Zhou Enlai

LORENZO BONAGURO
VOLTI DELLA STORIA

ZHOU ENLAI

«Mao vedeva se stesso come un filosofo, Zhou come un amministratore»

(H. Kissinger, “Cina”)

Nato nel 1898 da una famiglia di impiegati dell’apparato statale dell’ormai morente impero governato dalla dinastia Qing, Zhou Enlai dimostrò sin dall’infanzia grandi doti intellettive e una particolare passione per i classici della letteratura cinese. Ciononostante, non riuscì a perfezionare i suoi studi in Giappone come desiderato e, ripudiato da vari atenei nipponici, il giovane Zhou iniziò a maturare una visione negativa del modello politico e sociale del Sol Levante, impermeato di elistismo e militarismo; fu però in questo periodo che entrò in contatto con le teorie marxiste-leniniste.

Dal 1920 al 1924 Zhou viaggiò in Europa dove studiò meglio le questioni sociali e approfondì il suo impegno politico fino a diventare parte di una cellula comunista e a prendere contatti con esponenti del Comintern. Di nuovo in patria, fu uno dei sostenitori dell’alleanza strumentale con il Partito Nazionalista (Kuomintang) guidato da Chang Kai-shek, con il quale l’armonia durò poco: infatti, per sfuggire alla persecuzione dei nazionalisti, i comunisti si ritirarono nella provincia dello Jiangxi, dove Zhou continuò a lavorare per rafforzare il partito di cui divenne una figura sempre più centrale; nel 1928 venne scelto come capo del comitato centrale dell’organizzazione e le sue capacità logistiche furono molto preziose durante la Lunga Marcia del 1934.

Tutto cambiò con l’aggressione giapponese: comunisti e nazionalisti fecero fronte comune; Zhou lavorò alle questioni logistiche relative ai combattimenti e al contempo usò in segreto il Kuomintang per reclutare soldati fedeli al suo partito, sfruttando il finanziamento di commerci illegali come quello dell’oppio.

Fino al 1949 svolse anche compiti di intelligence e spionaggio che contribuirono alla vittoria militare di Mao. Zhou ricoprì le cariche di Vice Presidente del Comitato Centrale e Primo Ministro contemporaneamente a quella di Ministro agli Affari Esteri; svolse altresì un ruolo centrale nella pianificazione economica del paese e, in particolare, fu responsabile della logistica del disastro umano ed economico che fu il “Grande Balzo in Avanti”.

Come Ministro agli Affari Esteri, Zhou diede forma e legittimità internazionale alla politica estera della neonata Repubblica Popolare Cinese con il suo fondamentale contributo alla Coferenza di Ginevra del 1954 e a quella di Bandung del ’55 dei “Paesi non allineati”, dove mise in atto una diplomazia flessibile e aperta al dialogo, non serrata dietro l’ideologia comunista. La questione di Taiwan ne fu un’esempio: pur sostenendo che l’unica Cina fosse quella comunista, Zhou suggerì sempre un approccio dialogante con Taipei e gli Usa anziché il confronto diretto. Tuttavia, l’apice della carriera politica di Zhou fu probabilmente la visita di Nixon a Beijing nel febbraio del 1972: dopo più di vent’anni i due paesi tornavano a dialogare e questo fu certamente merito della paziente e abile trattativa che Zhou seppe intrattenere con Kissinger negli anni precedenti.

Ciò non impedì a Zhou di diventare bersaglio della Rivoluzione Culturale e della famigerata “Gang dei Quattro” che lo vedeva come un ostacolo nella lotta per la successione al potere dopo Mao. Lo scontro interno non durò molto: nel ’72 a Zhou venne diagnosticato un cancro che lo condusse alla morte nel giro di quattro anni. Il ruolo che svolse nella storia della Cina e del Partito Comunista si distanziò molto da quello di Mao: infatti, mentre lui fu il “grande timoniere”, l’ispiratore, il rivoluzionario, Zhou fu il paziente e instancabile amministratore che trovò i mezzi pratici per consentire la nascita e il rafforzamento del partito e dello Stato; un ruolo meno illustre e romantico, eppure, fondamentale.