VOLTI DELLA STORIAdi Andrea Bernabale

ERNESTO “CHE” GUEVARA

«Crescete come buoni rivoluzionari. Studiate molto per poter dominare la tecnica che permette di dominare la natura. Ricordatevi che l'importante è la rivoluzione e che ognuno di noi, solo, non vale nulla.

Soprattutto, siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo. È la qualità più bella di un rivoluzionario.»

(Ernesto Che Guevara, lettera ai figli)

Il più grande dono che la storia può conferire agli uomini è quello dell’immortalità, la capacità di sopravvivere ad epoche e generazioni attraverso la memoria, divenendo simbolo, bandiera e culto, nonché personificazione di un ideale. Di questo dono, Che Guevara ne ha certamente ricevuto una tacita investitura.

Ernesto Guevara de la Serna nasce a Rosario nel 1928, in Argentina, da una famiglia benestante, seppur con poco interesse per il denaro. Ragazzo studioso, si dice che amasse leggere Freud sin da giovanissimo, nonostante coltivasse la passione per il diritto e la medicina. A differenza di Castro, l’impegno e l’interesse politico arriverà solo più tardi, in seguito al celebre viaggio in motocicletta con l’amico Granados ad esplorare il Sudamerica, coerente al suo amore per la scoperta e l’avventura.

Passato per il Guatemala, Guevara giunge in Messico dove conoscerà i fratelli Raul e Fidel Castro nell’estate 1955 e dove eserciterà temporaneamente diverse professioni. È anche una fase importante per la sua formazione politica: inizierà, infatti, a leggere testi di Marx, Lenin e opere di strategia militare. Il feeling tra lui e Fidel è immediato: «Fidel mi era parso un uomo straordinario. Affrontava e risolveva cose apparentemente impossibili. Aveva una fede eccezionale, era sicuro che una volta partito per Cuba vi sarebbe giunto, che una volta arrivato avrebbe combattuto e che combattendo avrebbe vinto. Io condividevo il suo ottimismo», scriverà Guevara. Tuttavia, entrerà nel gruppo di Castro inizialmente solo come medico, in quanto Fidel voleva solo combattenti cubani; successivamente, otterrà il grado di comandante in capo (il più elevato dopo quello di Castro) e l’appellativo di “Che”, come raccontò lo stesso Fidel: «All’inizio era solo Ernesto. Da argentino aveva l’abitudine di rivolgersi agli altri con la locuzione “che”, e così iniziammo a chiamarlo noi cubani.»

Da medico a comandante il passo fu breve. Durante la rivoluzione cubana prenderà parte alla guerriglia e guiderà la battaglia di Santa Clara, per poi entrare a L’Avana il 3 gennaio 1959 con Camilo Cianfuegos. Il regime filo-americano di Fulgencio Batista era ormai rovesciato. L’esperienza guerrigliera cubana lo porterà a scrivere anche un manuale di strategia militare, posto che Guevara, come Clausewitz, pensava alla guerra solo come continuazione della politica sotto altra forma. Sviluppò così la teoria del “foco” - il focolaio di guerriglia - sotto tre postulati: secondo il primo, le forze popolari possono vincere la guerra contro un esercito regolare; secondo, non sempre si deve attendere che tutte le condizioni per fare la rivoluzione siano presenti, un focolaio insurrezionale può infatti farle sorgere; terzo, nell’America latina sottosviluppata il terreno fondamentale della lotta armata deve essere la campagna. L’ultimo postulato rovescia l’ortodossia marxista secondo la quale il terreno di lotta sono principalmente le aree urbane, mentre per Che Guevara il guerrigliero è il rivoluzionario contadino dai nobili requisiti, ovvero un asceta riluttante agli eccessi e moralmente superiore al soldato oppressore.

Della figura di Che Guevara, tuttavia, non si può trascurare l’aspetto ideologico, essendo egli stesso un tenace idealista fedele a Marx, di cui ne era un attento lettore. Sarà lui stesso ad accelerare l’edificazione del socialismo a Cuba, ancor più di Castro, che inizialmente si disse a favore di istanze liberali. Guevara era invece per espropriazioni senza indennizzo, che gli procurarono la fama di di essere “il più a sinistra” tra i fedeli di Castro. Non metteva in discussione il principio della dittatura del proletariato, ma pensava al socialismo in particolari forme democratiche, aperte alla discussione, in cui il popolo partecipi alle decisioni di tutti i problemi da risolvere e in cui il leader rappresenti, in delega, le aspirazioni e i desideri del popolo cubano. Preponderante, però, è la concezione etica che Guevara ha del socialismo, ovvero la necessità di creare un “uomo nuovo”: bisognava creare, sostanzialmente, un uomo che non avesse desiderio di arricchirsi in alcun modo, perché se ciò fosse accaduto la società non sarebbe stata nulla di diverso da una capitalistica. Così dirà: “Per edificare il comunismo, è necessario cambiare l’uomo nello stesso tempo in cui si cambia la base economica. Di qui la grande importanza di scegliere correttamente lo strumento per mobilitare le masse. Questo strumento deve essere precipuamente di ordine etico.” In altre parole, il lavoro deve perdere il carattere ossessivo che ha nel mondo capitalista volto al profitto e deve diventare un “piacevole dovere sociale da espletare con gioia.”

Il 12 aprile 1965 lascia segretamente l’isola per recarsi in Congo, nella logica delle “virtù rivoluzionarie” della politica estera cubana, ovvero quella di dare sostegno ai piccoli Stati socialisti e movimenti rivoluzionari nel mondo. Alla sua partenza, Fidel Castro annuncerà a Radio L’Avana: “Tutto quello che posso dirvi è che il comandante Guevara sarà sempre laddove è più utile alla Rivoluzione.”

Del soggiorno congolese si sa poco, se non che combatté con i guerriglieri locali contro le milizie di Ciombé. Rientrò poi a Cuba nel marzo 1966 con la stessa discrezione con cui ne era uscito.

Resterà a Cuba solo sei mesi prima di ripartire per la Bolivia, nell’intento di estendere a tutto il continente latinoamericano il successo della rivoluzione cubana. La rivoluzione per Che Guevara, in fondo, era un atto d’amore.

Per Guevara la Bolivia sarà l’ultimo viaggio: dopo le prime difficoltà di guerriglia, Guevara verrà ferito alle gambe e fatto prigioniero durante un combattimento.

Catturato, Ernesto Che Guevara viene assassinato il 9 ottobre 1967 con una pallottola in pieno cuore e, di fronte all’esitazione del soldato, avrebbe detto: “Stia tranquillo, lei sta per uccidere un uomo.”

Il corpo del Che, poi, scomparve misteriosamente, forse cremato per far sì che la sua tomba non divenisse meta di pellegrinaggi o forse spedito da una base della CIA negli Stati Uniti. Un giorno, in una lettera scrisse: “Ricordatevi di tanto in tanto di questo piccolo condottiero del XX secolo.” La storia non lo ha dimenticato. E lo ha reso grande.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- P.I.Taibo, “Senza perdere la tenerezza. Vita e morte di Ernesto Che Guevara.”, Il Saggiatore, 2017

- Ernesto Guevara, “Latinoamericana. I diari della motocicletta.”, Mondadori, 2013

- “Che - l’Argentino/Guerriglia”, film di Steven Soderbergh, 2008

- “I Diari della motocicletta”, film di W. Salles, 2004