di Lorenzo Bonaguro

L'indipendenza delle repubbliche baltiche

Fin dai tempi della Russia zarista le nazioni che si affacciano sul Mar Baltico mal sopportavano il giogo russo e le cose certamente non migliorarono in seguito all'occupazione sovietica. Lituania, Estonia e Lettonia divennero Repubbliche socialiste facenti parte dell’URSS e subirono una forte “russificazione” sia culturale sia demografica, tale da minacciare la sopravvivenza nazionale. Tuttavia l’animo indipendentista si riaccese subito al primo spiraglio offerto dalla nuova politica di trasparenza voluta da Gorbaciov.

Le prime manifestazioni significative iniziarono in Estonia, dove fin dal 1987 in occasioni di vari eventi pubblici le folle intonarono canti e inni patriottici, che il governo comunista aveva proibito. Episodi di questo genere dal grande valore simbolico – di cui il più famoso rimase la “Via Baltica” (23 agosto 1989): una catena umana che andava da Tallin a Vilnius – andarono avanti fino al 1991. In quel anno l’Armata Rossa cercò di reprimere il Soviet estone che aveva approvato l’abrogazione della costituzione sovietica e la nascita di una nuova repubblica indipendente, ma in vano. Il popolo difese gli edifici pubblici facendo da scudo umano non smettendo mai di cantare inni patriottici. Per questo motivo il processo di indipendenza estone è stato chiamato anche “Rivoluzione cantata”.

In Lettonia invece il sentimento nazionale rinacque a causa dell’ennesima ingerenza di Mosca nella politica interna: la decisione di costruire una centrale idroelettrica. Nel 1987 gruppi di attivisti per i diritti umani iniziarono a manifestare pacificamente per le strade di Riga. L’anno successivo furono invece gli intellettuali a scuotere le masse invocando la difesa della lingua e cultura lettone contro la slavizzazione forzata. A questo punto il Fronte Popolare Lettone (Latvijas Tautas Fronte) sfidò apertamente i sovietici aprendo il congresso che guiderà verso l’indipendenza. Anche in questo caso la reazione militare non sortì alcun effetto.

Anche la Lituania seguì un percorso simile. Come in Lettonia, i primi segni di malcontento si palesarono durante festival culturali, con canzoni patriottiche e esposizione del tricolore lituano. Qui lo scontro con i sovietici fu più duro e lasciò sul terreno diversi morti a causa del fatto che i lituani si affrettarono prima degli altri a dichiarare l’indipendenza, il 13 marzo del 1990. Decisiva fu la resistenza di numerosi civili nella difesa della stazione televisiva nazionale durante l’attacco ordinato da Gorbaciov nel gennaio dell’anno successivo.

Nell’agosto del 1991 i popoli baltici temettero di perdere tutto quello che avevano conquistato. Infatti il tentato colpo di stato contro Gorbaciov gettò l’ombra della restaurazione sulle neonate repubbliche, che stentavano a ricevere il riconoscimento sul piano internazionale. Una repressione nel sangue come quella di Ungheria (1956) e Cecoslovacchia (1968) appariva verosimile. Ma la vittoria del fronte democratico di Eltsin spazzò via ogni ritorno al passato: alla fine l’Unione Sovietica riconobbe i nuovi stati il 6 settembre del 1991. Il cammino delle repubbliche baltiche verso l’indipendenza fu un successo.