Primo Levi nasce a Torino nel 1919 da una famiglia ebrea di intellettuali piemontesi. Laureato in chimica e chimico di professione, diventa scrittore dopo la traumatica esperienza della deportazione nel campo di lavoro di Monowitz, che faceva parte dello stesso complesso del più noto Auschwitz.

È questo l’evento centrale della vita di Levi, che fa scattare la molla della scrittura, sentita come una necessità di confessione, di analisi, oltre che un dovere morale e civile. Il ricordo ed il trauma mai superato della deportazione e dell'esperienza di Auschwitz è anche probabilmente alla base del suo suicidio, avvenuto nel 1987.

Shoah: storia e significato dell'Olocausto degli ebrei

Fino al '38 Primo Levi è un normale studente con la passione della chimica; le leggi razziali gli fanno aprire gli occhi sulla natura del fascismo e lo spingono verso l’azione politica. Alla fine del '42 entra nel Partito d’Azione clandestino e dopo l’armistizio dell’8 settembre del '43 si unisce a un gruppo partigiano della Valle d’Aosta. Ma catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre dello stesso anno, viene internato nel campo di concentramento di Fossoli e nel febbraio del '44 deportato ad Auschwitz.

PRIMO LEVI, CITAZIONI Nel Lager, dove rimane circa un anno, Primo Levi riesce a sopravvivere grazie a circostanze fortunate, che ricorderà per tutta la vita. Racconterà infatti:

"Sono stato fortunato: per essere stato chimico, per avere incontrato un muratore che mi dava da mangiare, per avere superato le difficoltà del linguaggio…; mi sono ammalato una volta sola, alla fine, e anche questa è stata una fortuna, perchè ho evitato l’evacuazione dal lager: gli altri, i sani, sono morti tutti, perchè sono stati deportati verso Buchenwald e Mauthausen, in pieno inverno".

Il Lager incide profondamente sulle sue convinzioni: la coscienza di essere diverso in quanto ebreo lo spinge verso lo scetticismo religioso.

"Sono diventato ebreo in Auschwitz. La coscienza di sentirmi diverso mi è stata imposta. "

"L’esperienza di Auschwitz è stata per me tale da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa…. C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio".


Da Liliana Segre, una testimonianza Liliana

Da Liliana Segre, una testimonianza Liliana Segre abitava in Corso Magenta a Milano, dove è nata. Visse insieme a suo padre, Alberto Segre, e ai nonni paterni, Giuseppe Segre e Olga. La madre, Lucia Foligno, era morta quando lei non aveva ancora compiuto un anno. Dopo l'intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani suo padre la nascose presso degli amici utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 cercò, assieme al padre e due cugini, di fuggire in Svizzera, ma furono respinti dalle autorità elvetiche. Il giorno dopo Liliana venne arrestata a Selvetta di Viggiù (Varese): a quel momento aveva soltanto 13 anni. Dopo sei giorni nel carcere a Varese, fu trasferita a Como e alla fine a Milano, dove fu detenuta per circa un mese. Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal Binario 21 della stazione di Milano Centrale con destinazione al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau che raggiunse sette giorni dopo. Venne subito separata dal padre, che non rivedrà mai più, morto ad Auschwitz il 27 aprile 1944. Nel giugno del 1944 anche i suoi nonni paterni, arrestati a Inverigo (Como) il 18 maggio 1944, furono deportati e uccisi al loro arrivo ad Auschwitz. Il racconto dalle parole di Liliana Segre In fondo al binario senza ritorno. L’ultima volta che io vidi papà “Poi un giorno a tavola tuo padre ti dice che non puoi più frequentare la scuola, che non andrai in terza elementare. Hai 8 anni e non capisci. Ti dicono che ci sono «nuove leggi» e che per gli ebrei ora è così. E pazienza se per te essere ebrea fino a momento significa soltanto lʼesonero dallʼora di religione cattolica. Ma cʼè qualcosa di peggio del non poter più andare a scuola: è lʼindifferenza degli altri, il silenzio, lʼalzata di spalle della maestra Cesarina che, invitata a casa per darti conforto, dice «non le ho mica fatte io le leggi». E poi le compagne che non ti cercano più, il vicino di casa che smette di salutare la tua famiglia, gli amici che spariscono. Io mi ricordo quando il 30 gennaio 1944 a 13 anni fui costretta a salire su un camion che attraversava Milano per raggiungere i sotterranei della stazione Centrale. Partii con mio papà. Quando arrivammo a destinazione, io mi ricordo, gli ordini dei soldati: “uomini a destra e donne a sinistra”. E poi mio papà non lo vidi mai più. Imparai in fretta che lager significava morte, fame, freddo, umiliazioni, torture, esperimenti. E imparai anche a non concedere ai miei carcerieri il dominio della mia mente.” Lilliana Segre è sopravissuta. Il 27 gennaio 1945 le sbarre del cancello di Auschwitz vengono abbattute. Per oltre quarant’anni Lilliana Segre ha vissuto nel silenzio poi ha cominciato a raccontare e a testimoniare nelle scuole, nei convegni. Lo fa ancora oggi: “Quando giro per le scuole io invito sempre i ragazzi a non essere indifferenti. Eʼ peggiore della violenza. Lʼindifferenza è come una nuvola grigia, è terribile perchè non si può fare nulla a chi si gira dallʼaltra parte. Per questo è necessario trasmettere. Parlare e mettere al bando lʼindifferenza.”