di Riccardo Avignone

La battaglia di Verdun


Tra le battaglie più cruente della Prima Guerra Mondiale, quella di Verdun rivestì un particolare punto di svolta del conflitto. Nella mente del suo ideatore, il capo di stato maggiore tedesco Eric von Falkenhayn, la battaglia avrebbe dovuto “dissanguare” le forze francesi in un unico settore da colpire con la massima potenza di fuoco possibile.

La scelta ricadde su Verdun per il suo importante valore storico: già sede di scontri tra la Francia e la Prussia nel 1792 e durante la guerra franco-prussiana del 1870-1871, i comandanti francesi l’avrebbero certamente difesa “impiegando fino all’ultimo uomo disponibile”.

Alla vigilia della battaglia, la Germania dislocò sul fronte 72 battaglioni (circa 150.000 uomini) e 1200 cannoni di vario calibro. Per contro, i francesi schieravano 34 battaglioni (circa 30.000 uomini) supportati da 260 cannoni. Il motivo di tale differenza era dovuto al fatto che il capo dell’esercito francese, il generale Joffre, non considerava questo settore a rischio.

Alle quattro del mattino del 21 febbraio 1916, il kronpritz Guglielmo diede il via all’operazione Gericht con bombardamenti intensi che durarono ben dodici ore, così da permettere ai soldati della V° armata, divisi in pattuglie e armati di lanciafiamme, di cominciare la marcia verso le trincee nemiche.

Nonostante l’impressionante furia devastatrice dell’artiglieria tedesca, i francesi riuscirono a rallentare l’avanzata ritirandosi in posizioni maggiormente difendibili. In una delle zone più colpite, il Bois de Caures, difesa dal luogotenente colonnello Driant e larga 1300 x 800 metri, si stima siano state lanciate 80.000 salve di artiglieria pesante.

Nei giorni successivi, la furia tedesca si rivolse ai capisaldi intorno a Verdun come Fort Douamont, preso dai soldati del 24°reggimento Brandeburgo il 25 febbraio. La sua conquista alimentò la propaganda tedesca; tuttavia il pericolo di una disfatta totale non fu percepito da Joffre che inviò sul fronte la II° armata del generale Philippe Pétain solo dietro l’insistenza del suo secondo in comando, il generale de Castelnau.

Giunto a Verdun in condizioni critiche, Pétain cominciò a guidare la resistenza istituendo un’innovativa rotazione delle truppe al fronte. La sua premura per le vite dei soldati, unite alla capacità di comando e di gestione, furono fondamentali per gestire la crisi. La questione delle vite umane, però, non era l’unica criticità da affrontare nell’immediato. Dai bombardamenti tedeschi si era salvata un’unica strada dipartimentale lunga 75 km che collegava Bar-le-Duc, dove successivamente si sarebbe installato il campo di aviazione francese, a Verdun e che divenne nota come la “Via Sacra” proprio per l’importanza vitale che assunse. Sulla route passarono due terzi dell’esercito francese e 50.000 tonnellate di rifornimenti, tra cui cibo e munizioni, grazie alla costante manutenzione della stessa che il comandante francese assegnò ad un’intera divisione.

La Battaglia di Verdun introdusse un’importante novità anche nel campo dell’aviazione con la formazione di squadriglie sempre più grandi. In passato, infatti, gli aviatori si trovarono spesso a combattere in duelli all’ultimo sangue, nel rispetto di un’etica cavalleresca ormai in via di dissoluzione nella nuova epoca delle guerre di massa. Ora le Jagdstaffeln, fino a quel momento in superiorità nelle operazioni di scorta dei bombardieri e di ricognizione, si sarebbero scontrate contro le Cigognes francesi e i volontari americani della Escadrille LaFayette, causa di forte imbarazzo per il neutrale governo americano.

Nel frattempo, mentre i combattimenti a terra causavano tante perdite che avrebbero decretato Verdun come il teatro con il più alto tasso di morti per metro quadro, già nel periodo tra marzo e aprile fu chiaro che il piano ideato da Falkenhayn non avrebbe dato i suoi frutti. L’esercito tedesco aveva perso lo slancio iniziale, fatto che non passò inosservato, tanto da far dire a Pètain, rivolto ai suoi soldati: “Coraggio, li sconfiggeremo!”.

A maggio, i caduti divennero 133.000 da lato francese e 126.000 da quello tedesco, una differenza minima non giustificata da guadagni territoriali o vantaggi strategici, nonostante l’impiego del gas fosgene da parte della Germania.

Nel luglio 1916, l’offensiva della Somme costrinse i tedeschi a ritirare alcune divisioni da Verdun, segnando il futuro della battaglia. In estate, infatti, Falkenhayn venne sostituito da Hindenburg e Ludendorf che ordinarono la sospensione di ogni attacco già nei primi giorni di settembre.

Le controffensive francesi avviate tra ottobre e dicembre dai generali Nivelle e Mangin, e organizzate dal Pétain, promosso a comandante delle armate di centro, riuscirono a riconquistare molte delle posizioni perdute, respingendo i tedeschi oltre i forti in prossimità delle linee da cui era partita l’offensiva in febbraio.

Alla fine della battaglia, il 19 dicembre 1916, i francesi, tra caduti, feriti e dispersi contarono dai 315.000 ai 542.000 uomini, mentre i tedeschi ne assommarono tra i 381.300 ai 434.000. L’imprecisione dei numeri è dovuta al fatto che la maggior parte dei decessi fu causata dai pezzi di artiglieria che, bombardamento dopo bombardamento, rivoltarono il suolo più volte disotterrando e spargendo quanto era rimasto sul terreno. Questo fino ad inquinarlo a tal punto che in alcune zone, ancora oggi, la quantità di piombo nel terreno è pericolosa per la salute delle persone.

Se per i francesi Verdun venne da subito ammantata di gloria, divenendo simbolo di sacrificio e abnegazione, in Germania venne ricordata come una tragedia che segnò profondamente l’animo dei tedeschi.


LETTURE E APPROFONDIMENTI


  • Horne Alistair, Il prezzo della Gloria: Verdun 1916, BUR, Milano, 2014.

  • Liddell Hart Basil, La prima guerra mondiale, BUR, Milano, 1999.