Gennaio - 2025 - numero 11
I DOLORI DEL GIOVANE WERTHER di J. W. Goethe
di Isabella Mechelli, 3DL
Quando si nomina questo autore tedesco, nato a Francoforte sul Meno il 28 agosto del 1749 e deceduto a Weimar il 22 marzo del 1832, spesso come prima cosa ci viene alla mente solo una parola, un titolo: “Faust”; questo non sta però a significare che sia stato il suo unico capolavoro.
Nel settembre del 1774, difatti, il mondo conobbe “I dolori del giovane Werther”.
L’opera consiste in un romanzo epistolare che si sviluppa attorno alle vicende di Werther, un giovane intellettuale dall’animo sensibile e appassionato che fa la conoscenza di due promessi sposi, Albert e Charlotte (soprannominata affettuosamente Lotte); lei è una virtuosa fanciulla dagli occhi neri, di cui il protagonista si innamora quasi inevitabilmente.
Werther vive in un costante stato di impotenza: non è in grado di realizzare la propria personalità a causa delle convenzioni del tempo, e gli è impossibile accettare lo schema sociale secondo cui un uomo e una donna, nel caso in cui il loro amore non sia permesso, debbano instaurare un rapporto quasi fraterno. La donna che ama gli è preclusa, e la frustrazione, il dolore e la disperazione che ne conseguono lo convincono, in un primo momento, a tentare di instaurare un’amicizia con Lotte tanto quanto con Albert.
Tuttavia, con il passare del tempo, questi sentimenti si fanno sempre più profondi, si radicano nell’anima del giovane uomo, portandolo alla perdizione e spingendolo ad afferrare una pistola, appoggiarla poco sopra all’occhio destro e premere il grilletto.
Goethe con il suo romanzo vuole farci comprendere quanto in realtà siamo fragili noi esseri umani; poco importa l’età, il rango, l’impiego: davanti all’amore siamo tutti completamente, irrevocabilmente disarmati. Vuole metterci davanti al fatto che nonostante ognuno di noi sia diverso dall’altro, condividiamo il modo di vivere l’amore.
Non a caso viene chiamato “classico” questo libro, anche dopo secoli dalla prima volta in cui è stato pubblicato, ha ancora qualcosa da dire; trova il modo di essere attuale, di incastrarsi nella nostra contemporaneità. E come potrebbe non farlo? La maggior parte di noi è formata da ragazzi, siamo giovani, viviamo i primi amori: e insieme a Werther sperimentiamo l’entusiasmo, l’impazienza che precede un incontro (“La vedrò! E allora per il resto della giornata non ho altro desiderio. Tutto, tutto si intreccia in questa prospettiva”), i sogni ad occhi aperti (“Tutte le mie preghiere sono rivolte a lei, alla mia immaginazione non appaiono altre sembianze se non la sua e percepisco tutto ciò che mi circonda solo in relazione a lei.”), il riconoscersi (“Al mondo non esiste gioia maggiore del vedere una grande anima svelarsi a un’altra”); ma allo stesso modo sentiamo la gelosia (“A volte non capisco come possa amarla, abbia il diritto di amarla un altro, quando io la amo in modo così esclusivo, così profondo, così pieno, senza capire, senza sapere, senza avere altro che lei”), lo strazio causato dalle parole della persona amata (“Distogliete questo affetto senza prospettive da una persona che altro non può fare se non compatirvi [...], non vi rendete conto che vi state ingannando, che vi state consapevolmente annientando?”).
“I dolori del giovane Werther” è stato scritto 250 anni fa, ma continuerà ad insegnarci cosa voglia dire essere amati in modo puro; continuerà a mostrarci il significato di amare qualcuno in modo così profondo da non desiderare altra presenza se non la sua; da non volere nessuno sguardo addosso se non il suo; da cercarlo con gli occhi ovunque andiamo.
Werther è chiunque soffra per il suo amore impossibile.
Werther è chiunque abbia un cuore fragile ma ardente, in grado di regalare l’amore più incondizionato.
Werther è chiunque si lasci trasportare completamente dai propri sentimenti ed è felice così.
Werther è in ognuno di noi. Qualcuno potrebbe dire che “ha fatto una brutta fine”, ma come disse Bukowski:
“Molte cose potrebbero uccidere, alcune lentamente, altre velocemente, ma è molto meglio essere uccisi da un amore.”
Quando qualcuno ti ama
Eleonora Calisti, Giulia Negozianti, Alexander Chaucala 4°CB
Lo scorso 25 Novembre, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, alcune classi dell’IIS Giordano Bruno si sono recate presso la Sala del Consiglio del Palazzo della Provincia di Perugia. L’incontro è stato organizzato con il patrocinio del Comune e del Centro per le Pari Opportunità della Regione Umbria e nasce dall’esigenza di riflettere su un tema fondamentale: il rispetto nelle relazioni, con particolare attenzione al ruolo della parità di genere. Dopo i saluti istituzionali hanno preso la parola alcuni esperti, tra cui la dottoressa De Leonibus, psicologa e psicoterapeuta, che ha tenuto un intervento toccante e ricco di significato, ha lasciato agli studenti un messaggio chiaro e incisivo scritto su un semplice foglietto, che le ha permesso di discutere sul concetto di un amore sano e rispettoso, mettendo in evidenza come le relazioni debbano essere basate sulla fiducia e sul rispetto reciproco. La dottoressa ha sottolineato che quando qualcuno ci ama veramente, il comportamento di quella persona deve essere guidato dal rispetto dei nostri sentimenti, delle nostre scelte e della nostra individualità. “L'amore non umilia mai”, ha dichiarato la De Leonibus ai ragazzi presenti. “Chi ti ama ti valorizza, non ti abbassa. Non ti tratta con disprezzo, non ti mette sotto pressione per farti agire o essere come lui o come lei vorrebbe. Non ti fa sentire sbagliata per quello che sei o per quello che scegli di fare nella tua vita". Queste parole, apparentemente semplici, arrivano al cuore e ci sottolineano in un rapporto l'importanza del rispetto e della parità. Inoltre ha sottolineato che la violenza non è sempre visibile: spesso si nasconde in gesti quotidiani, in parole che minano l’autostima, in atteggiamenti di controllo e gelosia che vengono erroneamente giustificati come “amore”. Un altro punto fondamentale che la dottoressa ha evidenziato riguarda l'autonomia e la libertà all'interno della relazione: “L'amore vero non è quello che ti dice come vestirti, che ti impone un comportamento o che ridicolizza i tuoi progressi. Chi ti ama è al tuo fianco per sostenerti nelle tue scelte, per celebrare insieme a te ogni passo avanti, anche se piccolo, senza deridere o sottovalutare ciò che fai”. Un tema su cui ha focalizzato l’attenzione è stato quello del controllo. L'amore sano è fiducia reciproca. Chi ti ama non cerca di limitare la tua libertà, non ti isola da amici e familiari, non ti sorveglia in ogni tuo movimento. Il rispetto per l'autonomia dell'altro è essenziale per una relazione equilibrata. La dottoressa ha poi ribadito che l'invidia non ha posto in una relazione sana. “Chi ti ama non è geloso dei tuoi successi. Ti supporta e si rallegra per ciò che raggiungi. La felicità dell'altro è una fonte di gioia, non di competizione”. Infine, la De Leonibus ha invitato tutti i presenti a riflettere sul significato di un amore che rispetta i confini e la dignità personale, perché nessuno dovrebbe mai giustificare comportamenti che ledono la dignità di una persona. Il messaggio che vuole diffondere, è chiaro, ed è espresso da un semplice foglietto che riportiamo a lato dell’articolo.
“Com’eri vestita?
di Lisa Gabrielli, Chiara Capuano e Virginia Tardioli 5CB
Il 31,5% delle donne ha subito violenza.
Sul proprio letto, dentro la casa in cui si sentiva protetta, nel posto di lavoro che amava, nello svago di una festa per la laurea, nella casa degli zii, nel giardino di casa sua a qualche passo dal portone, sulla scrivania del suo ufficio.
Una violenza trasversale, una violenza fisica, una violenza psicologica ed economica.
Il 25 novembre è la Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e quest’anno il numero dei femminicidi sale quasi a quota cento. Questi sono i terrificanti dati che abbiamo ricavato dall’incontro di Amnesty denominato “Com’eri vestita?”.
Il nostro Istituto ha voluto focalizzare l’attenzione su questa giornata tramite l’organizzazione di una toccante mostra realizzata dalle studentesse e dagli studenti dell’Indirizzo Sistema Moda.
Questa mostra ha lo scopo di smuovere le coscienze e di far emergere riflessioni su quanto sta accadendo oggi nel mondo. In particolar modo, ciò che vuole trasmettere è che il modo di vestire delle vittime non giustifica né spiega, in nessun modo, una violenza. Ma la cosa più assurda ed impattante sono proprio gli abiti raffigurati nella mostra. Uno sbalordimento generale e uno strano senso di riconoscimento in quei tessuti così semplici. Erano così vari e quotidiani, da un semplice pigiama, a una divisa scolastica o di lavoro, un vestito nero da sera, un camice, jeans larghi e maglione… insomma vestiti normalissimi che tutte noi indossiamo giornalmente. E dopo aver visto ciò, è ancora davvero necessario colpevolizzare quelle povere ragazze vittime di violenza con frasi e domande senza senso: “Com’eri vestita? Eri troppo provocante? Te la sei cercata…”
Noi ragazze abbiamo il diritto di vestirci come vogliamo senza il timore di non tornare a casa dopo quella giornata di lavoro o dopo quella festa con le amiche. Il modo di vestirci non incide minimamente sul nostro consenso. Una gonna non significa "sì", un sorriso non significa “si” e nemmeno un saluto. Un "sì" deve essere detto ad alta voce. Se dico “no” o “basta” tu non hai il diritto di continuare.
Sono semplici e scontati principi che non riescono, però, ad essere rispettati in una società con instabili e sbagliate fondamenta. E’ necessario cambiare la mentalità maschilista e retrograda inculcata nel genere maschile da sempre sin da piccoli. “Non bisogna proteggere le donne, bisogna educare la società e gli uomini."
Ulteriori sconvolgenti dati ricavati da Amnesty, riportano che:
-una donna su 20 nell’UE è stata stuprata;
-una donna su 10 ha subito una qualche violenza sessuale.
Per quanto concerne le norme che regolano la violenza sessuale, soltanto nel luglio 2024 il sesso senza consenso è stato definito stupro nei Paesi Bassi mentre nella maggior parte degli altri stati, per essere definito tale, l’atto dev’essere compiuto con l’utilizzo di varie forme di violenza.
Secondo la legge esistono 3 modelli di consenso:
-consenso puro;
-consenso limitato, secondo cui lo stupro avviene solo se viene espresso esplicitamente il dissenso;
-consenso vincolato, secondo cui può essere considerato stupro soltanto un atto che utilizza violenza, minacce e uso della forza. (al momento questo tipo di consenso vige all’interno delle norme italiane).
Ma da dove nasce effettivamente la violenza?
La violenza si origina dal nostro contesto sociale, ambientale e culturale; nasce da quello che ascoltiamo, da quello che viviamo in famiglia e a scuola, ma soprattutto nasce da quello che scegliamo di essere. Spesso le donne vittime di questo fenomeno entrano in un circolo vizioso da cui non riescono a uscire. È importante, però, riconoscere la violenza in tutte le sue forme e in tutte le fasi che affronta prima che sfoci in brutalità e aggressività.
Il concetto per il quale una donna che denuncia la violenza subita rischia di essere colpevolizzata è ancora, purtroppo, particolarmente presente in Europa, in Italia, e in generale in tutto il mondo.
Amnesty International porta avanti una campagna per la modificazione dell’articolo che regola lo stupro in Italia. Alcuni stati hanno ratificato la Convenzione di Istanbul, un trattato internazionale con una rilevante importanza contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. Come stabilito dagli articoli 5 e 6, la Convenzione obbliga gli Stati a prevenire il verificarsi delle violenze, con misure che ridefiniscono i ruoli di genere tradizionali e contrastano gli stereotipi che rendono accettabile la violenza di genere. L’Italia ha preso parte alla ratifica della Convenzione ma ancora senza nessun risultato o modifica nella fattispecie penale. Altri articoli di questa Convenzione comprendono:
-prevenzione e trattamento della violenza;
-denuncia e giustizia sicura da parte delle donne;
-rispetto e uguaglianza di genere;
-istituzione dei centri anti violenza (presenti in Italia ma non a sufficienza).
Amnesty International è un’associazione che presenta obiettivi con rilevanza sociale e culturale soprattutto a livello dei diritti umani, si occupa di verificare lo stato dei diritti umani nel mondo, e prova a far sì che le violazioni di questi ultimi cessino. Protegge il diritto di protestare e manifestare, e porta avanti una campagna in difesa dei prigionieri di coscienza.
Ringraziamo ancora Amnesty International per l’opportunità che ci ha fornito per riflettere a fondo su quanto sta accadendo nel mondo e nel nostro Paese e ricordiamo che è un’associazione a cui tutti possono aderire tramite una semplice iscrizione al loro sito.
ANDARE OLTRE IL PREGIUDIZIO
“Il ragazzo dai pantaloni rosa” commuove il pubblico dei giovani
Alcune alunne della 3 CB
Sette milioni e mezzo di euro di incasso, 1.148.353 spettatori, al secondo posto del box office. Secondo i dati Cinetel, è Il ragazzo dai pantaloni rosa di Margherita Ferri, caso cinematografico dell’anno, maggior incasso italiano del 2024. Questi alcuni dati del film che alcune classi dell’IIS Giordano Bruno hanno visto nel novembre scorso. Il film racconta la drammatica vicenda di Andrea Spezzacatena, un adolescente che ha subito atti di bullismo omofobo e che si è tolto la vita nel 2012. Il film si ispira al libro “Andrea oltre i pantaloni rosa” scritto da Teresa Manes, la madre del ragazzo. La trama del film segue ciò che è realmente accaduto nel 2012.
Brevemente i fatti: Andrea, il protagonista, un ragazzo brillante e sensibile viene preso di mira dai compagni per aver indossato un paio di pantaloni che la mamma aveva erroneamente scolorito. Le continue umiliazioni, fatte di chat con commenti che lo deridevano accompagnati da prese in giro all’interno della scuola, provocano in lui uno stato di prostrazione e depressione che lo condurrà alla decisione estrema: il suicidio.
Il film, è particolarmente piaciuto a noi adolescenti perché ha toccato tematiche sulle quali ci confrontiamo quotidianamente, inoltre la presenza in sala della madre, Teresa Manes, della regista Margherita Ferri e di Samuele Carrino (Andrea nel film) hanno contribuito a rendere particolarmente toccante e veritiera la storia di Andrea.
“Questo film non nasce per colpevolizzare qualcuno ma per essere un viaggio da vivere, con un finale emotivo che non può lasciare indifferenti. Volevamo stimolare un dibattito, rievocare un episodio così drammatico stimolando un confronto aperto. L’intento era di riportare Andrea tra i banchi di scuola: ci siamo riusciti” queste sono le parole della registra Margherita Ferri all’incontro in live dopo la visione del film. La regista precisa anche che il film è stato realizzato per sensibilizzare il pubblico, in particolar modo i ragazzi, sulla tematica del bullismo, infatti, nonostante la vicenda sia accaduta 12 anni fa, i casi di bullismo sono sempre sono sempre più frequenti.
Dopo la visione del film la nostra classe ha avuto modo di confrontarsi esprimendo le proprie riflessioni ed emozioni. Ne è nato poi un costruttivo dibattito nel quale abbiamo avuto modo di esprimere le nostre considerazioni in merito che qui di seguito riportiamo.
“E’da ammirare il coraggio di Andrea che è rimasto sempre sé stesso, non dando peso ai pregiudizi degli altri, mi ha fatto tanto riflettere su quanto io stessa pur di non essere giudicata metto da parte ciò che mi piace davvero.” (Giulia).
“Gli adulti, come i genitori e gli insegnanti giocano un ruolo fondamentale nel creare un ambiente sicuro e accogliente per i ragazzi.” (Arianna)
“Le scene più intense del film sono quelle in cui il protagonista affronta l’umiliazione e i giudizi dei compagni. Un momento emozionante è quando decide di indossare i pantaloni rosa, simbolo della sua identità e del suo coraggio.”(Thais).
“Mi ha colpita la scena del confronto con la madre, lei lo sostiene nonostante le critiche ed emerge un momento di amore incondizionato che mi ha toccato profondamente.” (Nathalie)
“Nel film la tensione e il timore del giudizio altrui si mescola con la determinazione di Andrea.”(Valeria).
CHRISTMAS IN THE USA
Come si vive la preparazione del Natale in una famiglia americana
di Giulia Negozianti 4 CB
Ogni anno, con l'arrivo di dicembre, le città americane si trasformano in un tripudio di luci, colori e canti che celebrano l'attesa del Natale. Ma oltre lo scintillio delle decorazioni e il trambusto dei centri commerciali, il vero cuore delle festività si trova nelle case delle famiglie. In una normale famiglia cristiana americana, il Natale è molto più che uno scambio di regali: è un momento di riflessione, fede e condivisione. Tra la preparazione dell'albero, le serate trascorse a decorare biscotti e le preghiere della Vigilia, il Natale diventa un'occasione per rinsaldare i legami familiari e rivivere le tradizioni che si tramandano di generazione in generazione.
Il Natale, si sa, è un momento di unione e di tradizioni che scaldano il cuore. Per la nostra famiglia americana, la vera celebrazione comincia la Vigilia di Natale, un giorno intriso di ritualità e affetto. La serata si apre con la partecipazione alla messa, un momento di riflessione e spiritualità che ricorda il vero significato della festività. Al rientro a casa, ci si riunisce attorno al tavolo per gustare una fonduta di carne e formaggio, un piatto semplice ma speciale, simbolo del calore familiare.
Il giorno di Natale è dedicato allo scambio dei regali, un'occasione per condividere gesti d'amore e riconoscenza, seguita da una cena abbondante con tutta la famiglia al completo.
Le decorazioni giocano un ruolo fondamentale nel creare l’atmosfera natalizia. La nostra casa si veste di luci all’esterno, mentre all’interno il grande albero di Natale troneggia con i suoi ornamenti scintillanti. Sopra il camino, le calze natalizie trovano il loro posto, pronte a custodire piccoli doni e sorprese. Il rosso e il verde dominano tra le decorazioni, richiamando i colori della tradizione.
E non è Natale senza una colonna sonora speciale: ogni anno, Last Christmas risuona tra le pareti di casa, un inno ormai irrinunciabile che ci accompagna nei preparativi e nelle celebrazioni.
Così, tra luci, sapori e canzoni, il nostro Natale diventa un momento unico, un intreccio di tradizioni semplici ma intramontabili che rafforzano i legami familiari e ci regalano ricordi indimenticabili.
Infine, la cucina gioca un ruolo da protagonista. Tra le ricette più amate spicca una prelibatezza che riscalda i cuori: la fonduta, simbolo di condivisione e allegria. Preparata con carne tenera e formaggi di qualità, è il piatto che accompagna tanti momenti preziosi.
Se siete curiosi e volete provare questa specialità, vi lascio qui la ricetta della mia famiglia americana.
Architetture a confronto
Un podcast che vi accompagnerà in un viaggio nel tempo alla scoperta di analogie e differenze tra l'architettura di Le Corbusier e il palazzo di Cnosso.
Ideato e realizzato da Greta Cappellin, classe 3A linguistico., montaggio di Leonardo Maccarone Marucci