2025 - numero 14
2025 - numero 14
“OLTRE LO SCHERMO”
Forse, pensò Sara mentre scrollava distrattamente sui social, è davvero possibile morire di noia. Il mondo intorno a lei sembrava svanire in un turbinio di immagini perfette, momenti felici e sorrisi scintillanti, tutti confezionati e presentati come segreti di felicità.
Si sentiva come bloccata in una sequenza infinita di “like”, storie delle persone che conosceva, a divertirsi nei posti più belli e a godersi il sabato oppure a postare video di animali carini. E il peggio era che, oltre a farla sentire assolutamente e terribilmente sola, quei video la rendevano anche incredibilmente annoiata. Infatti, più guardava quelle scene di vita che sembravano così piene di vivacità, più si sentiva invasa da un'ombra di noia e desolazione. Sentiva di star sprecando il suo unico pomeriggio libero, ma non riusciva a trovare la forza o forse la voglia di chiudere i social e mettersi a cercare attività più appaganti, che non le ricordassero quanto fosse a corto di amici veri con cui uscire. Era il suo tempo libero, eppure, nonostante avesse la libertà di fare qualsiasi cosa, non riusciva a staccarsi dal telefono. Era come se una parte di lei fosse intrappolata in una spirale che non riusciva a fermare.
Fu un grido improvviso a svegliarla dal suo torpore. Il suo fratellino più piccolo che si era messo a gridare contro il computer, in chiamata con degli amici online mentre giocavano a un videogioco. Evidentemente tutti avevano qualcuno con cui stare tranne lei, pensò. Decise, perciò, di uscire, nella speranza che l’aria fresca del parco potesse smuoverle un po’ la mente e magari aiutarla a sfuggire dal peso che le gravava addosso e dalla tristezza che la stava rapidamente assalendo.
Ma il parco, benché più vivace, non le offrì molto sollievo. Si trovò a guardare intorno, osservando famiglie e gruppi di amici che si godevano il sabato pomeriggio insieme. Sara dalla sua posizione centrale, sotto uno degli alberi del parco, riusciva a vedere praticamente tutto e tutti, le sembrava che chiunque avesse una connessione che a lei sembrava sfuggire, e così, sentendosi a disagio e senza nemmeno pensarci troppo, riprese il telefono in mano. Finì per controllare distrattamente le richieste di amicizia su Instagram. Si rese conto con una punta di amaro che quelle persone, per lo più conoscenti o amici virtuali, non avrebbero mai sostituito i veri amici. La solitudine che sentiva era infatti amplificata dal fatto che, pur essendo circondata da centinaia di contatti online, non aveva nessuno con cui parlare veramente, qualcuno che la capisse fino in fondo. Era una situazione ironica tutto sommato, pensò, quasi 500 amici virtuali e nessuno nella realtà. Certo, ogni tanto riusciva a parlare con i suoi compagni, con i parenti o con i suoi amici online, ma riteneva che nessuno di questi fosse veramente suo “amico”: qualcuno con cui poteva confidarsi, essere completamente se stessa, su cui poteva fare affidamento sempre e con cui poteva sentire quella connessione e quel legame genuino di cui si narra nei film e nei libri.
Proprio mentre si perdeva in questi pensieri, un signore si avvicinò a lei, distribuendo volantini per un evento che attirò la sua attenzione: una mostra fotografica al museo locale. Visto che non serviva nessun biglietto o prenotazione decise di andare, anche semplicemente per potersi dire di aver fatto qualcosa e che tutto sommato non aveva buttato via un pomeriggio tra social e autocommiserazione.
Nel museo, si sforzò di sembrare interessata alle opere esposte, ma la sua mente continuava a vagare tra una notifica e l'altra. Il salone era pieno di turisti e famiglie e la sua mente si spostava da una foto all’altra senza davvero soffermarsi su nulla. Poi, all’improvviso, qualcosa catturò la sua attenzione. Dentro di lei sentì qualcosa risvegliarsi. La sua mente, che di solito correva a mille all’ora, si fermò improvvisamente. Ad averla colpita non era una delle fotografie più apprezzate o con più gente ad osservarla, anzi a dire la verità sembrava che solo lei l'avesse notata. Uno scatto dimenticato, finito lì per sbaglio. Mostrava un paesaggio in bianco e nero, con due persone anziane al centro che si tenevano per mano. Non si vedevano le facce ma si poteva percepire che quei due erano uniti da un legame speciale, e al tempo stesso inscindibile . La foto mostrava una scena tranquilla ma solitaria, con contorni sbiaditi, che contrastava con la frenesia che Sara sentiva dentro; dava la sensazione che ogni problema della vita potesse essere messo da parte, finché si osservava quello scatto rubato. Sara si sentiva stranamente attratta proprio da quella foto, ma non sapeva spiegarne il perché. Quella foto non aveva nulla a che fare con il frastuono dei social o con le immagini perfette che vedeva ogni giorno sul telefono e, forse proprio per questo, non la faceva sentire sbagliata, di troppo o semplicemente sola. Anzi sembrava dirle: “In questo angolo di mondo c’è posto anche per te”.
Ad un certo punto sentì una voce da dietro dirle: “Ti piace questa foto?”
Si girò, e vide una ragazza che non aveva mai davvero notato prima, ma che ora riconosceva come una sua compagna di classe. Una con cui in realtà non parlava nemmeno molto, il cui nome continuava a sfuggirle dalla mente.
Sara non si aspettava di trovarla lì e di certo non pensava di parlare con qualcuno in quel momento, ma qualcosa nell’espressione della compagna, mentre osservava lo scatto davanti a loro, la incuriosì.
La ragazza non sembrava essere lì per il solito tour turistico, o per fare delle storie da postare e di cui poi vantarsi. Sembrava veramente trovarsi in quel posto per apprezzare ciò che stava osservando, e questo colpì nel profondo Sara.
Finalmente, dopo svariati minuti di silenzio, Sara rispose, un po' sorpresa dalla domanda: "Non lo so, è strano. Non è una delle foto più famose, ma... c'è qualcosa che mi fa riflettere."
La ragazza sorrise, avvicinandosi di un passo: "Anch'io trovo che abbia qualcosa di speciale. Forse è proprio il fatto che non cerca di impressionare, di farsi notare, che la rende così potente. È come se ci volesse dire qualcosa, ma lo fa in silenzio. Non urla, ma sussurra.”
Sara annuì pensierosa. "Sì, come se fosse stata dimenticata e non volesse essere notata, ma avesse bisogno di qualcuno che la guardi davvero, senza fretta. Sai, a volte mi sembra che tutti siamo così distratti dai social e dalla vita in generale, dalle immagini perfette, dal bisogno di piacere agli altri, che finiamo per non fermarci mai davvero a guardare ciò che conta, o quello che potrebbe veramente toccarci nel profondo. E questo ci fa sentire soli, nonostante siamo sempre circondati dagli altri."
Per Sara quella era la prima volta che concretizzava a parole quei pensieri che la attanagliavano da molto.
L’altra ragazza la squadrò con interesse, come un bambino con un nuovo giocattolo, e disse: “ Vero, spesso ci perdiamo nelle immagini perfette, nel bisogno di piacere agli altri, nella necessità di non essere esclusi e ci dimentichiamo che la vera connessione arriva solo quando ci fermiamo, quando ci prendiamo il tempo per guardare davvero, ma guarda queste due persone in questa foto, loro lo hanno capito e hanno trovato qualcosa di vero e profondo, quindi forse anche tutti noi potremmo riuscirci”.
Sara continuò a risentire quelle parole anche molto dopo che la sua compagna aveva smesso di pronunciarle e se ne era andata. Era rimasta colpita, e non tanto per la fotografia o per la conversazione che aveva avuto in sé per sé, o almeno non solo per quello; a lasciarla a bocca aperta era stata l’idea che, come lei, anche qualcun altro stava cercando di sopravvivere in un mondo che correva troppo veloce e che cercava sempre l’approvazione e la perfezione secondo gli altri.
Mentre lasciava il museo, Sara guardò di nuovo la fotografia e pensò che sicuramente la vera connessione non era quella che tutti cercavano continuamente sui social, nei messaggi e nelle foto impeccabili. Le connessioni vere stavano nella capacità di fermarsi, di osservare, di ascoltare senza fretta e senza filtri. Sara sentiva di aver trovato una vera amica e sapeva anche di essersi legata veramente con la nuova ragazza, in un modo che non sarebbe stato possibile sui social. E forse, comprese, per cercare qualcosa di autentico, doveva iniziare a cercare in modo diverso, a esplorare non solo il mondo virtuale, ma anche quello che si nascondeva nei dettagli più silenziosi della realtà.
Quando uscì dal museo, la brezza della sera la accolse, sollevando i suoi capelli e facendola rabbrividire nella giacca. Il sole stava lentamente cedendo il passo alla luna, ma Sara sentiva che quella giornata, strana e inaspettata, aveva comunque avuto un valore. In un mondo che correva troppo veloce, aveva trovato un piccolo spazio per fermarsi, riflettere e, forse, iniziare a guardare la realtà con occhi nuovi.
Dopo tutto non aveva sprecato un pomeriggio.
“Noi cittadini del mondo”
di Giorgia Datteri, 4DL
Passeranno gli anni e diventeremo grandi, i capelli bianchi e il segno del tempo che passa nel nostro viso.
Immagino una casa calda e sicura e dei ragazzi giovani che giocano spensierati e felici.
“Nonna a scuola abbiamo parlato delle guerre nel mondo, ci hanno spiegato che i bambini non giocavano tranquilli e felici come noi.”
Ricordo i pasti caldi e le risate con gli amici.
Ricordo i giochi e il Natale con la famiglia.
Ricordo le ginocchia sbucciate per il troppo giocare e il sorriso in volto nonostante il dolore.
Ricordo la spensieratezza.
“Nonna, ci hanno parlato della Palestina: ma è vero che lì i ragazzi non potevano giocare e venivano trattati male, venivano uccisi?”
Capelli scompigliati.
Occhi spenti, ormai persi nella vana ricerca di speranza.
Tagli e ferite nei piccoli visi.
La memoria riaffiora come un fiume in piena, travolge ogni parte di me quella sensazione di vuoto e dolore.
Lì in Palestina quei giovani avevano dei sogni: quel bambino morto sotto le macerie della propria casa colpita da una bomba voleva diventare un dottore, e chissà, magari sarebbe stato il più bravo e avrebbe viaggiato per tutto il mondo, salvando vite.
Invece, quella ragazzina morta perché malnutrita era un fiore non ancora sbocciato, lei ne aveva di sogni: per esempio voleva scrivere, diventare una scrittrice.
Proprio come quel fiore non ancora sbocciato, ricco di ingenuità, creatività e sogni i bambini possono essere tutto.
Sono piloti, pirati, astronauti, dottori e scrittori, ma non solo.
Nella loro purezza chiedono e domandano qualsiasi cosa, nel loro mondo ancora da scoprire e conoscere.
Per questo la nonna ha spiegato al proprio nipotino che era vero: i bambini in Palestina non giocavano tutto il giorno con le Barbie o con le macchinine.
Quelle piccole creature erano indifese e pensavano solamente a come sopravvivere giorno per giorno, lasciavano la loro infanzia e purezza da parte per essere travolti dal mondo che li circondava.
Svanivano come polvere nell’aria, i loro sogni distrutti dalle bombe e con essi la possibilità di vivere.
Noi siamo resi schiavi da una routine frettolosa e senza freni e con leggerezza sfogliamo giornali e guardiamo i social.
Ci sentiamo lontani dalle disgrazie altrui e per questo viviamo ogni giorno convinti che nulla possa toccarci.
Ma nonostante tutto, siamo e saremo, fino al nostro ultimo respiro, tutti cittadini del mondo.