Un gioco di ruolo può assumere molte forme. Nel caso di Stonewall 1969 - Una storia di guerra si tratta di una conversazione mediata da regole. I giocatori raccontano una storia in maniera collaborativa, interpretando il ruolo di uno o più personaggi. Nel corso della conversazione, i giocatori creano uno spazio immaginato condiviso in cui si svolgono i fatti narrati. Le regole del gioco spiegano come e in che misura i giocatori possono influenzare lo spazio immaginato condiviso, dando ciascuno un suo apporto, e guidano la narrazione affinché la storia di ogni personaggio segua uno sviluppo coerente. I giocatori sono al contempo gli autori e il pubblico della storia che stanno narrando. Come ogni buona conversazione, il gioco di narrazione è fatto innanzitutto di ascolto reciproco e di apertura al confronto.
Il gioco di ruolo fornisce strumenti per esplorare in maniera consapevole e critica la situazione e gli eventi che hanno portato alla rivolta. Per farlo si mettono in gioco le aspirazioni, le paure, i desideri e i problemi di personaggi che in quel momento vivono nella vicenda che si sta narrando. Vedere la storia tramite gli occhi dei personaggi e sperimentarla con il loro vissuto permette di avere una prospettiva umana, empatica ed emotiva dei fatti. Durante il corso del gioco si può scoprire che quei personaggi siamo noi, in un ambiente protetto e non giudicante dove è possibile sperimentare le emozioni che scaturiscono al tavolo. Il gioco diventa il pretesto per abbandonare per qualche ora le proprie sicurezze e le proprie convinzioni; in questo modo ci si fa trasportare in un’epoca che è lontana da noi, ma che al tempo stesso ha delle connessioni forti con il nostro presente e che ci ha portati alla società in cui viviamo oggi.
Generalmente parlando, come cultura, noi tendiamo a non avere il valore del gioco come medium. Tendiamo a relegarlo all'ambito del passatempo, della perdita di tempo, all'età fanciullesca e al divertimento dagli affanni della vita quotidiana. Questo è il riportato di una cultura che non ha la cultura del gioco.
Qui, invece, io mi propongo di segnare un cambio di passo nei confronti del medium gioco, di riconoscergli una dignità come forma di espressione socio-artistica e gli do anche la responsabilità necessaria a far sì che esso non sia più una banale forma di divertimento, ma arrivi a essere una nuova forma di espressione: un’esperienza mediata da regole.