Il massacro di Srebrenica

PAOLO CASTELLI

IL MASSACRO DI SREBRENICA

«Nulla è stato casuale, le conseguenze della guerra – a partire dalla pulizia etnica – sono state in realtà lo scopo pianificato della stessa» (Paolo Rumiz, Maschere per un Massacro, 1996)

Srebrenica è una piccola città mineraria ubicata tra le montagne della Bosnia orientale, a pochi chilometri dal confine serbo, ed oggi fa parte della Republika Srpska, ovvero dell'entità federale bosniaca a maggioranza serbo-ortodossa. La tranquilla cittadina è tristemente uscita dal suo anonimato nel luglio 1995, quando, quasi alla fine del conflitto per l’indipendenza della Bosnia-Erzegovina dalla Repubblica Federale di Jugoslavia, vi avvenne un tremendo episodio di pulizia etnica giudicato come genocidio dal Tribunale Internazionale dell'Aia.

Con la risoluzione 819 del 16 aprile 1993 l’Onu dichiarò le città di Srebrenica, Žepa, Sarajevo, Tuzla, Goradže e Bihać zone protette, ordinando che venissero presidiata da caschi blu olandesi. Le Nazioni Unite presero questa decisione in seguito all’escalation di violenza etnico-relgiosa che coinvolse l’intera Bosnia. La costituzione di aree sicure era principalmente finalizzata all’accoglienza di civili bosniaci musulmani fuggiti dalle proprie zone d'origine a causa dell’avanzata dell’esercito serbo-bosniaco di Mladic nel sud-est del paese; vennero scelte queste cinque città in quanto enclavi bosgnacche in un'area controllata dagli eserciti serbi e filo-serbi, nella speranza che potessero offrire sicuro rifugio dagli scontri armati e dalle vendette. Srebrenica in particolare parve a lungo un luogo sicuro, demilitarizzato e protetto dalle forze internazionali e, di conseguenza, decine di migliaia di profughi vi trovarono rifugio.

Il 9 luglio 1995 l’esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, guidato da Ratko Mladic in persona, sferrò una pesante offensiva contro Srebrenica ed in soli due giorni riuscì a fare breccia ed entrare nella città, protetta da seicento soldati dell’UNPROFOR (la forza di protezione delle Nazioni Unite) e dai battaglioni di peacekeeping olandesi Dutchbat I, II e III. In seguito all'ingresso delle truppe serbe, i soldati olandesi non intervennero, per motivi tutt'ora non del tutto chiariti; la difesa ufficiale è sempre stata quella di non essere stati sufficientemente armati per contrastare gli uomini di Mladic e che, inoltre, le numerose richieste di soccorso terrestre ed intervento aereo inoltrate nei giorni precedenti al massacro non fossero mai state assecondate da parte dei vertici ONU a Zagabria. Resta il fatto che, dopo non aver praticamente combattuto per difendere Srebrenica dalle truppe serbo-bosniache, in seguito alla conquista della città i soldati olandesi fuggirono trovando rifugio in un vicino accampamento delle Nazioni Unite.

Quando le forze serbe presero controllo della città, donne e bambini sotto i dodici anni vennero inviati in autobus verso l'area controllata dai bosniaci musulmani, mentre per gli uomini adulti cominciò un interrogatorio, che in breve si trasformò in una condanna a morte collettiva. La lista preliminare compilata dalla Commissione Bosniaca per le Persone Scomparse a Srebrenica attestò, poco dopo la fine del conflitto, 8.372 esecuzioni. Nel giugno del 2015 vennero ritrovate, riesumate ed in parte riconosciute altre 6.930 salme ed è molto probabile che il numero sia destinato ad aumentare.

In seguito alla conclusione della guerra, gli accordi di Dayton stabilirono l'appartenenza di Srebrenica alla Republika Srpska e questa decisione alimentò forti sospetti riguardo l'atteggiamento dell'ONU al momento dell'offensiva serba del 9 luglio 1995: alcuni ritengono che potesse essere conveniente liberare l'area dai bosgnacchi, al fine di convergere più rapidamente al trattato di pace che non comprendeva la possibilità di costituire enclavi territoriali. Nel 1993 venne fondato a L'Aia il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia che dopo ventitré anni di processi ha emesso 21 condanne per i fatti di Srebrenica, tra le quali 40 anni a Radovan Karadzic (presidente della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina) e l'ergastolo a Radko Mladic.