La Storia

IL RINASCIMENTO

Il Rinascimento ebbe inizio in Italia intorno alla metà del 14° sec. e si affermò nel secolo successivo, caratterizzato dal rifiorire delle lettere e delle arti, della scienza e in genere della cultura e della vita civile e da una concezione filosofica ed etica più immanente.

Destinato ad estendersi successivamente e a differenziarsi nei diversi campi della cultura e dell’arte, ma con vaste risonanze in ogni settore della vita e dell’attività dell’uomo, il moto rinascimentale oltrepassò presto i confini dell’Italia, per diffondersi negli altri paesi europei.

I suoi limiti cronologici possono fissarsi, con buona approssimazione, tra la metà circa del Trecento e la fine del Cinquecento, anche se alcuni studiosi tendono a circoscrivere l’arco cronologico tra il 1400 e il 1550, altri tra il 1492 e il 1600.

Giovan Battista Moroni, nacque ad Albino intorno al 1520, quindi in pieno periodo rinascimentale.

Con i suoi ritratti conquistò la nobiltà del tempo e con le sue opere religiose adornò numerose chiese della bergamasca.

Celebre ritrattista “immortalò”, negli anni, rampolli e rappresentanti delle più importanti famiglie bergamasche, ma anche uomini e donne del popolo: avvocati, sarti e mercanti, ritratti con un realismo senza precedenti. Tra i colori a lui più cari troviamo il grigio, il nero e il rosa.

CANONI DI BELLEZZA DEL '500

Tra i quadri di Moroni ritroviamo moltissimi celebri ritratti di donne, ricche e popolane, che, come quelle degli altri pittori del tempo, incarnano i canoni di bellezza del ‘500. Una bellezza “piena” della donna adulta, intensa e sensuale.

La donna rinascimentale del 500 doveva essere piena, con fianchi larghi, seno prosperoso e bianchissimo, collo e mani lunghe e sottili, piedi piccoli e vita flessuosa.

Il viso era candido e tondo, il naso diritto, la bocca piccola, la fronte altissima e la gola bianca e liscia.

La pelle doveva essere rigorosamente bianca, i capelli lunghi e biondi, le labbra e le guance rosse, le sopracciglia scure e gli occhi preferibilmente neri.

La bellezza sta nell’armonia delle parti: il corpo della donna doveva possedere tre attributi di colore bianco, tre di colore rosso e tre nero.

Per rimarcare la propria nobiltà, la donna faceva ampio uso del trucco. Questo trucco non veniva preceduto da una detersione con acqua, per paura di assumere il colore dell'acqua contaminata, sostituita, invece, da un uso eccessivo di profumo e di fard rosso. I capelli venivano pettinati con acconciature ingarbugliate e complesse, arricchite da perle, diademi e pettini preziosi. Spesso la fronte veniva rasata, per scoprirla il più possibile e far apparire il collo più lungo.

Ecco alcuni dei segreti di bellezza per ottenere l'aspetto desiderato.

PER AVERE LA PELLE CHIARA:

  1. Si applicavano sulla pelle, prima di andare a dormire, molti unguenti ritenuti in grado di sbiancare la pelle come il guscio dell'uovo, il finocchio e grassi animali.

  2. Si poteva applicare anche una maschera al succo di limone e albume.

PER NEUTRALIZZARE LE RUGHE: si trascorreva la notte con una maschera a base di scaloppine crude di vitello, imbevute nel latte.

PER AVERE CAPELLI LUNGHI: venivano usati degli estratti di rana e lucertola, abbastanza disgustosi.


Oltre a questi trattamenti di bellezza, si ricorreva poi ad un trucco, che riproducesse i canoni dell’epoca.

Per ottenere il pallore, sinonimo di agiatezza ed elevato status sociale, le donne usavano l’amido di mais (l’antenato della cipria), oppure si applicava sul viso, in quantità abbondante, un pigmento inorganico bianco (biacca di piombo). Questo pigmento era molto coprente, ma molto tossico. Solo le gote e le labbra erano rosee e leggermente colorite.

Per far risaltare le vene blu, che erano segno di nobiltà, veniva utilizzata la matita di lapislazzulo, mentre, come ombretto, veniva adoperata la fuliggine.

Per ottenere capelli biondi e chiari le donne potevano scegliere tra questi tre trattamenti:

  • lavaggi frequenti con la lisciva, seguiti da asciugatura al sole (biondo rame);

  • maschere a base di una mistura di grano, bile di bue, radici e noci di zafferano (schiariture);

  • intrugli a base di fiori di lupino e zafferano (biondo).

In questo periodo, grazie allo sviluppo della cosmesi, si creano anche le prime trousse.

CATERINA SFORZA

Caterina Sforza nacque nel 1463 a Milano, da Galeazzo Maria Sforza e dalla bellissima dama di corte Lucrezia Landriani.

Cresciuta nella raffinata corte di Milano, divenne poi signora di Imola e contessa di Forlì.

Nella vita privata si dedicò a svariate attività, tra le quali primeggiavano gli esperimenti di alchimia e la passione per la caccia e la danza.

Occupatasi a lungo di erboristeria, medicina, cosmetica e alchimia, Caterina ci ha lasciato alcuni scritti contenenti segreti di salute e bellezza, di straordinaria modernità.

tra tutti, il manoscritto “Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì” è forse il ricettario più completo finora conosciuto, sulla medicina e la cosmesi del XV secolo.

Il manoscritto comprende 454 ricette, delle quali 358 riguardano la medicina, 30 la chimica e 66 raccontano la cosmetica del tempo.

Caterina non solo scrisse un ricettario, ma aveva fatto allestire un vero e proprio laboratorio alchemico, con tanto di calderoni e alambicchi, dove preparava, di persona, unguenti in grado di spianare le rughe del viso, oli contro la caduta dei capelli, colliri e callifughi.

Caterina lavorò anche per ricercare rimedi, che potessero curare tutte le infermità, quali le malattie della pelle, dei denti e delle mani e nelle sue ricette sono menzionate droghe, usate ancor oggi in fitoterapia, come il cardo mariano.

Tra tutti i suoi rimedi, quello forse più famoso è la miracolosa “acqua celeste”.

Di seguito vi propiniamo alcune delle “magiche” ricette di Caterina:

~ Acqua Celeste

È un tonico, realizzato con erbe aromatiche, bacche, fiori e spezie come salvia, basilico, rosmarino, garofano, menta, noce moscata, sambuco, rose bianche e rosse, incenso e anice. Le cronache riportano che fosse straordinariamente efficace ed in grado di far ringiovanire chiunque lo utilizzasse.

~ Maschera viso

Per avere una pelle perfetta, era necessario lavarsi la faccia con l’acqua bollente e poi tamponarla con del vino, per rendere bello il colorito.

Venivano poi messe sul viso fettine di carne di vitello, dopo essere state bagnate nel latte o in uova e farina.

~ Ricetta per far profumare l'alito

Per profumare l’alito basta raccogliere:

- scorza di cedro

- noce moscata

- chiodi di garofano

- cannella

polverizzare il tutto ed impastarlo con del vino, "et fanne pallottole et pigliane ante ed cibo et de poi el cibo".

~ Acqua per far crescere i capelli

Per far crescere i capelli si prepara un semplice decotto con una manciata di malva, del trifoglio, del prezzemolo lo si utilizza per diversi lavaggi.

~ Ricetta per far venir li capelli ricci

Invece, chi voleva i capelli ricci, doveva prendere le corna di un montone, polverizzarle, mischiare con dell’olio e ungere bene il capo con l’olio ottenuto.

Ed infine

~ Bizzarra ricetta per guarire ogni sorta di febbre

Basta polverizzare dello sterco di lupo seccato al sole e farlo bere all’infermo, in brodo di carne.

Forse non tutti sanno che…

Pare che l’enigmatica “Gioconda”, ritratta da Leonardo, sia proprio questa potente nobildonna vissuta alla fine del ’400. Inoltre, secondo molti storici, la ricetta “A fare capelli di tanè”, per scurire i capelli con il mallo delle noci annotata da Leonardo nei suoi appunti, sia un riferimento agli “Experimenti” che Caterina andava creando e raccogliendo.


SALUTE E MEDICINA NEL ‘500

La medicina rinascimentale subì molte modifiche e innovazioni, sia nell’aspetto pratico che nella teoria, grazie ad uno studio più approfondito dell’anatomia ed allo sfortunato susseguirsi di epidemie ed infezioni.

Le malattie infettive continuavano a diffondersi, perché per le persone il contagio era un qualcosa di inverosimile, credendo ancora alla teoria di Ippocrate e Galeno, che lo sminuiva completamente.

Inoltre, molte infezioni si diffusero per la mancanza di igiene. L’acqua era ancora considerata un mezzo di trasmissione di germi e batteri, così sovente un buon bagno era sostituito dall’uso del profumo. In questo modo, buona parte dello sporco rimaneva sulla pelle, nascosto dal trucco.

Le malattie più conosciute tra il Rinascimento e la fine del Medioevo furono la peste, la sifilide, la lebbra, la tubercolosi, la scabbia ed il tifo.

La peste è una malattia infettiva di origine batterica causata dalla pulce del ratto orientale attraverso il suo bacillo, che viene poi trasmessa da uomo a uomo. Esistono tre tipi di peste: bubbonica, setticemica e polmonare.

La peste bubbonica provoca l’infiammazione di uno o più linfonodi, solitamente nella zona inguinale o ascellare. Queste zone si gonfiano, creando i cosiddetti "bubboni" e causando dolore. Quando i linfonodi non sono più in grado di contenere la malattia, il bacillo si diffonde in tutto l'organismo, dando luogo alla peste setticemica e, se non curata alla morte dell’organismo. La peste polmonare che si sviluppa nell'apparato respiratorio, è trasmessa per via aerea, attraverso particelle di saliva o liquidi di un individuo infetto.

Oltre alle infezioni, nel 500 ritroviamo molte patologie causate dall’uso costante di cosmetici altamente tossici, che le donne usavano per adeguarsi ai canoni di bellezza del tempo. E’ proprio il caso di dirlo: «Colei che bella vuole apparire, pene e guai deve soffrire».

Mostrare una pelle candida e perfetta era un requisito di bellezza fondamentale, tanto che le donne erano disposte a tutto, persino alla morte per averla.

La biacca, usata per schiarire e illuminare il volto e la pelle, eliminando le imperfezioni e le macchie, era in realtà una miscela di metalli pesanti, come zinco e piombo, che portava a sterilità, a follia e invece che migliorare la pelle la deteriorava.

Le sopracciglia dovevano essere molto sottili e venivano truccate, assieme agli occhi, con la fuliggine. La fuliggine è una miscela bruna di carbone, con sostanze catramose e composti inorganici, che si deposita nei camini come residuo della combustione e che ha trovato, in passato, delle applicazioni sia nel campo dei coloranti, che come prodotto cosmetico. Oltre ad essere un forte agente inquinante, infatti, il particolato carbonioso porta con sé numerosi composti dannosi per l’apparato respiratorio.

PROFUMI NEL 500’

Nell’agosto del 1492, Cristoforo Colombo, credendo nella teoria della terra “rotonda”, tentò di raggiungere le Indie, navigando verso ovest.

Partito con le sue tre Caravelle, arrivò nelle Bahamas, convinto ancora di essere sbarcato nell’India Asiatica.

Ci vollero tre spedizioni, prima di capire che fosse un nuovo continente e solo Amerigo Vespucci fu il primo esploratore a rendersi conto di dove effettivamente fosse.

Dopo due anni dalla sua scoperta, l’America venne divisa tra Portogallo, che si prese la parte orientale, e la Spagna, che si prese la parte occidentale.

La scoperta di un nuovo mondo portò in Europa moltissimi nuovi ingredienti e profumazioni, commercializzati appunto dagli spagnoli e dai portoghesi. I nuovi ingredienti di origine americana, uniti a quelli provenienti dalle Indie, andarono ad arricchire le numerose preparazioni cosmetiche.

Tra le fragranze molto usate nel ‘500 troviamo:

  • cacao (di origine americana)

  • tabacco (di origine americana)

  • coppale (di origine americana - una resina vegetale, il cui nome deriva da “coppali” che vuol dire incenso)

  • vaniglia (di origine americana)

  • zenzero (di origine asiatica)

  • pepe (di origine asiatica)

  • benzoino (di origine asiatica- estratto dall’olio di mandorle)

  • garofano (di origine asiatica).

Queste fragranze erano utilizzate per produrre eccezionali profumi, molto usati per coprire l’odore, conseguenza della scarsa igiene.

In Italia, l’arte profumiera iniziò a svilupparsi già agli inizi del 1200, nel laboratorio di Firenze fondato dai Domenicani, ma solo nel 1500 incrementò il suo successo e venne affiancato dal laboratorio di Venezia, fondato dai Carmelitani.

Lo sviluppo dell’arte profumiera nel Rinascimento si deve anche alle scoperte di Leonardo, che, con i suoi studi di botanica sulla distillazione per alambicchi, rese possibile l’estrazione del profumo dai fiori.

Celebre è la sua ricetta del profumo di rose.

Questa ricetta è ben celata tra le righe del Codice Atlantico e tratta di un profumo di rose e lavanda che, secondo Leonardo, dovevano essere sciolte insieme in un solo gesto: l’esplorazione olfattiva di una mano sapiente.

“A ffare odore: tò buona acqua rosa e mòllatene le mani, di poi togli del fior di spigo e fregatelo fra l’una mano e l’altra, ed è buono”. Codice Atlantico, foglio 807r, vol.III

Per “coprire” il cattivo odore, si usavano anche dei sacchetti aromatizzati, che venivano messi fra la biancheria intima.

Gli aromi più utilizzati a tale scopo erano:

  • violetta

  • fiore d’arancia

  • lavanda

Infine, nel Rinascimento i profumi vennero applicati anche alla pratica medica. Alcuni medici iniziano a prendere in considerazione le materie “odorose”, di origine sia animale, che vegetale, come rimedi per alcuni mali. Vennero ideate le famose “marmites à plantes”, cioè dei bagni aromatici, per guarire da alcune malattie.


COLORI E PIGMENTI DEL '500

Nel ‘500, i colori e i pigmenti utilizzati erano nettamente differenti da quelli odierni: moltissimi si producevano appunto con materiali naturali.

Il blu

Fra i colori più costosi che si potevano reperire ai tempi, c’era il blu oltremare, ottenuto macinando il prezioso lapislazzuli, importato direttamente dalla zona nord-orientale dell’attuale Afghanistan.

Il colore azzurro poteva essere ottenuto con altri pigmenti come l’azzurrite, che però si deteriora rapidamente in affresco, oppure con il più resistente smaltino.

Lo smaltino ha una bella colorazione blu ed è un pigmento a base di vetro silico-potassico e assume la sua caratteristica colorazione grazie all’elevato contenuto di cobalto. Lo smaltino è proprio il pigmento che è stato usato per tutte le tonalità di celeste e blu nella volta della Sistina, mentre per il Giudizio Universale si fece un uso smodato del lapislazzuli.

Il verde

Per quanto riguarda il verde, erano tre i principali pigmenti adoperati: la malachite, il verde rame e la terra verde.

La malachite resiste bene all’azione della luce, ma si deteriora rapidamente, quando viene esposta all’azione degli agenti atmosferici. Non è adatta per la pittura in affresco, ma in tempi remoti, veniva usata per la pittura a tempera su muro, sopra una base di morellone o nero di vite.

Il verde rame si ricavava lasciando agire i vapori di aceto, su delle lastre di rame. Adoperato nella pittura a tempera e a olio, in affresco era necessario aumentare il suo potere coprente, mescolando il pigmento alla biacca o al giallorino.

Il pigmento verde più diffuso era la terra verde. Quella più pregiata arrivava da Verona, dalla Boemia e dalla Germania. Nel Rinascimento, il cosiddetto verdaccio, faceva da base agli incarnati, nei dipinti su tela e su tavola.

I rossi

Il rosso più prezioso si otteneva macinando il cinabro, un minerale a base di solfuro di mercurio, che si estraeva soprattutto in Spagna. Il colore ottenuto, noto come vermiglione, era caratterizzato da un bel rosso brillante molto caldo. Come altri pigmenti, anche questo aveva un grado elevato di tossicità.

Il minio, invece, era un pigmento che si otteneva in modo artificiale, riscaldando ad elevate temperature i sali di piombo. Aveva un elevato potere coprente e veniva utilizzato sia in affresco, che nella pittura a tempera e a olio.

Molto utilizzate erano anche le lacche con pigmenti di origine animale o vegetale. Per rendere più stabile il colore, si adoperava l’allume di Rocca ed il colore ottenuto era molto brillante.

Il giallo

Il giallo più in voga nel Rinascimento è dato dal realgar e dall’orpimento. Entrambi arrivavano dall’Asia Minore e dall’Asia Centrale. Il loro colore era particolarmente apprezzato, per creare effetti cangianti sulle vesti. L’orpimento, utilizzato da solo, poteva imitare pure l’oro e aiutava a non innalzare troppo i costi delle opere.

Il giallorino, invece, poteva essere ottenuto in modi diversi: quello di Napoli derivava dalla calcinazione del litargirio, dell’allume, dell’antimonio di potassio e dei sali di ammonio, mentre altri tipi di giallo avevano una base di ossido di piombo e stagno.