IC Villa San Martino Pesaro
Concorso letterario "in 3 Parole"
indetto dalla fondazione "Lucrezia Tangorra"
TERZO POSTO
Che noia l’adolescenza.
Piena di collisioni con me stessa, di porte sbattute in faccia nella mia mente e bicchieri di acqua congelata che arrivano come missili.
I miei genitori mi ripetono sempre che è il periodo più bello della vita, che poi quando cresci, ricordi con amore, come un passato lontano che non puoi più raggiungere, ma che ti basta ricordare.
Non so se crederci, non capisco in cosa sarebbe bella questa fase, brufoli, alterazioni psicologiche varie e, nella maggior parte delle volte, litigate con gli amici per semplici nervosismi.
Di una sola cosa, forse, ringrazio l’adolescenza, di avermi fatto aprire gli occhi su chi ho davanti, infatti sono dell’idea che in questo periodo molti se ne vanno, si allontanano e si distaccano, altri si avvicinano, ti aiutano e supportano.
Alcuni ti sparlano dietro, altri hanno il coraggio di parlare con gli occhi puntati sul tuo viso, fermi, statici.
Alcuni ti tradiscono, ti fanno sentire male e ti offendono.
Però penso che faccia tutto parte del gioco.
L’adolescenza è così, un giorno ti alzi, fai un sorriso e ti sembra di conquistare il mondo anche solo se sai fare un'espressione di algebra e il giorno dopo vuoi solo chiuderti in camera a piangere con i tuoi sogni impossibili.
Un giorno le persone ti aiutano, ti considerano e chiamano, il giorno dopo non esisti.
Un giorno ti chiudi nel bagno della scuola a saltare dalla felicità, il giorno dopo ti rinchiudi li per appoggiarti al muro e contare quante volte vorresti entrare in un mondo parallelo e tornare qui quando sei già adulta.
Mi chiamo Rebecca, ho tredici anni, in realtà quasi quattordici, frequento la terza media alla scuola Manzoni.
Pratico danza, quell’unica disciplina che quando sono immersa nei pensieri mi lancia un cappio e mi porta nel mio mondo, quel piccolo spazio di cui sono molto gelosa, quel piccolo luogo dove tutti ci rifugiamo nella mente, quel cassetto pieno di cose senza nome ma a cui, indipendente dal loro titolo, amiamo.
Il mio rifugio adolescenziale non è ascoltare musica, ma crearla con il mio corpo.
E penso, anzi, sono sicura che con la crescita non l'abbandonerò mai.
A volte, mentre cammino sola nella strada per tornare a casa, con la pioggia che cade svelta per scivolare nei miei capelli, zuppi, come la mia mente, non faccio altro che pensare al mio passato, non che sia così lungo da raccontare, ma abbastanza per far capire chi ero prima, come mi comportavo, com’è cambiato il mio approccio con gli altri.
Questa, forse, è un’altra cosa per cui ringrazio l’adolescenza.
Prima ero molto impulsiva, decisa ed esuberante, lo sono tutt’ora. però, sarà per non avere voglia di chiacchierare tante volte, o perché sono veramente Maturata” come mi dice mia nonna, ho imparato molto ad ascoltare, aprire le orecchie, la mente e chiudere la bocca.
A volte, ho capito che prima di intervenire, serve ascoltare, ragionare e poi parlare.
Questo fa sì che non si parli a vanvera tanto per farlo, che non si dicano cose sbagliate.
Questa qualità dell’ascolto prima non la possedevo, anche alle elementari ho perso molti amici per colpa della mia impulsività.
Ora mi giudico diversa.
Ho fatto tanti sacrifici per arrivare dove sono ora e di questo sono orgogliosa.
Ho raccolto da sola i frutti del mio comportamento e li ho appesi nuovamente uno ad uno sull’albero per poi farli ricadere con meno insetti sopra.
Sono più pacata e tranquilla sotto molti aspetti, anche se ancora c’è molto su cui lavorare e ne sono pienamente consapevole.
Io, non penso che sia solo opera del caso, credo che veramente ad un certo punto della vita ci si trovi a contare i frutti sul pavimento e decidere come, dove e se vanno appesi di nuovo.
Per fare questa distinzione occorre la maturità.
Caratteristica rara, che si acquisisce solo nel tempo.
La maturità, è una delle poche qualità che non puoi comprare, che non puoi avere da piccolo.
Quando mi siedo sul muretto della chiesa per pensare, fissando l’orizzonte, pieno di nuvole a cui mi piace attribuire una forma ed un nome, sento il mio spirito uscire, vagare per i negozi vicini e ritornare quando si è preso un piccolo spazio per sé.
Ne abbiamo tutti bisogno alla fine, anche lo spirito di noi stessi, che io, personalmente, immagino come un fantasmino bianco che scappa per le strade scherzando con i passanti.
Mi piace pensare, mi trasporta dove voglio, senza confini, senza nessuno che mi trattiene, uno dei pochi momenti dove posso essere veramente me stessa.
Forte il potere della mente, se ci pensiamo.
Anche solamente quando prendiamo un quaderno, iniziamo a disegnarci sopra dei cuori, cerchi, quadrati o forme diverse e intanto la mente vaga nei cassetti più privati, quelli con doppio lucchetto e cintura di sicurezza.
Nessuno può sapere a cosa pensi, ma tu lo stai facendo.
Nessuno può penetrare nella tua mente e tu sei finalmente libera.
Che sensazione magnifica pensare.
Un po’ come ricordare, ragionare nuovamente su tutti i momenti belli o meno della vita.
Dal ricordo possiamo rinascere, nasconderci oppure onorarlo, raccontarlo e custodire questo con amore.
Io ad esempio ricordo tutti i momenti passati con gli amici, dal primo all’ultimo, ballare just dance in classe, uscire sotto la pioggia per poi rifugiarsi sotto ai portici dei condomini, correre in casa mia, la più vicina al parchetto in cui usciamo, per ripararci dalla pioggia.
Fa davvero tutto parte del gioco, le amicizie, le porte sbattute in faccia a me stessa e i sogni che si catapultano velocemente, uno dietro l’altro.
Il gioco dell’adolescenza… vince sempre lei.
Prende la mia pedina e la sposta sulla pedana come se fosse di sua proprietà, io posso solo cercare di guardare un punto fisso per non farmi girare la testa durante i mille cambiamenti.
Il punto fisso in realtà non è una persona a me cara, anche se so che ci saranno sempre non è un qualcosa di concreto.
Il punto fisso, ho capito che sono io.
Io vivo il periodo, io decido cosa fare della mia vita, io sono al timone di me stessa.
L’ho capito con il tempo, con gli sbagli e con le partite perse, ma ce l’ho fatta.
So molto bene che da grande, mi pentirò di aver definito così la mia adolescenza, noiosa.
Ma, penso, che faccia parte del gioco.
Se vince sempre lei, è normale che mi arrabbio.
Ma so anche, che ogni tanto, qualche partita a tavolino la vinco io, o forse me la lascia vincere.
Per cui, posso solo attendere gli altri spostamenti del fantasmino, della pedina e dei ricordi, come quelli di inside out, film che ho sempre amato.
Attendo e fisso il mio punto, prima o poi mi condurrà verso l’uscita da quello, che ora sembra un lunghissimo labirinto.
Poletti Rebecca 3.E
Scuola Secondaria A.Manzoni