Il Movimento anarchico in Italia: dalla Resistenza alla ricostruzione

QUADERNI

della

F.I.A.P.

n.29

Paola Ferri

© I Quaderni della FIAP

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Quaderni della FIAP, n.29,

Il Movimento anarchico in Italia:dalla Resistenza alla ricostruzione

Paola Ferri

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Il Movimento anarchico in Italia: dalla Resistenza alla ricostruzione

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Lo studio del movimento anarchico presenta problemi che lo differenziano da quelli degli altri partiti politici e lo avvicinano se mai a quelli, oggi in atto anche in Italia, del movimento operaio in quanto realtà sociale che sta a monte delle sue espressioni politiche organizzate in partiti. Il fatto è che il movimento anarchico ha fatto la scelta ideologica di non porsi l’obiettivo di diventare un «partito» di maggioranza ma di essere un elemento agente (e quindi, data la realtà sociopolitica generale dell’epoca, di minoranza) all’interno di una massa potenzialmente rivoluzionaria e antiautoritaria, al fine di impedire al momento della esplosione rivoluzionaria il predominio di qualsiasi autorità, fosse quella della stessa classe proletaria. Nel movimento anarchico, per esempio, le strutture organizzative e le direttive d’azione immediate sono legate inscindibilmente. Le organizzazioni nascono solo se vengono credute funzionali ad obbiettivi immediati e sentiti sia dai militanti come dalla realtà in cui agiscono, in caso contrario è quasi automatico il rigetto. Certo questi aspetti sono i pregi e i limiti di questo movimento che possono essere condivisi o meno ma che per uno storico è indispensabile tener presente per non cedere in errori grossolani.

Forse proprio per questo gli studi su questo movimento si sono concentrati su aspetti «folcloristici» come la tendenza insurrezionalista o dell’individualismo senza accorgersi dell’intenso dibattito politico-culturale all’interno, e della sua concreta presa all’esterno e in particolar modo nel mondo del lavoro e nel movimento operaio in genere. Soprattutto riguardo a questo ultimo aspetto lo storico si trova di fronte a difficoltà di non poco conto trovandosi a dover valutare la reale influenza di un movimento che si fa vanto di non egemonizzare, né tanto meno di etichettare come anarchico qualsiasi sviluppo politico o qualsiasi lotta sociale nella quale pure abbia avuto una parte importante. Da qui due problemi: uno di approccio al «problema» anarchico, l’altro di valutazione delle fonti. Riguardo al primo aspetto è forse necessario più che altrove una conoscenza approfondita non solo della «teoria» ma della prassi del movimento anarchico, senza i quali non si può capire come un movimento dei lavoratori nato più di cento anni fa non è diventato un partito politico e rivela a tutt’oggi una vitalità insospettata, malgrado le molte sentenze di morte decretategli dalla cultura ufficiale e dai movimenti politici istituzionalizzati, e si può finire per considerare l’anarchismo alla stregua di movimenti terroristici, oppure populistici se non addirittura filosofici.

Riguardo alle fonti sono di primaria importanza le memorie dei vari militanti che servono più che per altri movimenti a completare l’iter dei momenti decisionali che si possono desumere dai resoconti dei congressi o dei convegni. A proposito di quest’ultimi c’è inoltre da dire che di rado hanno svolto la funzione di determinare un indirizzo vincolante, quasi sempre sono stati invece la sede più qualificata per confrontare e integrare le esperienze politiche dei vari gruppi e delle varie federazioni.

Essenziali sono i giornali del movimento, in primo luogo perché in genere indicano il formarsi di un gruppo o di una tendenza; in secondo luogo perché sono la spia più fedele dell’emergere e dello scomparire di certi obbiettivi, fornendo elementi preziosi sull’evoluzione della tattica e dell’organizzazione del movimento. Lo studio della stampa anarchica è comunque tra i più difficili che si possa incontrare. Ci si trova di fronte ad un enorme quantità di organi locali e regionali che hanno un senso solo se comparati e confrontati, tutti tra l’altro di non facile reperimento. La durata di queste pubblicazioni è molto spesso limitata, fatta eccezione di poche testate che abbracciano il movimento intero e servono per informazione e collegamento a livello nazionale. Molto spesso non è semplice interpretare le motivazioni di certe posizioni da periodici che durano pochissimi numeri sia per la mancanza di fondi, sia per la repressione poliziesca, oppure più semplicemente perché hanno esaurito la loro funzione: il problema è anche di distinguere tra queste varie cause. Ci troviamo di fronte a numeri unici, che in realtà non lo sono ma che passano come tali perché le autorità ritardano a dare l’autorizzazione, oppure a giornali che servono ad ampliare un dibattito già in atto all’interno del movimento che sottintendono quindi molti problemi spesso importantissimi e di cui va ricostruito tutto il momento precedente attraverso materiale di altro tipo, dalle memorie agli scarsi fondi archivistici, fino alle tracce sulla stampa anarchica negli altri paesi spesso molto attenta al dibattito interno al movimento italiano. Un ultimo avvertimento riguardo al linguaggio. In genere è un linguaggio, quello anarchico, che rifugge dalla terminologia tecnica ed ermetica dei partiti politici e della stampa di opinione. I giornali del movimento non sono diretti né hanno collaboratori necessariamente professionisti, anzi in genere sono fatti da lavoratori che si rivolgono ad altri lavoratori. Di qui un apparente semplicismo che porta a volte a sottovalutare la reale portata delle prese di posizioni espresse.