Gianluca Braccini 

LA STAGIONE STRAGISTA

1992-1993  le bombe di Firenze, Roma e Milano


Tutte le storie e gli avvenimenti che hanno coinvolto le vittime innocenti di mafia ritratte nella mostra sono riprese dal sito Vivi (vivi.libera.it), frutto del lavoro del settore "Memoria" dell'Associazione Libera. Associazioni, Nomi e Numeri Contro le mafie


Attenzione: non tutti i ritratti della mostra raffigurano vittime innocenti di mafia ma anche mafiosi e personaggi coinvolti nelle loro vicende.

Attentato di San Giorgio in Velabro / Attentato di San Giovanni in Laterano 

Roma (RO) // 28 luglio 1993

Gli attentati alle chiese di Roma sono stati due attacchi terroristici organizzati dall'organizzazione mafiosa di cosa nostra avvenuti in sostanziale contemporaneità nei pressi della basilica di San Giovanni in Laterano e della chiesa di San Giorgio in Velabro.

Alle ore 00:03 un'autobomba esplose in piazza di San Giovanni in Laterano presso la Basilica di San Giovanni in Laterano e il Palazzo del Laterano mentre un altro attacco fu attuato cinque minuti dopo alle 00:08 nei pressi della chiesa di San Giorgio in Velabro, complessivamente si contarono ventidue feriti.
Quaranta minuti prima nella stessa notte un'altra autobomba esplose in via Palestro a Milano alle 23:14 circa.

Nel 1994 tutte le indagini sugli attentati di Roma, Firenze e Milano passarono alla Procura di Firenze, condotte dal procuratore capo Pier Luigi Vigna e dai sostituti procuratori Francesco Fleury, Gabriele Chelazzi e Giuseppe Nicolosi. Nel 1998 Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Salvatore Benigno, Luigi Giacalone, Emanuele Di Natale, Aldo Frabetti, Pietro Carra e Antonino Mangano vennero riconosciuti come esecutori materiali degli attentati alle chiese nella sentenza per le stragi del 1993.

Strage di Capaci 

Capaci (PA) // 23 maggio 1992

La strage di Capaci fu un attentato di stampo terroristico-mafioso compiuto da Cosa Nostra il 23 maggio 1992 nei pressi di Capaci (sul territorio di Isola delle Femmine) con una carica composta da tritolo, RDX e nitrato d'ammonio con potenza pari a 500 kg di tritolo, per uccidere il magistrato antimafia Giovanni Falcone. Gli attentatori fecero esplodere un tratto dell'autostrada A29, alle ore 17:57, mentre vi transitava sopra il corteo della scorta con a bordo il giudice, la moglie e gli agenti di Polizia, sistemati in tre Fiat Croma blindate. Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l'autista giudiziario Giuseppe Costanza.

Strage di via Carini 

Palermo (PA) // 3 settembre 1982

La strage di via Carini fu un'azione mafiosa in cui, il 3 settembre 1982 nella palermitana via Isidoro Carini, morirono il prefetto di Palermo e generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo. L'Autobianchi A112 oggetto dell'attacco è conservata nel museo storico di Voghera.

Strage della Circonvallazione 

Palermo (PA) // 16 giugno 1982

La strage della circonvallazione fu un attentato mafioso messo in atto il 16 giugno 1982 sulla circonvallazione di Palermo nel tratto denominato via Ugo La Malfa.

Obiettivo dell'attentato era il boss catanese Alfio Ferlito, che veniva trasferito da Enna al carcere di Trapani e che morì nell'agguato insieme a Salvatore Raiti (19 anni), carabiniere in servizio presso la stazione di Enna, assieme ai colleghi Silvano Franzolin (41 anni) e Luigi Di Barca (25 anni); insieme a loro perse la vita anche Giuseppe Di Lavore (27 anni), autista della ditta privata che aveva in appalto il trasporto dei detenuti, il quale aveva sostituito il padre. Il mandante di questa strage era Nitto Santapaola, che da anni combatteva contro Ferlito una guerra per il predominio sul territorio etneo.

Strage di via d'Amelio 

Palermo (PA) // 19 luglio 1992

La strage di via D'Amelio fu un attentato di stampo terroristico-mafioso avvenuto domenica 19 luglio 1992, all'altezza del numero civico 21 di via Mariano D'Amelio a Palermo, in Italia, in cui persero la vita il magistrato italiano Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, che al momento dell'esplosione stava parcheggiando una delle auto della scorta.

Strage di via dei Georgofili 

Firenze (FI) // 27 maggio 1993

Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, a Firenze, venne fatta esplodere un Fiat Fiorino imbottita di esplosivo nei pressi della storica Torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l'Arno, sede dell'Accademia dei Georgofili. Nell'immane esplosione persero la vita cinque persone e quarantotto persone rimasero ferite. Oltre alla Torre, vennero distrutte moltissime abitazioni e perfino la Galleria degli Uffizi subì gravi danneggiamenti. La strage venne inquadrata nell'ambito della feroce risposta del clan mafioso dei Corleonesi di Totò Riina all'applicazione dell'articolo 41 bis, che prevede il carcere duro e l'isolamento per i mafiosi. Le vittime della strage furono: Caterina Nencioni, di 50 giorni; Nadia Nencioni, di 9 anni; Angela Fiume, custode dell'Accademia dei Georgofili, 36 anni; Fabrizio Nencioni, 39 anni; Dario Capolicchio, studente di architettura, 22 anni.

Strage di via Palestro 

Milano (MI) // 27 luglio 1993

Alle ore 23.14 del 27 luglio 1993, un'autobomba esplose nei pressi del Padiglione di arte contemporanea sito in via Palestro a Milano. Nell'esplosione morirono cinque persone: Carlo La Catena, vigile del fuoco di 25 anni; Stefano Picerno, vigile del fuoco di 36 anni; Sergio Pasotto, vigile del fuoco di 34 anni; Alessandro Ferrari, vigile urbano; Moussafir Driss, immigrato marocchino che dormiva su una panchina. Questo attentato viene considerato un episodio delle cosiddette stragi del 1993, che già avevano colpito Roma e Firenze.

Giulio Andreotti

È stato uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana, partito protagonista della vita politica italiana per gran parte della seconda metà del XX secolo.

È stato sottoposto a giudizio a Palermo per associazione per delinquere e associazione mafiosa (dal 29 settembre 1982 in avanti). Mentre la sentenza di primo grado, emessa il 23 ottobre 1999, lo aveva assolto perché il fatto non sussiste (in base all'articolo 530 comma 2 c.p.p.), la sentenza di appello, emessa il 2 maggio 2003, distinguendo il giudizio tra i fatti fino al 1980 e quelli successivi, stabilì che Andreotti aveva «commesso» il «reato di partecipazione all'associazione per delinquere» (Cosa nostra), «concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980», reato però «estinto per prescrizione». Per i fatti successivi alla primavera del 1980 Andreotti è stato invece assolto.

Gaetano Badalamenti

È stato un mafioso italiano, legato a Cosa nostra.
Fu il capo della cosca mafiosa di Cinisi in provincia di Palermo e ha diretto la "Commissione" dal 1974 al 1978. Nel 1987 fu condannato negli Stati Uniti a 45 anni di reclusione in una prigione federale per essere stato uno dei leader della cosiddetta "Pizza connection", un traffico di droga del valore di 1,65 miliardi di dollari che, dal 1975 al 1984, aveva utilizzato pizzerie come punto di distribuzione. Badalamenti è stato condannato all'ergastolo per aver ordinato l'omicidio di Peppino Impastato, attivista di Democrazia Proletaria che attraverso il suo programma radiofonico, Radio Aut, aveva denunciato le attività illecite del boss.

Leoluca Bagarella

È un mafioso italiano, legato a Cosa Nostra, affiliato al Clan dei Corleonesi. Assassino spietato, è stato autore di centinaia di omicidi dagli anni '70 ai '90, oltre che diretto responsabile di alcuni tra i più gravi fatti di sangue di Cosa Nostra, tra cui la Strage di Capaci e il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo. Ha avuto condanne per omicidio multiplo, traffico di droga, ricettazione, strage ed è stato condannato all'ergastolo in regime carcerario di 41 bis. È attualmente rinchiuso nel carcere di Bancali a Sassari, dove sta scontando 13 ergastoli. 

Condanne:

Salvatore Bevilacqua

Palermo (PA) // 10 dicembre 1969 //

Il 10 dicembre 1969 negli uffici del costruttore Moncada, in viale Lazio a Palermo, si svolse uno degli episodi più cruenti della prima guerra di mafia che si scatenò durante gli anni sessanta. Un commando composto dai corleonesi Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Calogero Bagarella, irruppe, con addosso uniformi da agenti della Guardia di Finanza, negli uffici del costruttore Girolamo Moncada, covo del boss Michele Cavataio detto il Cobra, capofamiglia dell'Acquasanta legato alle famiglie mafiose degli Stati Uniti. Nello scontro a fuoco morirono cinque mafiosi, il custode del cantiere Giovanni Domè e Salvatore Bevilacqua, un manovale che stava chiedendo un anticipo.

Giovanni Bontade

È stato un mafioso italiano, personaggio di primo piano dell'organizzazione mafiosa Cosa nostra negli anni ottanta. Durante il maxiprocesso tenutosi a Palermo nel 1986-1987, Bontade lesse un comunicato in cui tentò di allontanare da Cosa nostra il sospetto di aver ordinato l'uccisione di Claudio Domino, un bambino di soli undici anni. Il comunicato ottenne l'effetto non voluto di confermare l'esistenza dell'organizzazione: come racconta Pietro Grasso, all'epoca giudice a latere, «con quella dichiarazione di Bontade, per la prima volta un mafioso pronunciò la parola ‘noi´: noi, significava noi mafiosi. Loro stessi ammettevano la loro esistenza. Era senza precedenti». Per via di questo comunicato, i Corleonesi decisero l'eliminazione di Bontade, che venne ucciso nel settembre 1988 nella sua villa insieme alla moglie Francesca Citarda dal suo luogotenente Pietro Aglieri.

Stefano Bontate

È stato un mafioso italiano, legato a Cosa nostra ed è uno degli organizzatori della Strage di viale Lazio. I Carabinieri e la Questura di Palermo denunciano Bontate nel 1971 per associazione a delinquere e traffico di stupefacenti con altre 113 persone: lo arrestano e rimane per un breve periodo nel carcere dell’Ucciardone con Badalamenti.
Bontate continua a gestire diversi traffici illeciti, non solo in Italia ma nel 1975 Totò Riina fa sequestrare e uccidere Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo, per dare un duro colpo al prestigio di Bontate (legato ai Salvo).
Tre anni dopo, nel 1978, i corleonesi eliminano altri membri legatioa Bontade: quest'ultimo reagisce con un complotto contro Riina, rivelato però da Michele Greco. Così si decide di fare uccidere Stefano Bontate.

Paolo Borsellino

Palermo (PA) // 19 luglio 1992 // 52 anni

Nacque a Palermo il 19 gennaio 1940. Dopo essere divenuto magistrato, svolse diversi incarichi e arrivò al tribunale di Palermo nel 1975, collaborando all'Ufficio istruzione processi penali, sotto la guida di Rocco Chinnici. Partecipò al lavoro del pool antimafia, che comprendeva anche Falcone e Barrile. Cominciò anche a promuovere e a partecipare a iniziative volte a sensibilizzare i giovani contro la mafia. Il 4 agosto 1983 Chinnici venne assassinato e fu chiamato il giudice Antonino Caponnetto a coordinare il pool. I magistrati raggiunsero buoni risultati, con il primo maxiprocesso a Cosa Nostra. Conclusa l'istruttoria processuale, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Marsala, per ricoprire l'incarico di procuratore capo. Successivamente, chiese e ottenne di essere trasferito alla Procura della Repubblica di Palermo con funzioni di procuratore aggiunto. Alla fine del 1991 fu delegato al coordinamento dell'attività dei sostituti facenti parte della Direzione Distrettuale Antimafia. Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone venne assassinato a Capaci. Borsellino rifiutò l'offerta di prendere il suo posto nella candidatura alla super procura, per rimanere al suo posto, continuare la lotta alla mafia e indagare sull'assassinio dell'amico e collega. Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove viveva sua madre. Una Fiat 126 imbottita di tritolo, era parcheggiata sotto l'abitazione della madre, detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Tommaso Buscetta

Definito “boss dei due mondi” per la sua vita divisa tra l’Europa e l’America, è stato un mafioso e collaboratore di giustizia italiano.
Importante membro di Cosa nostra, dopo l'arresto fu uno dei primi mafiosi a cominciare a collaborare con la giustizia, durante le inchieste coordinate dal magistrato Giovanni Falcone; le sue rivelazioni permisero, per la prima volta, una dettagliata ricostruzione giudiziaria dell'organizzazione e della struttura della criminalità siciliana. Il suo contributo viene tuttora considerato fondamentale per aver dato inizio al declino del potere mafioso.

Giuseppe (Pippo) Calò

È un mafioso italiano, legato a Cosa nostra. A lui si fa riferimento come il "cassiere" di Cosa nostra, perché fortemente coinvolto nella parte finanziaria dell'organizzazione, soprattutto nel riciclaggio di denaro.

Condanne:

Dario Capolicchio 

Firenze (FI) // 27 maggio 1993 // 22 anni

Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, a Firenze, venne fatta esplodere un Fiat Fiorino imbottita di esplosivo nei pressi della storica Torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l'Arno, sede dell'Accademia dei Georgofili. Nell'immane esplosione persero la vita cinque persone e quarantotto persone rimasero ferite. Oltre alla Torre, vennero distrutte moltissime abitazioni e perfino la Galleria degli Uffizi subì gravi danneggiamenti. La strage venne inquadrata nell'ambito della feroce risposta del clan mafioso dei Corleonesi di Totò Riina all'applicazione dell'articolo 41 bis, che prevede il carcere duro e l'isolamento per i mafiosi. Le vittime della strage furono: Caterina Nencioni, di 50 giorni; Nadia Nencioni, di 9 anni; Angela Fiume, custode dell'Accademia dei Georgofili, 36 anni; Fabrizio Nencioni, 39 anni; Dario Capolicchio, studente di architettura, 22 anni.

Damiano Caruso

È stato un mafioso italiano, affiliato a Cosa Nostra e precisamente alla famiglia di Riesi. Anche se originario di Villabate (dove esercitava la professione di macellaio), era affiliato alla cosca di Riesi, in provincia di Caltanissetta e diventò il killer di fiducia del boss Giuseppe Di Cristina. Nel 1969 Di Cristina aiutò i Corleonesi a compiere la strage di Viale Lazio, mandando proprio Caruso.

Antonino Cassarà 

Palermo (PA) // 6 agosto 1985 // 38 anni

Era vicedirigente della Squadra mobile di Palermo ed era riconosciuto come uno dei migliori investigatori della Polizia del capoluogo siciliano. Aveva guidato insieme ai colleghi americani l'operazione denominata "Pizza Connection", che aveva portato all'arresto di decine di mafiosi tra Italia e Stati Uniti. Si era occupato di molte operazioni contro la mafia, insieme al suo amico e stretto collaboratore Beppe Montana, sotto il coordinamento del pool antimafia della procura di Palermo. Intorno alle 14.30 del 6 Agosto 1985, il vicequestore Cassarà stava facendo rientro a casa, in Viale Croce Rossa a Palermo, insieme a tre collaboratori della propria sezione. Quando l'Alfetta blindata con i quattro poliziotti entrò nel cortile del palazzo dove abitava il vicequestore Cassarà, dall'ammezzato di un edificio vicino, le cui finestre davano sul cortile interno, un commando composto da nove mafiosi armati di kalashnikov fece fuoco. Il vicequestore Cassarà e l'agente Antiochia morirono sul colpo, falciati da decine di proiettili. Un terzo agente venne gravemente ferito. Il quarto agente, l'assistente Natale Mondo, si salvò per miracolo riparandosi sotto alla vettura.

Michele Cavataio

È stato un mafioso italiano, legato a Cosa Nostra. Gli omicidi compiuti da Cavataio e dai suoi associati culminarono nella strage di Ciaculli, in cui morirono sette uomini delle forze dell'ordine. Le vittime furono il tenente dei carabinieri Mario Malausa, il maresciallo di P.S. Silvio Corrao, il maresciallo dei CC Calogero Vaccaro, gli appuntati Eugenio Altomare e Marino Fardelli, il maresciallo dell'esercito Pasquale Nuccio, il soldato Giorgio Ciacci

Gabriele Chelazzi

È stato il pubblico ministero che ha coordinato le indagini sulle autobombe del ’93-‘94, l’attentato a Maurizio Costanzo a Roma, la strage di via dei Georgofili a Firenze, quella di via Palestro a Milano e le due di Roma, a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro, oltre al fallito attentato al collaboratore di giustizia Salvatore Contorno nell’aprile 1994.
Grazie al suo lavoro e a quello dei colleghi Piero Luigi Vigna, Francesco Fleury, Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, uomini di Cosa Nostra sono stati condannati definitivamente quali mandanti ed esecutori di quella stagione di terrore, tra cui i capi della mafia siciliana condannati dalla corte d’assise di Firenze: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, i fratelli Graviano, Matteo Messina Denaro.

Negli ultimi anni della sua vita Chelazzi era entrato a far parte della direzione nazionale antimafia ed era stato distaccato nel capoluogo toscano per seguire ulteriori indagini sulle stragi mafiose: i cosiddetti ‘mandanti a volto coperto’ come li definì l’allora procuratore di Firenze Vigna.

Rocco Chinnici / Omicidio Rocco Chinnici

Palermo (PA) // 29 luglio 1983 // 58 anni

Entrò in Magistratura nel 1952 con destinazione al Tribunale di Trapani. Fu pretore a Partanna per dodici anni, dal 1954. Nel maggio del 1966 venne trasferito a Palermo, presso l'Ufficio Istruzione del Tribunale, come giudice istruttore. Nel novembre 1979, già magistrato di Cassazione, venne promosso Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo. Il primo grande processo alla mafia, il cosiddetto maxi processo di Palermo, fu il risultato del lavoro istruttorio svolto da Chinnici, tra l'altro considerato il padre del Pool antimafia, che compose chiamando accanto a sé magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello. Venne ucciso il 29 luglio 1983 con una Fiat 127 imbottita di esplosivo davanti alla sua abitazione, in via Pipitone Federico a Palermo, all'età di 58 anni. Accanto al suo corpo giacevano altre tre vittime raggiunte in pieno dall'esplosione: il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l'appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile di via Pipitone, Federico Stefano Li Sacchi.

Vito Ciancimino

È stato un mafioso e politico italiano appartenente alla Democrazia Cristiana, condannato in via definitiva per associazione mafiosa. I magistrati che indagarono su di lui lo definirono «la più esplicita infiltrazione della mafia nell'amministrazione pubblica».

Nel 1992 venne condannato definitivamente in Cassazione a 8 anni di reclusione per associazione mafiosa e corruzione. Fu condannato inoltre a 3 anni e due mesi di carcere per peculato, interesse in atti d'ufficio, falsità in bilancio, frode e truffa pluriaggravata nel processo per i grandi appalti di Palermo e a 3 anni e 8 mesi per aver pilotato due appalti comunali quando non aveva più cariche pubbliche. Pochi giorni prima che morisse, il comune di Palermo gli presentò un'ingente richiesta di risarcimento, pari a 300 miliardi di lire (circa 150 milioni di euro), per danni arrecati all'amministrazione comunale: ne furono recuperati solo sette.

Carlo Alberto Dalla Chiesa

Palermo (PA) // 3 settembre 1982 // 61 anni

Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, 62 anni, prefetto a Palermo, fu ucciso il 3 settembre 1982 a bordo della A112 sulla quale viaggiava con la moglie Emanuela Setti Carraro, di 31 anni. Verso le 21 e 15, la loro auto, mentre si stavano recando a un ristorante di Mondello, fu affiancata in via Isidoro Carini da una Bmw, dalla quale partirono alcune raffiche di Kalashnikov AK-47, che li uccisero entrambi. Anche il loro agente di scorta Domenico Russo, che seguiva la vettura del prefetto, venne affiancata da una motocicletta, dalla quale partì un'altra micidiale raffica, che uccise l'uomo sul colpo. Per i tre omicidi furono condannati all'ergastolo come mandanti i vertici di Cosa Nostra, ossia i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. Nel 2002 furono condannati in primo grado, quali esecutori materiali dell'attentato, Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia, entrambi all'ergastolo, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci a 14 anni di reclusione ciascuno. Nella sua lunga carriera Carlo Alberto dalla Chiesa, dal 1966 al '73 fu comandante della legione di Palermo e generale di brigata a Torino dal '73 al'77. Nel maggio dello stesso anno assunse le funzioni di coordinatore del servizio di sicurezza degli istituti di prevenzione e pena e nel settembre del 1978 quelle di coordinamento tra le forze di polizia per la lotta contro il terrorismo, dando vita con uomini scelti e preparati al Nucleo speciale antiterrorismo, che diede ottimi risultati. Nel maggio del 1982 fu nominato prefetto di Palermo, subito dopo l'omicidio del politico Pio La Torre, per combattere la mafia.

Mauro De Mauro

Palermo (PA) // 16 settembre 1970 // 49 anni

Nacque nel 1921 a Foggia, figlio di un chimico e di un'insegnante di matematica. Trasferitosi a Palermo con la famiglia dopo la seconda guerra mondiale, lavorò presso giornali come Il Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e poi a L'Ora, rivelandosi un ottimo cronista. Nel 1962 aveva seguito la morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei e nel settembre del 1970 si stava nuovamente occupando del caso, in seguito all'incarico ricevuto dal regista Francesco Rosi per il suo film Il caso Mattei. De Mauro aveva pubblicato, sempre su L'Ora, il 23 ed il 24 gennaio 1962 il verbale di polizia, risalente al 1937 e caduto nel dimenticatoio, in cui il medico siciliano Melchiorre Allegra, tenente colonnello medico del Regio Esercito durante la Prima Guerra Mondiale, affiliato alla Mafia nel 1916 e pentito mafioso dal 1933, elencava tutta la struttura del vertice mafioso, gli aderenti, le regole, l'affiliazione, l'organigramma della società malavitosa. Il giornalista da qualche tempo era stato trasferito dalla redazione "Cronaca" a quella dello "Sport" de L'Ora, quando venne rapito la sera del 16 settembre del 1970, mentre rientrava nella sua abitazione di Palermo. Il suo corpo non venne mai ritrovato.

Francesco Di Cristina

È stato un mafioso italiano, padre di Giuseppe Di Cristina, boss mafioso della Famiglia di Riesi.

Giuseppe Di Cristina

È stato un mafioso italiano. Secondo gli inquirenti e stando alle rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta, Di Cristina fu coinvolto nell'assassinio del presidente dell'ENI Enrico Mattei. Sempre stando alle rivelazioni di Buscetta, Di Cristina è stato coinvolto anche nel rapimento e successivo omicidio del giornalista Mauro De Mauro, che a sua volta indagava sul caso Mattei. Secondo Antonino Calderone e Francesco Di Carlo, gli omicidi avvenuti a Ravanusa (compreso quello dell'albergatore Ciuni) vennero eseguiti da Damiano Caruso su ordine di Di Cristina senza consultare i boss locali, facendo crescere così il risentimento di questi ultimi nei confronti del boss riesino che li portò ad associarsi con i Corleonesi di Totò Riina.

Giuseppe Di Matteo 

San Giuseppe Jato (PA) // 11 gennaio 1996 // 15 anni

Giuseppe Di Matteo era il figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo. Giuseppe aveva 12 anni quando fu rapito il 23 novembre del 1993 al maneggio di Altofonte (PA) da un gruppo di mafiosi che agivano su ordine di Giovanni Brusca, allora latitante e boss di San Giuseppe Jato. Il piccolo fu legato e lasciato nel cassone di un furgoncino Fiat Fiorino, prima di essere consegnato ai suoi carcerieri. La famiglia cercò presso tutti gli ospedali cittadini notizie del figlio, ma quando, il 1º dicembre 1993, un messaggio su un biglietto giunse alla famiglia con scritto "Tappaci la bocca" e due foto del bambino che teneva in mano un quotidiano del 29 novembre 1993, fu subito chiaro che il rapimento era finalizzato a spingere Santino Di Matteo a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci e sull'uccisione dell'esattore Ignazio Salvo. Il 14 dicembre 1993, Francesca Castellese, moglie di Di Matteo, denunciò la scomparsa del figlio. Dopo un iniziale cedimento psicologico, il pentito non si piegò al ricatto, sebbene fosse angosciato dalle sorti del figlio e decise di proseguire la collaborazione con la giustizia. Brusca decise così l'uccisione del ragazzo. Giuseppe venne strangolato e successivamente sciolto nell'acido l'11 gennaio del 1996, all'età di 15 anni, dopo 779 giorni di prigionia.

Giovanni Domè

Palermo (PA) // 10 dicembre 1969 // 31 anni

Era il custode degli uffici del costruttore Moncada in viale Lazio a Palermo. Il 10 dicembre 1969 in quegli uffici si svolse uno degli episodi più cruenti della prima guerra di mafia che si scatenò durante gli anni sessanta. Un commando composto dei corleonesi Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Calogero Bagarella, da Damiano Caruso ed Emanuele D'Agostino irruppe, con addosso uniformi da agenti della Guardia di Finanza, negli uffici del costruttore Girolamo Moncada, covo del boss Michele Cavataio detto il Cobra, capofamiglia dell'Acquasanta legato alle famiglie mafiose degli Stati Uniti. Nello scontro a fuoco morirono cinque mafiosi, Giovanni Domè e Salvatore Bevilacqua.

Moussafir Driss

Milano (MI) // 27 luglio 1993 // 44 anni

Alle ore 23.14 del 27 luglio 1993, un'autobomba esplode nei pressi del Padiglione di arte contemporanea sito in via Palestro a Milano. Nell'esplosione morirono cinque persone: Carlo La Catena, vigile del fuoco di 25 anni; Stefano Picerno, vigile del fuoco di 36 anni; Sergio Pasotto, vigile del fuoco di 34 anni; Alessandro Ferrari, vigile urbano; Moussafir Driss, immigrato marocchino che dormiva su una panchina. Il Padiglione di arte contemporanea subì molti danni. Questo attentato viene considerato un episodio delle cosiddette stragi del 1993, che già avevano colpito Roma e Firenze.

Giovanni Falcone / Funerali di Falcone

Capaci (PA) // 23 maggio 1992 // 53 anni

Giovanni Falcone nacque a Palermo, nel quartiere della Kalsa, il 18 maggio del 1939. Divenne magistrato nel 1964. Dopo l'omicidio del giudice Cesare Terranova, nel settembre del 1979, accettò l'offerta che da tanto tempo Rocco Chinnici gli proponeva e iniziò il suo lavoro all'Ufficio istruzione della sezione penale. Il 29 luglio del 1983 Chinnici venne ucciso con la sua scorta. Prese il suo posto Antonino Caponnetto, che costituì il pool antimafia, di cui fecero parte Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta. Tra i successi del pool, l'avvio della collaborazione con la giustizia del mafioso Tommaso Buscetta e il primo maxiprocesso a Palermo contro Cosa Nostra. Il 20 giugno 1989 la sua casa all'Addaura, presso Mondello, fu oggetto di un attentato. Seguì l'episodio del "corvo", ossia di alcune lettere anonime dirette a diffamare Falcone e altri. Una settimana dopo l'attentato venne nominato procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo. A causa di dissensi con il procuratore Giammanco sulla conduzione delle inchieste, accettò la proposta di diventare direttore degli Affari penali presso il Ministero di Grazia e Giustizia, coordinando una vasta materia, dalle proposte di riforme legislative alla collaborazione internazionale. Nel novembre 1991 istituì la Direzione Nazionale Antimafia. Il 23 maggio 1992, intorno alle 18.00, sull'autostrada A29 Palermo-Trapani, nei pressi dello svincolo di Capaci, una carica di 500 chilogrammi di tritolo fece saltare in aria le tre macchine che accompagnavano Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo, di ritorno da Roma. Con loro morirono anche gli uomini della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.

Alessandro Ferrari 

Milano (MI) // 27 luglio 1993 //

Alle ore 23.14 del 27 luglio 1993, un'autobomba esplose nei pressi del Padiglione di arte contemporanea sito in via Palestro a Milano. Nell'esplosione morirono cinque persone: Carlo La Catena, vigile del fuoco di 25 anni; Stefano Picerno, vigile del fuoco di 36 anni; Sergio Pasotto, vigile del fuoco di 34 anni; Alessandro Ferrari, vigile urbano; Moussafir Driss, immigrato marocchino che dormiva su una panchina. Questo attentato viene considerato un episodio delle cosiddette stragi del 1993, che già avevano colpito Roma e Firenze.

Calogero Ganci

È stato un mafioso e collaboratore di giustizia italiano. Inserito dal 1980 nella “famiglia” di Cosa Nostra della Noce, di cui il padre Raffaele era rappresentante e capo mandamento nonché persona tra le più vicine a Riina, Calogero Ganci ha partecipato, secondo le sue confessioni, riscontrate da dichiarazioni di altri collaboratori ad alcuni omicidi tra cui quelli di Rocco Chinnici, Antonio Cassarà, Mario D’Aleo, Carlo Alberto Dalla Chiesa e Giovanni Falcone.

Giuseppe Graviano

È stato un mafioso italiano, legato a Cosa Nostra. 

Condanne: 

Giuseppe Greco

È stato un mafioso italiano, legato a Cosa Nostra. In pochi anni Greco divenne uno dei killer del mandamento di Ciaculli-Croceverde-Giardini-Brancaccio, che era guidato dal boss Michele Greco. Nel 1977 lo stesso Michele Greco lo scelse per fare parte del commando di killer che compì l'uccisione del tenente colonnello Giuseppe Russo. A Greco sono attribuiti 76 omicidi, tra i quali quelli del magistrato Rocco Chinnici, del generale dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, dell'onorevole Pio La Torre, del vicebrigadiere Antonino Burrafato, dell'agente di polizia Calogero Zucchetto, del commissario Beppe Montana.

Michele Greco

È stato un mafioso italiano legato a Cosa nostra. È stato il capo dei capi di Cosa nostra dal 1978 al 1986 quando è stato arrestato. 

Condanne:

Assoluzioni:


Giuliano Guazzelli 

Agrigento (AG) // 4 aprile 1992 // 57 anni

Carabiniere originario della Garfagnana. Nel 1954 si trasferì a Menfi, in Sicilia, dove si sposò ed ebbe tre figli. Assegnato al nucleo investigativo di Palermo, lavorò al fianco del colonnello Giuseppe Russo, indagando sul clan dei Corleonesi. Soprannominato il mastino per la sua abilità di investigatore, il maresciallo Guazzelli in venti anni di indagini tra Palermo e Agrigento era diventato un esperto del fenomeno mafioso e dei rapporti tra mafia, politica e affari. In particolare si era occupato della cosiddetta "Stidda", organizzazione mafiosa parallela e talvolta in competizione con Cosa Nostra nell'agrigentino. Tra i suoi meriti quello di aver convinto Benedetta Bono, amante del boss Carmelo Colletti, a collaborare con la giustizia. Giuliano Guazzelli fu assassinato il 4 aprile 1992 sulla strada Agrigento - Porto Empedocle, mentre era a bordo della sua auto Fiat Ritmo. Gli assassini a bordo di un Fiat Fiorino lo sorpassarono su un viadotto, spalancarono il portellone posteriore e lo uccisero a colpi di mitra e fucili a pompa.

Giuseppe (Peppino) Impastato 

Cinisi (PA) // 9 maggio 1978 // 30 anni

Nacque a Cinisi (PA) il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa. Ancora ragazzo ruppe con il padre, che lo cacciò di casa, e avviò un'attività politico -culturale antimafiosa. Nel 1965 fondò il giornalino L'idea socialista e aderì al PSIUP. Condusse le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell'aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1977 fondò Radio Aut, radio libera autofinanziata, con cui denunciò i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell'aeroporto. Il programma più seguito era Onda pazza, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici. Nel 1978 si candidò nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Venne assassinato nella notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votarono il suo nome, riuscendo a eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio comunale. Stampa, forze dell'ordine e magistratura parlarono di atto terroristico in cui l'attentatore sarebbe rimasto vittima e di suicidio dopo la scoperta di una lettera scritta in realtà molti mesi prima. L'uccisione, avvenuta in piena notte, riuscì a passare la mattina seguente quasi inosservata poiché proprio in quelle ore veniva "restituito" il corpo senza vita del presidente della DC Aldo Moro in via Caetani a Roma.

Angelo La Barbera

È stato un boss di Cosa Nostra, capo della Famiglia di Palermo Centro. Nel 1953 i fratelli La Barbera iniziarono la loro scalata al potere uccidendo il mafioso Eugenio Ricciardi, finendo per acquisirne la ditta di autotrasporti ed ereditando il rapporto d'affari con il costruttore Salvatore Moncada, il quale trasse vantaggio dal rapporto privilegiato che i La Barbera avevano con l'allora sindaco Salvo Lima per ottenere numerose concessioni edilizie nell'ambito di quello che passò alla storia come il Sacco di Palermo.

Condanne: nel dicembre 1968 La Barbera venne condannato a ventidue anni di carcere nel processo di Catanzaro contro i protagonisti della prima guerra di mafia. In attesa del ricorso, fu inviato al confino nel Nord Italia e, successivamente, a Linosa. Quando venne tradotto nel carcere di Perugia nel 1975, tre mafiosi lo pugnalarono a morte nel cortile della prigione.

Salvatore La Barbera

Insieme al fratello Angelo La Barbera, è stato un membro della prima Commissione di Cosa nostra, istituita nel 1957, come capo del mandamento di Palermo Centro, che comprendeva le famiglie di Borgo Vecchio, Porta Nuova e Palermo Centro.
È stato fatto scomparire da Salvatore "Cicchiteddu" Greco e dal suo associato Cesare Manzella nel 1963, all'inizio della prima guerra di mafia, vittima della lupara bianca; venne ritrovata soltanto la sua automobile incendiata ma di lui si perse ogni traccia.

Carlo La Catena 

Milano (MI) // 27 luglio 1993 // 25 anni

Alle ore 23.14 del 27 luglio 1993, un'autobomba esplose nei pressi del Padiglione di arte contemporanea sito in via Palestro a Milano. Nell'esplosione morirono cinque persone: Carlo La Catena, vigile del fuoco di 25 anni; Stefano Picerno, vigile del fuoco di 36 anni; Sergio Pasotto, vigile del fuoco di 34 anni; Alessandro Ferrari, vigile urbano; Moussafir Driss, immigrato marocchino che dormiva su una panchina. Questo attentato viene considerato un episodio delle cosiddette stragi del 1993, che già avevano colpito Roma e Firenze.

Pio La Torre

Palermo (PA) // 30 aprile 1982 // 54 anni

Nacque nella frazione di Baida del comune di Palermo in una famiglia di contadini molto povera. Sin da giovane si impegnò nella lotta a favore dei braccianti, prima nella Confederterra poi nella Cgil (come segretario regionale della Sicilia) e, infine, aderendo al Partito comunista italiano. Messosi in luce per le sue doti politiche, Enrico Berlinguer lo fece entrare nella Segreteria nazionale di Botteghe Oscure. Nel 1972 venne eletto deputato. È l'ispiratore materiale della legge che ha introdotto il reato di associazione mafiosa (Legge Rognoni-La Torre) e della relativa norma che prevede la confisca (il riutilizzo sociale dei beni ai mafiosi fu poi introdotto, grazie alla campagna dell'associazione Libera, che raccolse un milione di firme, con la legge 109/96). Nel 1981 decise di tornare in Sicilia per assumere la carica di segretario regionale del partito. Svolse la sua maggiore battaglia contro la costruzione della base missilistica NATO a Comiso che, secondo La Torre, rappresentava una minaccia per la pace nel Mar Mediterraneo e per la stessa Sicilia. Per questo raccolse un milione di firme in calce a una petizione al Governo. Alle 9.20 del 30 aprile 1982, con una Fiat 132 guidata da Rosario Di Salvo, Pio La Torre stava raggiungendo la sede del partito. Quando la macchina si trovò in una strada stretta, una moto di grossa cilindrata obbligò Di Salvo, che guidava, a uno stop, immediatamente seguito da raffiche di proiettili. Da un'auto scesero altri killer a completare il duplice omicidio. Pio La Torre morì all'istante, mentre Rosario Di Salvo ebbe il tempo di estrarre una pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere.

Luciano Liggio

È stato un mafioso italiano, tra i più potenti boss di Cosa Nostra. Liggio fu uno dei maggiori imputati al maxiprocesso di Palermo del 1986-1987. Morì in carcere nel 1993.

Salvo Lima / Omicidio di Salvo Lima

È stato un politico italiano, già sindaco di Palermo e parlamentare siciliano della Democrazia Cristiana, ucciso dall'organizzazione di Cosa Nostra.

Nella sentenza di primo grado del processo a carico di Andreotti, la Corte dichiarò che già prima di aderire alla corrente andreottiana, Lima aveva instaurato un rapporto di stabile collaborazione con Cosa Nostra. Infatti, secondo le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, l'onorevole Lima era strettamente legato ai cugini Ignazio e Nino Salvo e anche ai boss mafiosi Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti; sempre secondo i collaboratori di giustizia, Lima era il contatto per arrivare al suo capocorrente Giulio Andreotti, soprattutto per cercare di ottenere una favorevole soluzione di vicende processuali.
Sempre secondo gli atti di processo, Lima si attivò per modificare in Cassazione la sentenza del Maxiprocesso di Palermo che condannava molti altri boss all'ergastolo; tuttavia, però, il 30 gennaio 1992 la Cassazione confermò gli ergastoli del Maxiprocesso e sancì la validità delle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta: per queste ragioni Lima venne ucciso, anche per lanciare un avvertimento all'allora presidente del consiglio Andreotti, che aveva firmato un decreto-legge che aveva fatto tornare in carcere gli imputati del Maxiprocesso scarcerati per decorrenza dei termini e quelli agli arresti domiciliari.

Antonino Madonia

È un mafioso italiano, boss della famiglia di Resuttana e condannato a 7 ergastoli come responsabile di vari omicidi.
Faceva parte di un gruppo di fuoco formato da killer spietati che agiva sotto le direttive di Totò Riina.
È il responsabile materiale di numerosi delitti, molti dei quali inseriti nel contesto della seconda guerra di mafia (1981 - 1984) ma anche quelli di personaggi legati alla politica e alle istituzioni, tra cui:

Piersanti Mattarella / Omicidio di Piersanti Mattarella

Palermo (PA) // 6 gennaio 1980 // 44 anni

Piersanti Mattarella, figlio di Bernardo Mattarella, uomo politico della Democrazia Cristiana in Sicilia, e fratello di Sergio Mattarella. Dopo l'attività nell'Azione cattolica, si dedicò alla politica nella Democrazia Cristiana. Fra i suoi ispiratori ci fu Giorgio La Pira. Si avvicinò alla corrente politica di Aldo Moro e divenne consigliere comunale a Palermo. Assistente ordinario all'Università di Palermo, fu eletto all'Assemblea regionale siciliana nel 1967 nel collegio di Palermo, per tre legislature.
Dal 1971 al 1978 fu assessore regionale alla Presidenza. Fu eletto presidente della Regione Siciliana nel 1978, guidando una giunta di centro sinistra, con il sostegno esterno del PCI. Nel 1979 dopo una breve crisi politica, formò un secondo governo.
Rappresentò una chiara scelta di campo il suo atteggiamento alla Conferenza regionale dell'agricoltura, tenuta a Villa Igea la prima settimana di febbraio del 1979. L'onorevole Pio La Torre, presente in quanto responsabile nazionale dell'ufficio agrario del Partito Comunista Italiano (sarebbe divenuto dopo qualche mese segretario regionale dello stesso partito) attaccò, con furore, l'Assessorato dell'agricoltura, denunciandolo come centro della corruzione regionale, e additando lo stesso assessore come colluso alla delinquenza regionale. Mentre tutti attendevano che il presidente della Regione difendesse vigorosamente il proprio assessore, sgomentando la sala, Mattarella riconobbe pienamente la necessità di correttezza e legalità nella gestione dei contributi agricoli regionali.

Il 6 gennaio 1980, appena entrato in auto insieme con la moglie e col figlio per andare a messa, un killer si avvicinò al suo finestrino e lo uccise a colpi di pistola. In quel periodo stava portando avanti un'opera di modernizzazione dell'amministrazione regionale. Si presume che a ordinare la sua uccisione fu Cosa Nostra, a causa del suo impegno nella ricerca di collusioni tra mafia e politica.

Matteo Messina Denaro

È un mafioso italiano. E’ stato per trent'anni tra i boss mafiosi più ricercati al mondo, fino al suo arresto, avvenuto a Palermo il 16 gennaio 2023. Matteo Messina Denaro condivise in pieno la linea di Totò Riina, tanto da essere messo a capo, insieme a Giuseppe Graviano, del commando mafioso che doveva uccidere Giovanni Falcone a Roma: alla fine vennero scelti 500 kg di tritolo della Strage di Capaci. Dopo l'arresto del Capo dei Capi, il 15 gennaio 1993, Messina Denaro fu tra quelli a favore della continuazione delle stragi. 

Dopo le Stragi di Capaci e Via D'Amelio, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro decisero che a morire doveva essere anche Calogero "Rino" Germanà, all'epoca commissario di Mazara del Vallo che aveva svolto le indagini alla base del mandato di cattura nei confronti del padre di Matteo. Germanà aveva condotto diverse indagini anche sul rapporto tra mafia e massoneria, motivo per cui cominciava a dare fastidio ad ambienti anche esterni a Cosa nostra; riuscì, tuttavia, a salvarsi, scappando sulla spiaggia, in mezzo ai bagnanti.
Un omicidio particolarmente efferato cui Matteo Messina Denaro ha legato il suo nome è quello di Giuseppe Di Matteo, figlio del mafioso e collaboratore di giustizia Mario Santo Di Matteo.

Mario Mori

È un generale e prefetto italiano. È stato comandante del ROS e direttore del SISDE.

È stato rinviato a giudizio dalla procura di Palermo insieme con Sergio De Caprio, ed entrambi furono poi prosciolti dall'accusa di favoreggiamento nei confronti di “Cosa nostra”. L'indagine era stata avviata dalla procura per accertare gli eventi che avevano portato alla ritardata perquisizione del "covo" di Salvatore Riina.

È stato assolto dal Tribunale di Palermo, insieme con il colonnello Mauro Obinu dall'accusa di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano, impedendone la cattura nel 1995. Secondo il testimone d'accusa, il colonnello Michele Riccio, smentito e querelato dai denunciati, furono Mori e Obinu ad avergli impedito di catturare Provenzano in un casolare di Mezzojuso (PA), indicato dal mafioso suo confidente Luigi Ilardo, poi assassinato da "cosa nostra" subito dopo aver accettato di collaborare con la giustizia.

Il 24 luglio 2012 il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Antonino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, in riferimento all'indagine sulla c.d. trattativa Stato-mafia, firmano la richiesta del rinvio a giudizio nei confronti di Mario Mori e di altri undici indagati, accusati di "Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti" (art. 338 c.p.). Il 7 marzo 2013 il GUP Piergiorgio Morosini rinvia a giudizio dieci imputati, tra i quali il generale Mario Mori. Il 20 aprile 2018 la Corte d'Assise di Palermo, presieduta dal giudice Alfredo Montalto, ha condannato in primo grado Mario Mori a 12 anni di reclusione per il capo d'imputazione; nell'aprile 2019 è iniziato, sempre a Palermo, il processo d'appello che si è concluso il 23 settembre 2021. La Corte d'assise d'appello di Palermo ha assolto Mario Mori dalle accuse, perché il fatto non costituisce reato.

Gaspare Mutolo

È stato un mafioso divenuto collaboratore di giustizia. Ha trascorso 28 anni in carcere e gli ultimi 30 da collaboratore di giustizia sotto la vigilanza del Servizio centrale di protezione. Mutolo aveva iniziato a parlare con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dopo essere stato anche l'autista di Totò Riina. E’ stato coinvolto, nel 1975, anche nell’omicidio dell’agente di Polizia Gaetano Cappiello. Rimase latitante fino all’arresto, nel 1979. 

Fabrizio Nencioni 

Firenze (FI) // 27 maggio 1993 // 39 anni

Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, a Firenze, venne fatta esplodere un Fiat Fiorino imbottita di esplosivo nei pressi della storica Torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l'Arno, sede dell'Accademia dei Georgofili. Nell'immane esplosione persero la vita cinque persone e quarantotto persone rimasero ferite. Oltre alla Torre, vennero distrutte moltissime abitazioni e perfino la Galleria degli Uffizi subì gravi danneggiamenti. La strage venne inquadrata nell'ambito della feroce risposta del clan mafioso dei Corleonesi di Totò Riina all'applicazione dell'articolo 41 bis, che prevede il carcere duro e l'isolamento per i mafiosi. Le vittime della strage furono: Caterina Nencioni, di 50 giorni; Nadia Nencioni, di 9 anni; Angela Fiume, custode dell'Accademia dei Georgofili, 36 anni; Fabrizio Nencioni, 39 anni; Dario Capolicchio, studente di architettura, 22 anni.

Francesco Onorato

È stato un mafioso e collaboratore di giustizia italiano. Nel 1996 inizia a collaborare con la giustizia, confessando circa 50 omicidi, tra cui quello dell'eurodeputato della Democrazia Cristiana Salvo Lima, dell'agente di polizia Emanuele Piazza e dei fratelli Sceusa, scomparsi nel 1991.

Sergio Pasotto

Milano (MI) // 27 luglio 1993 // 34 anni

Alle ore 23.14 del 27 luglio 1993, un'autobomba esplose nei pressi del Padiglione di arte contemporanea sito in via Palestro a Milano. Nell'esplosione morirono cinque persone: Carlo La Catena, vigile del fuoco di 25 anni; Stefano Picerno, vigile del fuoco di 36 anni; Sergio Pasotto, vigile del fuoco di 34 anni; Alessandro Ferrari, vigile urbano; Moussafir Driss, immigrato marocchino che dormiva su una panchina. Questo attentato viene considerato un episodio delle cosiddette stragi del 1993, che già avevano colpito Roma e Firenze.

Stefano Picerno

Milano (MI) // 27 luglio 1993 // 36 anni

Alle ore 23.14 del 27 luglio 1993, un'autobomba esplose nei pressi del Padiglione di arte contemporanea sito in via Palestro a Milano. Nell'esplosione morirono cinque persone: Carlo La Catena, vigile del fuoco di 25 anni; Stefano Picerno, vigile del fuoco di 36 anni; Sergio Pasotto, vigile del fuoco di 34 anni; Alessandro Ferrari, vigile urbano; Moussafir Driss, immigrato marocchino che dormiva su una panchina. Questo attentato viene considerato un episodio delle cosiddette stragi del 1993, che già avevano colpito Roma e Firenze.

Bernardo Provenzano

È stato un mafioso italiano affiliato al Clan dei Corleonesi, braccio destro di Totò Riina, al quale succedette nella guida a Cosa Nostra dopo l'arresto del Capo dei Capi, il 15 gennaio 1993 a Palermo. Rimase alla guida dell'organizzazione fino al suo arresto, avvenuto in una masseria di Corleone l'11 aprile 2006, dopo 43 anni di latitanza.

Condanne:

Michele Reina 

Palermo (PA) // 9 marzo 1979 // 47 anni

Segretario provinciale della DC di Palermo. Venne assassinato la sera del 9 marzo 1979 mentre andava al cinema con la moglie e due amici. I sicari gli si avvicinarono e gli spararono contro tre colpi di calibro 38 da distanza ravvicinata. Il 16 luglio del 1984, Tommaso Buscetta fa il nome di Riina come mandante dell'omicidio di Michele Reina.

Salvatore (Totò) Riina

È stato un mafioso italiano appartenente all'organizzazione malavitosa Cosa nostra, di cui è stato il capo assoluto dal 1982 fino al suo arresto avvenuto il 15 gennaio 1993. È generalmente ritenuto il più potente, pericoloso e sanguinario mafioso di sempre, venendo etichettato come il capo dei capi e con i soprannomi 'u curtu (il basso), per via della sua bassa statura (158 cm) e la belva, per indicare la sua brutalità sanguinaria[. Era detenuto presso il carcere di Opera, dove stava scontando 26 ergastoli.

Condanne:

Domenico Russo

Palermo (PA) // 15 settembre 1982 // 31 anni

Agente di Polizia. Aveva 31 anni quando, il 3 settembre del 1982, mentre stava seguendo la macchina del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, venne affiancato da una motocicletta dalla quale partì una raffica di proiettili. Morirà 12 giorni dopo l'attentato.

Pietro Scaglione / Omicidio Pietro Scaglione

Palermo (PA) // 5 maggio 1971 // 65 anni

Dopo essere entrato in magistratura nel 1928 e dopo avere esordito in aula come pubblico ministero negli anni Quaranta, Scaglione indagò sulla banda Giuliano e preparò dure requisitorie contro gli assassini del sindacalista Salvatore Carnevale, ucciso nel 1955, negli anni del latifondismo e delle lotte contadine per la redistribuzione delle terre. Diventato procuratore capo nel 1962, Scaglione indagò sulla strage di Ciaculli e inquisì Salvo Lima, Vito Ciancimino e altri politici locali e nazionali. Pietro Scaglione fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni. Dopo la strage mafiosa di Ciaculli del 1963, grazie alle inchieste condotte dall'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo (guidato da Cesare Terranova) e dalla Procura della Repubblica (diretta da Pietro Scaglione) "le organizzazioni mafiose furono scardinate e disperse", come si legge nella Relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia del 1976. Fu assassinato in via dei Cipressi a Palermo il 5 maggio 1971 mentre era a bordo di una Fiat 1100 nera insieme al suo autista Antonino Lorusso.

Cesare Terranova 

Palermo (PA) // 25 settembre 1979 // 58 anni

Magistrato, capo dell'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, era già stato procuratore d'accusa al processo contro la mafia corleonese tenutosi nel 1969 a Bari, ove però quasi tutti gli imputati furono assolti. Fu procuratore della Repubblica a Marsala fino al 1973, dove si occupò del "mostro" Michele Vinci. Si distinse per aver processato e condannato all'ergastolo, nel 1974, la "Primula rossa" di Corleone, Luciano Liggio (già assolto al processo di Bari). Fu deputato alla Camera, nella lista del PCI, come indipendente di sinistra, dal 1976 al 1979, e fu membro della Commissione parlamentare Antimafia. Dopo l'esperienza parlamentare, tornò in magistratura per essere nominato capo dell'Ufficio Istruzione di Palermo. Il 25 settembre del 1979, verso le ore 8,30 del mattino, una Fiat 131 di scorta arrivò sotto casa del giudice a Palermo per portarlo a lavoro. Cesare Terranova si mise alla guida della vettura mentre accanto a lui sedeva il maresciallo di Pubblica Sicurezza Lenin Mancuso, l'unico uomo della sua scorta che lo seguiva da vent'anni come un angelo custode. L'auto imboccò una strada secondaria trovandola inaspettatamente chiusa da una transenna di lavori in corso. Il giudice Terranova non fece in tempo a intuire il pericolo. In quell'istante da un angolo sbucarono alcuni killer che aprirono ripetutamente il fuoco con una carabina Winchester e delle pistole contro la Fiat 131. Cesare Terranova istintivamente ingranò la retromarcia nel disperato tentativo di sottrarsi a quella tempesta di piombo mentre il maresciallo Mancuso, in un estremo tentativo di reazione, impugnò la Beretta di ordinanza per cercare di sparare contro i sicari, ma entrambi furono raggiunti dai proiettili in varie parti del corpo. Al giudice Terranova i killer riservarono anche il colpo di grazia, sparandogli a bruciapelo alla nuca. La sua fedele guardia del corpo, Lenin Mancuso, morì dopo alcune ore di agonia in ospedale.

Francesco Tumminello

Rimase ucciso nella Strage di Viale Lazio nel 1969: fu un agguato mafioso tra famiglie rivali in cui rimase ucciso assieme al guardaspalle di Girolamo Moncada, Calogero Bagarella e il boss Michele Cavataio.

Giuseppe Vallelunga

Detto ''u Miricanu", esercitava una forte influenza nella gestione degli affari criminali ed economici nell'area industriale di Villagrazia di Carini.

È imputato nel processo scaturito dall'operazione "La notte di San Lorenzo", del luglio del '98, quando fu sgominata una banda mafiosa di 48 persone dedita alle estorsioni di commercianti della periferia di Palermo. Tra gli altri imputati, figurano Mariano Tullio Troia e Michelangelo La Barbera, entrambi detenuti, Salvatore Biondino, Giovan Battista Ferrante e Raffaele Ganci.

Leonardo Vitale

È stato un mafioso e collaboratore di giustizia italiano. Dopo essere stato dimesso dal manicomio nel 1984, Vitale venne ucciso una domenica mattina con due colpi di lupara alla testa sparati da un uomo non identificato che lo raggiunse all'uscita dalla chiesa dei Cappuccini di Palermo mentre era in compagnia della madre. La sentenza di primo grado, emessa il 4 luglio 1994, condannò i principali esponenti della "commissione" di cosa nostra (Michele Greco, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Francesco Madonia) all'ergastolo in qualità di mandanti dell'omicidio di Vitale e di altri pentiti o loro parenti. Nel 2008 la Cassazione ha riconosciuto come esecutori materiali dell'omicidio di Leonardo Vitale i killer Domenico Guglielmini, Raffaele Ganci e i suoi figli Domenico e Calogero, grazie alle determinanti accuse di Calogero Ganci, divenuto un collaboratore di giustizia.