l'indipendenza croata

MARCO BERTUCCIO

l'indipendenza croata

Sebbene la Jugoslavia non facesse parte integrante del blocco sovietico, il crollo degli stati comunisti finì per coinvolgere la sua stabilità. La crisi della Federazione Jugoslava aprì le porte per la nascita di movimenti nazionalisti che spingevano verso l’indipendenza delle varie regioni di cui la Federazione era composta. Le sentite differenze culturali, linguistiche e religiose che continuano tutt’oggi a separare i vari gruppi nazionali, giustificavano già allora tale richiesta. Le tendenze secessioniste erano però fortemente osteggiate dalla Serbia di Slobodan Milošević, lo Stato principale della Federazione. Il progetto del presidente di una “Grande Serbia” era destinato ad entrare in rotta di collisione con gli interessi nazionali dei vari membri della composita Jugoslavia.

Nel corso del 1991, e a seguito di due referendum, la Slovenia e la Croazia dichiararono la loro indipendenza. Se la guerra in Slovenia si concluse in una decina di giorni e con il riconoscimento serbo dell’esistenza del nuovo Stato Sloveno, per la Croazia le cose andarono diversamente. Le elezioni croate della primavera del 1990 avevano visto vincere i nazionalisti di Tuđman, promotori di un processo di autonomia che avrebbe dovuto gradualmente portare il paese all’indipendenza. La nuova Costituzione del 22 dicembre 1990 trasformava i serbi da “nazione costitutiva” a “minoranza nazionale”, precisando comunque come ad essi venissero garantiti “parità di diritti con i cittadini di nazionalità croata”. In un paese composto al 12,2% da serbi, che rappresentavano il 17,7% dei funzionari statali in Croazia, questo nuovo stato di cose fu visto come un affronto. Già un giorno prima il varo della Costituzione, i serbi proclamarono la formazione della Regione autonoma serba di Krajina, ribadendo la “sovranità ed autonomia del popolo serbo”. Si era ormai ad un punto di non ritorno.

Il 19 marzo 1991 si svolse un referendum sulla secessione dalla Jugoslavia, in conseguenza del quale, il 25 giugno 1991 la Croazia dichiarò la propria indipendenza. Nel frattempo, già il primo aprile dello stesso anno, i serbi avevano già autoproclamato la nascita della Repubblica Serba di Krajinia, evento spesso considerato come l’inizio della guerra d’indipendenza croata, e giudicato dal governo croato come una ribellione. Iniziata come un confronto tra la polizia croata e i dissidenti serbi, con la creazione di un esercito croato (Zbor Narodne Garde, Guardia Nazionale Croata) e l’intervento dell’Armata Popolare Jugoslava (Jugoslovenska narodna armija, JNA), lo scontro si trasformò ben presto in guerra aperta. Entro la fine del 1991, la maggior parte del Paese fu coinvolto nel conflitto, con diverse città e villaggi pesantemente danneggiati nel corso dei combattimenti.

Il simbolo della guerra serbo-croata è senza ombra di dubbio l'assedio della città di Vukovar dove, fino a poco tempo prima, serbi e croati riuscivano a convivere serenamente. La città fu bombardata e quasi tutti gli edifici furono pesantemente danneggiati o rasi al suolo dall'Armata Popolare Jugoslava. Il 4 gennaio 1992 entrò in vigore il quindicesimo cessate il fuoco. Dopo aver fallito il tentativo di occupare militarmente la Croazia, la JNA si ritirò all’interno della Repubblica Serba di Krajinia e in Bosnia. A seguito del cessate il fuoco venne posta una linea del fronte in mezzo al quale venne schierata una forza di interposizione ONU, che ridusse, negli anni successivi, gli scontri tra le due fazioni a combattimenti intermittenti. Durante questo periodo, da ambo le parti, si ricorse ad operazioni di vera e propria “pulizia etnica”, costringendo violentemente la comunità nazionale avversa ad allontanarsi dal proprio Paese. Nel corso dello stesso anno la Croazia fu ufficialmente riconosciuta dalla Comunità Economica Europea (15 gennaio) e ammessa all’ONU (22 maggio).

Gli obiettivi prefissati per i croati erano quelli dell’indipendenza e del mantenimento dei confini, così che l’esistenza stessa della Repubblica Serba di Krajinia finì con il pregiudicare il raggiungimento del secondo. Tra la fine del 1994 e l’inizio del 1995 la Croazia lanciò due offensive dal nome Operazione Lampo e Operazione Tempesta (rispettivamente in Slavonia e Krajinia), che avrebbero definitivamente cambiato l'esito del conflitto in suo favore. La guerra terminò con una vittoria totale della Croazia, e nel 1998 anche la rimanente zona controllata dall’ONU fu affidata a Zagabria. La scia di devastazione e morte che essa si portò dietro, rende tutt’ora difficili i rapporti tra i croati e i serbi. Con il 25% della propria economia distrutta, 15 970 soldati e civili uccisi, 37 180 feriti e 500 000 profughi, la Croazia poteva ora dirsi libera e indipendente. Degli 8 039 soldati e civili uccisi e 300 000 profughi serbi, ancora oggi si fatica a parlare.