Franco Basaglia

PAOLO CASTELLI

FRANCO BASAGLIA

«Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c'è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione.»

(F. Basaglia)

Franco Basaglia, nato a Venezia l’11 marzo del 1924, è stato uno psichiatra, neurologo e professore universitario. Nel 1943 si iscrive alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Padova e si avvicina ai gruppi antifascisti universitari, motivo per cui, dopo essere stato tradito da un compagno, finisce in carcere per sei mesi, fino alla fine della guerra. Dopo la laurea comincia a lavorare all’Università di Padova, divenendo professore di Psichiatria nel 1958. La sua carriera da professore universitario dura però soltanto 3 anni, anche a causa degli scontri con i colleghi per le sue idee rivoluzionarie, e nel 1961 si reca a Gorizia per dirigere il manicomio cittadino.

Basaglia è totalmente sconvolto dalle condizioni del manicomio e dei suoi pazienti e per questo motivo decide di intraprendere un processo rivoluzionario a trecentosessanta gradi. In particolar modo, lo psichiatra rifiuta l’utilizzo degli psico-farmaci, delle camicie di forza, dei letti di contenzione e dell’elettroschock e rovescia totalmente l’approccio con il quale rivolgersi ai malati. Infatti, secondo Basaglia, il rapporto fra medico e paziente non deve più basarsi sulla gerarchia, ma essere alla pari, basandosi sul dialogo. Il paziente deve infatti essere considerato non come un malato irrecuperabile, ma come una persona in crisi e sempre in quest’ottica decide di aprire i cancelli dei reparti e istituire i primi momenti di incontro, detti assemblee, fra medici e pazienti. L’esperimento funziona e ottiene ulteriore visibilità grazie a Sergio Zavoli, che nel 1968 gira il documentario “I giardini di Abele” proprio per raccontare la realtà del manicomio goriziano.

Parallelamente a quest’attività Basaglia continua la sua attività scientifica e di intellettuale, che lo porta a numerose pubblicazioni come “Che cos’è la psichiatria” nel 1967 e “l’Istituzione negata” nel 1968. Nel 1969, a causa di scontri con l’amministrazione locale lascia Gorizia e si reca a Parma, chiamato dall’assessore alla Sanità della Provincia Tomassini per dirigere l’ospedale psichiatrico di Colorno. L’esperienza a Colorno è però molto breve, visto che nel 1971 vince il concorso per dirigere il manicomio di Trieste. In quest’esperienza gode di assoluta autonomia e anche per questo le sue idee possono essere attuate in maniera più incisiva, a tal punto che nel 1973 Trieste viene nominata “zona pilota” per l’Italia dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità per quanto riguarda gli studi sulla sanità mentale. Sempre nel 1973 Basaglia fonda l’associazione Psichiatria Democratica, con la quale diffonde le sue idee e quelle inglesi dell’antipsichiatria in tutta Italia.

Nel 1977 viene disposta la chiusura del manicomio di Trieste, ma soprattutto il 13 maggio del 1978 viene approvata la Legge 180, anche come conosciuta come “Legge Basaglia”, con la quale l’Italia diventa il primo paese del mondo a chiudere i manicomi. L’anno successivo Basaglia si trasferisce a Roma per guidare i servizi psichiatrici della Regione Lazio. A soltanto un anno dal nuovo incarico, precisamente il 29 agosto 1980, muore a causa di un fulminante tumore al cervello.