di Lorenzo BonaguroVOLTI DELLA STORIA

CARLO SFORZA

«Nell'Europa di domani, le nazionalità dovranno rimanere come viventi faci di arte e di pensiero; ma non dovranno mai più divenire ragione o pretesto per aggressioni. Italiano, io non dimentico mai che il nostro immortale Mazzini scrisse: “Io amo il mio paese perché amo tutti i paesi!”»

(Carlo Sforza)

Discendente di un ramo cadetto dei duchi di Milano, il conte Carlo Sforza svolse un ruolo importante nella diplomazia del Regno di Italia, nella Resistenza, e persino fondamentale per quanto riguarda le relazioni internazionali della neonata Repubblica, soprattutto grazie al suo marcato europeismo e alla sua propensione all’atlantismo. Ricoprì per la prima volta la carica di Ministro degli Esteri nel 1920, ma si dimise l’anno successivo. La sua prima parte della sua carriera politica si concluse, momentaneamente, con una breve esperienza da ambasciatore a Parigi: il 30 ottobre del 1922, per protesta contro il neo-Presidente del Consiglio Benito Mussolini, lasciò anche questo incarico.

Dopo il 1927 Carlo Sforza venne costretto all’esilio a causa della sua attività antifascista. Ciononostante, non abbandonò l’attivismo e l’impegno nella propaganda antifascista, partecipando spesso agli incontri tra gli esuli italiani vittime del regime. Fu in questi anni che divenne uno dei volti più noti al mondo dell’antifascismo liberale e democratico. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Sforza si trasferì negli Stati Uniti dove, insieme a Tarchiani, contribuì ad allargare ed infittire la rete degli oppositori al fascismo. Il suo impegno giunse al coronamento nel 1942 con il congresso italo-americano svoltosi a Montevideo, durante il quale a Sforza venne affidato «per unanime e spontanea designazione, il posto di capo spirituale degli italiani antifascisti, [e] l'incarico di costituire un Consiglio Nazionale italiano». Tuttavia, le reazioni di statunitensi e inglesi non furono entusiaste: Winston Churchill arrivò addirittura a ad un duro scontro dialettico con Carlo Sforza. Su di lui, infatti, soprattutto da parte inglese, pesava il sospetto di essere troppo accondiscendente con l’Unione Sovietica. Il fulcro del problema era che gli angloamericani desideravano mantenere gli italiani uniti sotto il governo Badoglio ed il regno di Vittorio Emanuele III, mentre, al contrario, Sforza si dichiarava apertamente antifascista e repubblicano. Dopo lunghe trattative, egli fece in modo che il Comitato di Liberazione si adeguasse alle direttive del governo. In ogni caso, a causa dei veti di Churchill, Sforza non poté rivestire direttamente alcuna carica all’interno dei primi governi repubblicani fino all’avvento del terzo governo De Gasperi (febbraio – giugno 1947), nel quale gli fu affidato il ruolo di Ministro degli Esteri.

I problemi fondamentali che Sforza dovette affrontare furono due: l’adesione all’atlantismo e all’europeismo. La scelta atlantica era considerata estremamente rischiosa da un punto di vista politico: oltre alla dura opposizione di socialisti e comunisti, anche alcune correnti interne alla Democrazia Cristiana si mostravano contrarie a causa dell’ancor diffusa opinione che l’Italia potesse muoversi come il «peso determinante» che era stata fino a quel momento e quindi rimanere svincolata da qualunque rigida alleanza. Il neutralismo pacifista sarebbe poi stato spazzato dalle circostanze della Guerra Fredda. Anche Sforza e De Gasperi, inizialmente, non furono immuni a questa posizione, ma quando infine decisero di schierarsi a favore, si ritrovarono comunque le mani legate dalla politica interna: ciò spiega la mancata adesione, poco prima delle elezioni del ’48, al Patto di Bruxelles, alleanza militare difensiva quinquennale che univa i paesi dell’Europa Occidentale. Uno smacco per Sforza. Il dilemma dell’atlantismo fu sciolto definitivamente nel 1949: in seguito al colpo di stato comunista in Cecoslovacchia, Sforza maturò l’idea della necessaria complementarità tra i vari aspetti del sistema occidentale, spingendo verso una grande transizione che comprendesse il livello economico (Piano Marshall), politico e militare. Infine, fu proprio lui, la figura di governo fondamentale per l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico, con il ruolo di paese fondatore.

Per quanto riguarda l’europeismo, Sforza né fu sempre un convinto sostenitore: in un discorso del 1929 parlò apertamente del progetto Stati Uniti d’Europa e, arrivato al Ministero degli Esteri, abbozzò l’idea di un sistema europeo, che comprendesse anche i paesi dell’Est, quale elemento di equilibrio fra le superpotenze. In un secondo discorso, “Come fare l’Europa?” (1948), ripropose la prospettiva federalista legandola indissolubilmente alla politica estera italiana: «la sola soluzione pratica è quella federativa […] lieti come italiani, che essa sia maturata anni orsono nello spirito dei pionieri fratelli, nostri, nelle solitudini del confino di Ventotene». Il suo europeismo non era puramente ideale, nonostante esso paia alle volte nei suoi scritti e discorsi come il coronamento del Risorgimento e in particolare degli ideali mazziniani. Egli aveva bene in mente anche l’importanza degli aspetti più tecnici e pratici, quali la creazione di un mercato e di una dogana comune, ma soprattutto dello sfruttamento in comune di acciaio e carbone: infatti il culmine del suo impegno per la nascita dell’Europa unita fu la partecipazione dell’Italia alla CECA.

LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

- Carlo Sforza, “Cinque anni a Palazzo Chigi: la politica estera italiana dal 1947 al 1951”, Roma, Atlante, 1952.

- Ennio Di Nolfo (a cura di), Carlo Sforza. Discorsi parlamentari, Bologna, Il Mulino, 2006.

- G. Mammarella, P. Cacace, “La politica estera italiana”, Urbino, Editori Laterza, 2010