anno di pubblicazione: 1905

Pagine: 130 

Intervista impossibile con Antonio Gramsci  

di Camilla Sportellini - 3CB 

Antonio Gramsci è stata una figura politica di rilievo del 1900, fondatore del giornale "L'Unità" ha pagato con il carcere fino alla morte la sua scelta di opposizione alla dittatura del fascismo. Rilevanti le sue riflessioni sull’importanza dell’educazione e degli educatori all’interno della società. 

Camilla: Salve, sono una studentessa a metà del mio percorso di istruzione.

Antonio Gramsci: Istruzione… parola potente e molto significativa.

Camilla: Parola potente che tutti coloro che vivono all’interno del mondo scolastico dovrebbero comprendere a pieno: la scuola a volte rischia di perdere di vista il significato di “percorso di vita”. Noi studenti vorremmo che la scuola ci insegnasse ad avere una visione culturale ampia, a sviluppare un pensiero critico, ad avere la giusta conoscenza dei fatti e a saperli distinguere ed elaborarli al fine di sviluppare un'opinione e condividerla con i nostri coetanei e con gli  insegnanti. In questo modo potremo essere in grado di recepire il pensiero altrui e comprenderne il valore.  

Antonio Gramsci: Hai ragione Camilla! Tempo fa infatti, scrissi che “L’educazione deve permettere la creazione di individui originali e non di copie conformi”. Quindi il modello educativo non deve solo tener conto di una formazione tecnico-scientifica ma deve essere anche portatore di pensiero critico e polemico.

Camilla:Comprendo pienamente, eri influenzato dall’ideologia marxista della pedagogia, volevi formare una scuola umanistica e disinteressata, unica e uguale per tutti, adesso grandi passi avanti sono stati fatti, ma il rischio di tornare indietro è sempre dietro l’angolo.

Antonio Gramsci: “L’educazione è una guerra di posizione, una lotta di trincea, e non una guerra di movimento; occorre che ognuno occupi la posizione che gli è propria e resista per tutto il tempo che gli è possibile”. 

Camilla: Che cosa intendevi quando hai scritto nei Quaderni del carcere che la scuola "non deve essere mai neutrale” ?

Antonio Gramsci: Quando ero in carcere ho scritto molte cose, volontà di fare e cambiare, ma lì ho specificato che non essere mai neutrale equivale a non avere gente muta, ma che si rivolti e che dica ciò che pensa, che si abbiano idee e che vengano coltivate collettivamente. Non per niente “odio gli indifferenti…”

Camilla: Pensi che ci sia bisogno di un maestro con la M maiuscola? 

Antonio Gramsci: Sì, perchè il maestro è colui che insegna ad interpretare la realtà sociale e a divenire cittadini autonomi. Più specificamente: maestro è colui che, rappresentando la coscienza critica della società, svolge un ruolo di mediazione tra la società e l’individuo in formazione. Per questo motivo auguro a tutti i maestri di essere mediatori e scrutatori della realtà insieme ai suoi alunni. 

Camilla: Hai avuto un’idea di umanesimo per fare maturare i giovani e immetterli nella storia attraverso la maturazione delle capacità intellettuali, pratiche e creative, di autonomia, di orientamento e di iniziativa personale.

Antonio Gramsci:  Esatto! Non avevo in mente un’educazione in senso astratto, teoricamente fondata ma pratica, operativa e sicuramente politica.

Camilla: Grazie della bella chiacchierata, mi ha chiarito dei dubbi. Penso che i suoi scritti possano essere d’aiuto alle generazioni di oggi. 

Lo spazio è Donna (ed è anche nera)

Le grandi scienziate che hanno mandato l’uomo in orbita

di Clara Chiavini 5CB

Quando pensiamo allo spazio spesso pensiamo solo agli astronauti. John Glenn, Neil Armstrong, Jurij Gagarin, Alan Shepard e tanti altri uomini (ma anche donne, come l’orgoglio tutto italiano Samantha Cristoforetti) che si sono lanciati con le loro tute futuristiche alla scoperta di nuovi orizzonti oltre la nostra atmosfera.

 

Eppure, per andare in orbita non basta solo una tuta e un po 'di coraggio.

 

La ricerca nascosta dietro ai viaggi spaziali è immensa: centinaia di ingegneri, matematici, costruttori, medici ed esperti di ogni campo si riuniscono ogni giorno per permettere ai nostri esploratori dell’Universo di compiere grandi passi per l’umanità a bordo di shuttle super sofisticati e con tutto ciò che serve per vivere.

 

E ce ne sono di donne? Certo che ce ne sono, ovvio. Siamo ovunque, e da un sacco di tempo.

 

Katherine Goble-Johnson, Mary Jackson e Dorothy Vaughan sono tre ricercatrici afroamericane che negli anni ‘50 hanno sfidato tutti i muri che possono venirvi in mente: razzismo, leggi segregazioniste, discriminazione di genere. E hanno vinto.

Katherine Goble-Johnson è stata una brillante matematica che con le sue doti e la sua tenacia si è fatta strada nella NASA aggiudicandosi il soprannome di "calcolatrice umana” arrivando, nel 1969, a calcolare la traiettoria per la missione sulla Luna Apollo 11.

 

Per capirci: qualche anno prima, nel ‘62, l’astronauta John Glenn (il primo statunitense ad entrare in orbita intorno alla Terra) ha accettato di partire per lo spazio solo dopo che i calcoli effettuati dal nuovo computer IBM della NASA furono verificati dalla Goble.

 

Mary Jackson invece fu la prima ingegnera aerospaziale afroamericana in forza alla NASA, mentre Dorothy Vaughan studiò il linguaggio di programmazione FORTRAN per insegnarlo ad altre donne, diventando leader di una task force di programmatrici afroamericane.

 

Se volete saperne di più su queste scienziate (o se volete semplicemente guardarvi un bel film) vi consiglio “Il diritto di contare” (Hidden Figures) diretto da Theodore Melfi e tratto dall’omonimo romanzo di Margot Lee-Shetterly.

Fidatevi, saranno 2 ore fantastiche. 

La scienza in coppia 

Breve rassegna sulle coppie di scienziati che hanno contribuito a rendere più corposi i libri di scienze… 

Marie Sklodowska-Curie e Pierre Curie

Anna Canonico, Eleonora Calisti, Miriam Pop, Giulia Negozianti - 3CB

Marie Sklodowska-Curie, fisica e radiochimica, è stata la prima donna a vincere un Premio Nobel e l'unica a riceverne due, per la fisica e per la chimica. Grazie alle sue ricerche è stato possibile scoprire un gran numero di elementi nuovi, studiare la radioattività e la struttura dell'atomo. Nacque a Varsavia, entrambi i genitori erano insegnanti e Marie crebbe, insieme ai suoi quattro fratelli, in un'atmosfera in cui l'istruzione veniva considerata un fatto naturale. Aveva molta facilità negli studi e terminò il liceo come migliore allieva. Per permettere a sua sorella di studiare medicina a Parigi, Marie lavorò sei anni come istitutrice privata. A 24 anni si trasferì anche lei e si iscrisse alla Facoltà di scienze naturali della Sorbona. Viveva in grande povertà, concentrandosi esclusivamente sullo studio. Nel 1893 conseguì la licenza in fisica, risultando la miglior studentessa del suo corso, e nell'anno successivo ottenne la laurea in matematica. Marie e Pierre si incontrano a Parigi nel 1893, e si sposarono due anni dopo; lui aveva otto anni di più, aveva già fatto scoperte importanti nel campo del magnetismo e della piezoelettricità; Alla base di questa unione c'era un grande rispetto reciproco, un progetto di ricerca comune e soprattutto una comune visione della scienza. A fine 1897, Marie iniziò a studiare "i raggi uranici” con l'aiuto dell'elettrometro, apparecchio inventato da Pierre. Lavorando insieme in un laboratorio di fortuna, la coppia scoprì due nuovi elementi chimici: il polonio e il radio. Per i loro lavori sulla radioattività (termine inventato da Marie, che ideò anche un'unità di misura detta poi curie), Pierre venne candidato per il Nobel, egli si rifiutò di partecipare senza Marie, e, nel 1903 vinsero il Nobel per la fisica insieme a Becquerel. Docente alla Sorbona dal 1905, Pierre ottenne un laboratorio dove continuare gli esperimenti con la moglie. Ignari del rischio, i due lavoravano senza protezione al buio osservando rapiti i bagliori delle provette con il radio (ancora oggi gli appunti di Marie Curie e persino i libri di cucina sono radioattivi!). Pierre morì prematuramente nel 1906 in un incidente fu travolto da un carro trainato da cavalli, allora Marie assunse la cattedra del marito ma il titolo di professore le venne riconosciuto solo due anni più tardi. Dopo la prima guerra mondiale, durante la quale Marie installò un’apparecchiatura a raggi X su una vettura con cui attraversava i campi di battaglia, risentì molto del lavoro che l’aveva esposta per anni alle radiazioni. Morì a 67 anni di leucemia mentre preparava il suo ultimo esperimento con l’attinio.

Albert Einstein e Mileva Marić 

Arianna Martinelli, Damarys Emanuela, Reyes Sellan, Nosakhare Owen, Arita Havzija - 3CB

Nel 1896 il famoso fisico Albert Einstein incontra la sua futura moglie all'istituto Politecnico di Zurigo, i due si trovano nella stessa classe, Mileva Marić è l’unica donna. I due si innamorano durante il corso degli studi e la donna cerca di sostenere gli esami ma,a causa della gravidanza, viene bocciata. La Marić tuttavia riprende gli studi l’anno successivo dopo la morte della figlia ma finisce per abbandonare definitivamente la carriera universitaria a seguito di un secondo fallimento. Mileva Marić e Albert Einstein avranno altri due figli e anche se lei ha finì per non conseguire mai una laurea aiutò il marito nello sviluppo della teoria della relatività. Il matrimonio tra i due però non sembra funzionare e la coppia si separò nel 1909.  Lo scienziato vinse il premio Nobel nel 1921 ma non fece mai il nome della ex moglie nel percorso scientifico.   Nel 2019 una giornalista fece richiesta all’università di Zurigo di conferire a Mileva Marić una laurea postuma ma anche dopo tutti questi anni l’università rifiutò.  

Antoine Lavoisier e Marie-Anne Paulze

di Giulia Sgombra,Vittoria Bigini e Akram Aqdim - 3CB

Antoine Lavoisier e sua moglie Marie-Anne Pierrette Paulze sono stati una coppia

di scienziati molto influenti nel ‘700.

Lavoisier è considerato il padre della chimica moderna per i suoi contributi alla

comprensione della combustione, della conservazione della massa e della

nomenclatura degli elementi chimici.

Marie-Anne svolse un ruolo significativo traducendo per lui testi in inglese sulla chimica e contribuendo alla sua ricerca.

Lavoisier e Maria-Anne si sposarono quando la  donna  aveva solo 13 anni. La coppia ricevette in dote un laboratorio  chimico completamente attrezzato e così  

cominciarono a svolgere vari esperimenti.

Paulze accompagnava Lavoisier nel suo laboratorio, inserendo appunti nei suoi

quaderni e disegnando diagrammi dei suoi progetti sperimentali; i biografi attribuiscono alla scienziata un ruolo decisivo nella costruzione della carriera del marito in cui ricoprì il ruolo di assistente di laboratorio, addetta a descrivere con parole e immagini tutti i suoi esperimenti.

Gerty Theresa Radnitz-Cori e Carl Cori

Eleonora Casciarri, Camilla Sportellini, Alexander Chaucala, Alessia Germinara - 3CB

I coniugi Carl e Gerty Cori furono una coppia di scienziati che diede un enorme contributo alla ricerca biochimica del ‘900.

I due coniugi formarono una affiatata coppia di lavoro, in cui non c’era competizione ma rispetto e fiducia per il lavoro reciproco. Pubblicarono circa cinquanta articoli insieme, con il nome dell’uno o dell’altra che compariva prima, in base a chi dei due avesse compiuto il lavoro più consistente. Nel 1929, proposero la teoria che porta il loro nome la quale, insieme alla scoperta dell’enzima glicogeno-fosforilasi (fondamentale per la produzione di energia nel nostro corpo a partire dal glucosio immagazzinato sotto forma di glicogeno), gli permise di vincere il premio Nobel nel 1947. Il cosiddetto ‘Ciclo di Cori’, infatti, è il metabolismo che permette di convertire l’acido lattico prodotto nei nostri muscoli a seguito di un’intensa attività fisica in glucosio utile per la produzione di nuova energia.

Nello stesso anno in cui la coppia vinse il Nobel a Gerty Cori fu diagnosticata una grave malattia che però non le impedirà di andare personalmente a ritirare il premio e di continuare le sue ricerche a fianco del marito.


PODCAST


CONFERENZA SULL'AVIFAUNA DEL LAGO TRASIMENO 

I ragazzi del 2CB riportano la loro esperienza di ascolto della conferenza svoltasi il 16 febbraio in aula magna, riguardante i 33 anni di osservazioni sull'avifauna del Lago Trasimeno.

Ringraziamo il dott. Francesco Velatta e la prof.ssa Chiara Agnelli per la presentazione e per aver donato alla nostra biblioteca scolastica il volume riguardante le attività di monitoraggio degli uccelli acquatici del Lago Trasimeno (rilievi svolti dalla Cooperativa L'Alzavola).

Realizzato da: Laura Colombesi, Riccardo Barrucci, Mirko Paulo Macalaguim e Gianmarco Silvestri (supporto per i testi di Lucia Alunni Solestizi e Giorgia Pispola) 

Chi ha paura dei pancake?

ricetta super facile per merende in compagnia 

(con sorpresa) 

Preparare dei pancake per molti può sembrare una passeggiata, ma non lo è per tutti, per tanti motivi.

Tra questi, alcuni potrebbero essere la poca manualità in cucina o la poca voglia di pulire una volta finito, ma anche, in certi casi, la paura dei pancake.

 

Ebbene sì, esiste chi ha paura dei pancake. Ma come si fa ad aver timore di una cosa così buona?

Iniziamo a prepararli, così poi ve lo racconto.

 

Ingredienti per pancake al cacao per 2 persone

-       200g di Farina 00

-       1 uovo

-       10g di cacao amaro

-       2 cucchiaini di zucchero

-       350ml di latte circa

-       mezza bustina di lievito per dolci

-       un pizzico di sale

 

Procedimento:

1)    In una ciotola aggiungete tutti gli ingredienti secchi: (farina, cacao, zucchero, lievito, sale) e mescolate con un frullino (va bene anche una forchetta, ci vuole solo un po’ più di pazienza).

 

2)    Aggiungete l’uovo e metà del latte e continuate a mescolare.

 

3)    Una volta che il tutto sarà amalgamato, continuate ad aggiungere il latte a poco a poco, così da ottenere una pastella (non troppo liquida) liscia e omogenea.

Se il latte dovesse sfuggirvi di mano, potete provare ad aggiungere della farina finché il composto non avrà ripreso consistenza. Ci vorrà un po’, ma non mollate.

 

4)    Scaldate una padella antiaderente e, aiutandovi con un mestolo, versateci un po’ di impasto. Fate cuocere a fuoco medio-basso finché non si formeranno delle bolle sulla superficie (ci vorranno circa 3-4 minuti), e a quel punto girateli dall’altra parte e lasciate cuocere per altri 2-3 minuti.

 

A questo punto i vostri pancake saranno pronti e potete abbinarli con quello che volete: frutta, gelato, cioccolato, marmellate, creme, e tutto ciò che vi viene in mente.

 

Per molti questa ricetta può sembrare semplice, quasi banale, ma spesso le insidie si nascondono nei posti più impensabili, e può essere davvero difficile scovarle.

 

Per me l’idea di aggiungere uova, latte e zucchero in una ricetta che poi avrei dovuto mangiare era terrificante. Cercavo sempre sostituti, alternative che non mi preoccupassero tanto quanto quegli ingredienti lì, che mi mettono ancora un po’ in soggezione, ma che ora sto imparando a conoscere.

Se pensate che questo problema sia solo mio, da una parte siete fortunati, perché vuol dire che non siete mai entrati in contatto con il mondo dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) e del Disordered Eating (termine che include la restrizione, la fame emotiva e tutti gli aspetti non sani dell’alimentazione che possono derivare da una componente psicologica).

 

A me è capitato diverse volte di incontrare e parlare con persone che vivevano, come me, la paura dei pancake e di altri alimenti, che vengono chiamati fear-foods (cibi-paura, letteralmente) e che sono uno scoglio per chi affronta i problemi col proprio corpo e la propria alimentazione, soprattutto nel caso dei DCA.

 

Ma uscirne si può, e non bisogna vergognarsi se il percorso dovesse richiedere tempo o l’intervento di specialisti come psicologi e nutrizionisti (anche perché, sennò, che ci stanno a fare?) perché quando ci si rompe un braccio, non ci si aspetta che guarisca bene senza gesso; e a volte neanche il gesso funziona, e quindi bisogna riprovare, e va bene così.

 

Detto ciò, regalatevi ciò che vi piace. Iniziate a volervi bene e a dare al vostro corpo il carburante di cui ha bisogno. Fatevi un bel piatto di pancake e condividetelo con qualcuno di speciale, tanto la ricetta è per 2.

 

15 marzo, Giornata Nazionale del fiocchetto lilla per la sensibilizzazione verso i DCA