di Lorenzo Bonaguro


L’invasione Italiana dell’Albania


A causa della prossimità geografica con il territorio italiano, l’Albania è sempre stata nelle mire espansionistiche per invadere i Balcani, fin dal tempo dei romani. In particolare il governo fascista considerava il porto di Valona fondamentale per chiudere l’Adriatico al nemico, principalmente la marina britannica, già presente nel Mediterraneo. Per tali ragioni, nell’aprile del 1939 Mussolini decise di invadere il piccolo regno del re Zog I. Già negli anni Venti gli investimenti italiani avevano di fatto assoggettato l’economia locale e nell’esercito albanese erano presenti ufficiali italiani, nonché alcune posizioni di vertice nel governo erano in mano a italiani. Tuttavia, negli anni Trenta re Zog I cambiò completamente la sua politica estera e cercò di liberarsi del controllo di Roma avvicinandosi alla Jugoslavia e alla Grecia. Mussolini era divenuto sempre più ansioso di dimostrare la potenza del paese a Hitler, la cui politica aggressiva non incontrava ostacoli. L’Albania era una preda perfetta.

Il 7 aprile più di ventimila soldati al comando del generale Guzzoni presero parte all’invasione. La flotta bloccò immediatamente i porti di tutto il Paese e così le truppe sbarcarono senza troppi problemi. Disponendo di appena quindicimila uomini mal addestrati, Zog aveva pianificato di abbandonare la costa e le città portuali per gestire una guerra di montagna, dove la conoscenza del luogo avrebbe forse ribaltato i rapporti di forza. Ma a causa della pluriennale presenza di italiani nell’esercito il piano fu sabotato facilmente. Alla famiglia reale non restò che riparare in Grecia, portando con sé parte delle riserve auree della nazione, scatenando l’ira della popolazione albanese che prese d’assalto i simboli della monarchia. Il numero delle vittime oscilla da qualche decina a poche centinaia.

Gli scontri veri e propri terminarono il 12 aprile, quando il Parlamento approvò la deposizione regia di Zog I e l’annessione al Regno di Italia tramite la formula dell’unione personale nella persona del re di casa Savoia, all’epoca Vittorio Emanuele III. A governare di fatto come un vicerè fu mandato l’ex ambasciatore Fancesco Jacomini, il quale ebbe il difficile compito di reprimere la resistenza che durò per tutto il periodo dell’occupazione, fino al 1943.

L’economia albanese divenne un tutt’uno con quella italiana. Il paese seguì ovviamente l’Impero d’Italia nella Seconda Guerra Mondiale. L’esercito di Tirana fu integrato, ma non fu mai davvero affidabile a causa delle sue solite criticità e della quasi totale mancanza di fedeltà ai Savoia. Durante le prime operazioni d’invasione della Grecia le truppe albanesi al fronte disertarono in massa al punto da compromettere l’intera campagna. Dal punto di vista amministrativo il territorio fu allargato comprendendo anche il Kosovo, nonostante i malumori dei nazionalisti albanesi. La resistenza all’occupazione italiana ebbe molte difficoltà di natura organizzativa nei primi anni, compensate però da un vasto sostegno dalla popolazione. Con l’inizio della guerra, la guerra partigiana divenne un serio problema per Roma che decise di reprimere brutalmente ogni forma di dissenso: centinaia le comunità contadine e montane distrutte, la popolazione deportata o trucidata sul posto. L’episodio più famoso della resistenza fu il fallito attentato a Vittorio Emanuele III per opera di Vasil Laci, giustiziato nel maggio del 1942. Seguirono sommosse popolari represse dal governo collaborazionista con l’aiuto delle milizie fasciste. Con il passare dei mesi il coordinamento delle brigate partigiane migliorò e Enver Hoxha, comunista, prese in mano le operazioni guidando il paese alla liberazione.


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