poesia all'angelo
Questa poesia ci è stata mandata da Carlo
Scandaglia attentamente ogni anfratto del corpo
tre le ascelle e i canini
sotto lingua costole e rughe
intorno al femore alle gengive
tra le dita dei piedi le unghie
oltre il bianco dell’occhio.
Esplora i pertugi e le fessure
dove l’angelo madreperlaceo
-miniaturizzatosi a giusta misura-
si potrebbe annidare.
Arrivato alla fine del braccio va’ a capo
perché è lì che comincia l’assenza
il bordo del volto è il confine
col vuoto
in fondo allo sguardo non si apre
che l’eco.
Perché il corpo è smangiato dal bianco
eroso da ciò che lambisce
e corrode sparisce scrosciando
dentro se stesso.
Poi uno dice divampa l’abbaglio
un rasoterra di polvere e muri
e tu butti all’aria l’inventario
l’intera collezione dei reperti
la cassetta coi rettili ad esempio
gettala tra galline e sciamani
il vecchio espositore degli insetti
dallo in pasto al coccodrillo
con i crostacei-giocattolo
a liquefare nel bianco.
L’angelo avrà lampi di aurora
nitore abbagliante in fondo agli occhi
suoi ciechi non occhi ma vuoti
crateri cavità che ti accolgono
ti sono tana mentre tu
ti rivolti e ti frughi
divorato dal morbo del cercare -su te-
il segno di un volto che irradia
la cicatrice di luce l’impronta
bianca di un’ala.