La rivoluzione anarchica spagnola

GABRIELE PATO

LA RIVOLUZIONE ANARCHICA SPAGNOLA

Nel luglio 1936, quando le forze armate falangiste si sollevarono contro il governo eletto del Frente Popular, la sinistra antifascista spagnola rispose al colpo di stato in modi diversi a seconda della linea politica di riferimento.

Tutti gli schieramenti si compattarono per combattere, armi in mano, il tentativo fascista di soppressione della democrazia; ciononostante, le diverse anime costituenti il Frente Popular si impegnarono nella guerra con in mente progetti molto differenti. Mentre la maggior parte dei partiti si ersero a difesa della Repubblica parlamentare, l'ala più estrema - formata dal Partito Operaio di Unificazione Marxista (POUM) e sostenuta dalla Federazione Anarchica Iberica (FAI) e dal sindacato anarchico Confederación Nacional del Trabajo (CNT), che da solo contava oltre un milione di iscritti - vide nella Guerra civile lo spiraglio per una rivoluzione che mutasse radicalmente l'assetto sociale, economico e istituzionale della Spagna.

Il movimento insurrezionale convergeva su quattro punti principali: anticlericalismo, che nella Spagna del primo dopoguerra significava innanzitutto lotta al privilegio e al latifondo agricolo; cantonalismo e orizzontalismo amministrativo, ovvero la suddivisione del paese in una federazione di cantoni indipendenti; collettivismo e autogestione in campo economico, ossia esproprio e collettivizzazione delle terre agricole e delle fabbriche; riforma razionalista del sistema educativo, in contrapposizione all'istruzione romantico-nazionalista impartita nei decenni precedenti.

Nonostante le ristrettezze dovute al contesto bellico, sopratutto in Catalogna ma anche in altre aree della Spagna, furono avviate su vasta scala pratiche rivoluzionarie, sia organizzate che spontanee, come mai se ne erano viste nella penisola iberica: in Catalogna, Aragona e Badajoz vennero collettivizzati il 70% dei terreni agricoli, in Castiglia-La Mancia e Andalusia oltre il 50%; furono costituite comunità agrarie sparse in ogni angolo del paese, senza che alcun partito o movimento politico ne avesse imposto la creazione. Venne abolita la proprietà privata, ma soltanto nella misura in cui questa permetteva l'impiego di lavoratori salariati: ognuno ebbe il diritto di possedere beni, mobili e immobili, fino a quanto fosse stato in grado di autogestirli. Gran parte delle fabbriche della Catalogna furono gestite orizzontalmente attraverso comitati di operai. Lo stesso valse per trasporti, spedizioni e grosse attività commerciali; persino taxi, barbieri e ristoranti vennero gestiti autonomamente dai lavoratori. Venne creato, almeno in Catalogna, un sistema sanitario gratuito e universale e venne sviluppata in breve tempo una nuova legislazione che permetteva l'aborto ed altre libertà fondamentali per le donne. Persino tra le fila dell'esercito rivoluzionario, vennero aboliti gradi ed uniformi militari, mentre venne instaurato un sistema elettivo per la scelta comandanti. Il tentativo di collettivizzazione coinvolse ogni aspetto della vita economica e sociale della Spagna nel biennio 1936-37; nell'area di Barcellona, il controllo operaio vigeva in più di quattromila imprese e in tutta la nazione si stim che circa 10 milioni i lavoratori parteciparono attivamente alla collettivizzazione.

La rivoluzione non fu, ovviamente, pacifica; guadagnò terreno anche grazie agli scontri armati e non mancò di macchiarsi con atti di vendetta o violenze ingiustificate. Trovò l'opposizione di molti piccoli, medi e grandi proprietari terrieri, dei fedeli realisti o falangisti, del clero in toto e delle forze repubblicane e comuniste. Furono numerose le rivolte represse nel sangue e non mancarono le esecuzioni sommarie di latifondisti, religiosi e franchisti o presunti tali.

Fu però l'opposizione repubblicana e comunista al progetto libertario che portò in meno di due anni alla conclusione dell'esperienza rivoluzionaria: con il progredire della guerra e l'aumento costante dell'appoggio sovietico alle truppe governative, quest'ultime cercarono in ogni modo di riprendere il controllo dello schieramento antifascista, fino ad arrivare alle giornate del maggio 1937, quando la componente anarchico-poumista – accusata di trotzkismo – si scontrò per le vie di Barcellona contro le forze governative e filo-sovietiche, perdendo il controllo della città e subendo in seguito una durissima repressione poliziesca, narrata magistralmente da Orwell nelle pagine di "Omaggio alla Catalogna".