La Grotta

Storia del monumento

La Grotta dell'Acquasanta

Lo sviluppo delle borgate marinare della costa palermitana a nord dell’antico porto della Cala, sono in qualche modo legate allo sviluppo dei primi insediamenti antichi che sorsero nella parte pedemontana del monte Ercta, l’attuale monte Pellegrino. Fu infatti proprio su quel rilievo, poi definito “feudo di Barca”, che si era asserragliato il generale Amilcare Barca, per ben tre anni, insieme al suo esercito, con preciso intento di riconquistare la città che era caduta in mano ai romani.

In effetti osservando il sito ha la forma di una conca, riparata dai venti, ideale per l’approdo e la presenza di acque sorgive, era posto ideale per lo sviluppo di un villaggio di pescatori. Ed è alla presenza di una sorgente di acque minerali a cui sono state attribuite qualità terapeutiche che ha reso la borgata rinomata fin dai tempi remoti. Poche tracce di pittura rupestre nel basso tetto a botte fanno pensare che l’interno doveva essere tutto affrescato. Una piccola acquasantiera posta alla destra dell’ingresso è tutto ciò che rimane. Un piccolo ambiente ipogeico annesso alla piccola navata centrale era forse l’abitazione del custode – eremita. All’esterno sopra l’ingresso poche mattonelle maiolicate rappresentanti grappoli di uva con foglie alterne palmate su fondo bianco; il tutto ad incorniciare la scritta "Grotta dell’Acquasanta".

La presenza di un antico insediamento punico ha trovato conferma negli scavi archeologici fatti all’interno del parco di Villa Belmonte, ma anche nelle incisioni trovate dentro alcune grotte prospicienti il mare. Le grotte in questa zona della città sono principalmente quattro e dal punto di vista morfologico richiamano alla mente altri insediamenti punico fenici presenti a Gozo, a Gibilterra e nelle isole Baleari. Complessi archeologici relativi a un tipo di santuario, il tempio costiero – come ha approfondito Giovanni Purpura nei suoi studi – , principalmente extraurbano e legati a riti oracolari connessi alla navigazione.

In questa serie di grotte a schiera, la prima che s’incontra è quella che poi ha dato il nome ad un intero quartiere, denominata appunto grotta dell’Acquasanta e che nel Settecento fu al centro dell’interesse e dell’attenzione di molti viaggiatori provenienti da tutta Europa. Alla grotta si accede dal porticciolo dell’Acquasanta, di fronte al quale, nella piazzetta, si trova la villa appartenuta Giovanni Ventimiglia marchese di Geraci, con annessa chiesa dedicata alla Madonna della Lettera. Orbene, nella grotta, dentro cui scorreva acqua dalla grande funzione terapeutica, a partire dal Seicento, il barone Mariano Lanterna Gravina edificò la sua villa, la quale divenne in nucleo abitativo attorno al quale si sviluppò l’intera contrada marinara. Successivamente la villa venne ceduta ai fratelli Pandolfo, due sacerdoti che sfruttando la presenza della vicina fonte, decisero di impiantare accanto ad essa uno stabilimento balneare con acque curative, negli ultimi anni poi caduto in disuso.

Fu questo il periodo che la borgata raggiunse il suo massimo sviluppo grazie anche alla notorietà delle acque minerali che scaturivano all’interno della grotta, consigliate come efficace purgativo per la presenza di Sali alcalini, quali solfato di calcio e di magnesio, cloruro di calcio, sodio e magnesio. Nacque così nel 1871 per opera dei Fratelli Pandolfo, sacerdoti, proprietari sia della villa settecentesca che della grotta dove sgorgava l’acqua; decisero di costruire uno stabilimento di bagni termali caldi, freddi, sfruttando appunto, le qualità terapeutiche dell’acqua. Non mancarono le vasche, le docce, e i vapori benefici ottenuti grazie ai macchinari modernissimi in dotazione alle più rinomate terme dell’epoca. L’acqua alla fonte aveva una temperatura di circa 18 gradi, ma veniva riscaldata fino alla temperatura di circa 40- 42 gradi per la cura di determinate malattie. Il complesso raggiunse la sua massima rinomanza intorno agli anni 1891-92 quando le acque furono premiate dal giurì a chiusura dell’Esposizione Nazionale di Palermo e una lapide posta in quel che era il corridoio d’ingresso ai bagni ne ricorda la motivazione. Infine, un’ultima indagine condotta dal Dott Manlio Valli rileva che l’acqua aveva le stesse caratteristiche delle acque di Montecatini.

Oggi l’acqua non sgorga più perché incanalata in condutture che sfociano a mare, dello stabilimento rimane solamente la fatiscente facciata e le due targhe una all’ingresso dei bagni e l’altra posta all’ingresso del Vicolo Bagni Minerali mute testimoni del passaggio della più ricca ed elegante nobiltà palermitana… L’epigrafe della lapide di fig.11: "Quest’acqua minerale, ritenuta salutare dagli antichi, fu adoperata per le ribelli ostruzioni dei visceri, contro reumatismi cronici, gotta, calcolosi uriche, coprostasi, ecc. La scienza, in seguito, studiandone le qualità chimiche, la disse solfatica mista magnesiaca ferruginosa, confermando così la sua azione terapeutica nelle suddette malattie. La clinica ne sancì l’uso con i ripetuti ed accertati successi. Gli Ammalati lodarono l’efficacia per i benefici ricevuti; concorsero a divulgarla, a bene dell’umanità, ragguardevoli ed illustri cittadini, benemeriti ed operosi sanitari. In omaggio, il giurì dell’Esposizione Nazionale di Palermo la premiò meritatamente ai 7 giugno 1892" Tale fonte sgorgava all’interno di una piccola grotta sita in prossimità del mare che l’ha resa dapprima santuario pagano e poi trasformata in chiesa ipogeica dedicata alla Madonna. La chiesetta attualmente è nel più completo abbandono. Non rimane traccia dell'affresco della Madonna che tanto stupore destò per la sua resistenza all'umidità a cui era sottoposto. Il pavimento è tutto sconnesso soltanto poche mattonelle danno l'idea della pavimentazione originaria. Poche tracce di pittura rupestre nel basso tetto a botte fanno pensare che l'interno doveva essere tutto affrescato. Una piccola acquasantiera posta alla destra dell'ingresso è tutto ciò che rimane.

Accanto alla grotta è anche presente la grande peschiera voluta dai Borbone, all’interno della quale si trova anche la cosiddetta “nave di pietra”, ovvero una terrazza a forma di piroscafo, fatta costruire nel 1775 dal filantropo monsignor Giuseppe Gioeni Trabia, per istruire alla navigazione i giovani del neonato collegio nautico.