di Lorenzo Balma

IL BIENNIO ROSSO IN ITALIA

“[…] il momento più critico sia della crisi generale della borghesia italiana, sia della crisi del movimento operaio. La scissione, se era storicamente necessaria ed inevitabile, trovava però le grandi masse impreparate e riluttanti"

Antonio Gramsci, riguardo la scissione di Livorno

Il biennio 1919-1920 in Italia fu il periodo segnato da gravi tensioni sociali dovute alla crisi economica che il paese dovette affrontare in seguito alla fine della Grande Guerra e indica, inoltre, il periodo di grandi lotte e conquiste sindacali che precedettero invece il biennio nero.

Nel 1919 iniziò il periodo delle lotte agricole, ovvero gli scioperi nelle campagne animati dalle leghe contadine organizzate dal mondo cattolico e dal mondo socialista, rispettivamente chiamate leghe bianche e leghe rosse.

L’obiettivo degli scioperi era un generale miglioramento delle condizioni di lavoro legato all’aumento salariale e alla diminuzione delle ore di lavoro, ma mentre le leghe bianche cercavano di tutelare la piccola proprietà agricola, le leghe rosse chiedevano invece la collettivizzazione e la socializzazione della terra. Proprio a causa di questa divisione fu facile la repressione degli scioperi alla fine del 1919 da parte del governo Nitti, che era succeduto a Orlando.

Alle prime elezioni dopo la fine della guerra (le prime del Partito Popolare) si votò con sistema proporzionale, abbandonando il maggioritario, e si assistette ad un ottimo risultato del Partito socialista che diventò primo partito, senza tuttavia avere i numeri necessari per una maggioranza in Parlamento. Fu invece un fallimento per liberali e democratici, che riuscirono a formare un governo di coalizione presieduto da Giovanni Giolitti, richiamato per l’occasione da Vittorio Emanuele III. Secondo il Re infatti, Nitti era una figura troppo debole in questo momento di transizione politica.

Giolitti diede il via allora ad un’importante quanto dibattuta stagione di riforme, partendo dalla tassazione dei profitti derivanti dall’industria bellica, passando dall’intervento militare per fermare l’esperimento fiumano di D’Annunzio, alla firma del Trattato di Rapallo.

Tra l’estate e l’autunno del 1920 scoppiarono negli ambienti urbani le tensioni che animarono quello rurale. Dalle fabbriche siderurgiche e metalmeccaniche delle città del Nord Italia (a fronte di un Sud Italia deindustrializzato) partì una vertenza sindacale durissima che riguardava i ritmi lavorativi, la durata della giornata lavorativa, l’aumento del salario, ma soprattutto la presenza nelle fabbriche di comitati dei lavoratori che fungessero da controllori della vita all’interno della struttura.

Confindustria rispose fermamente annunciando che non ci sarebbe stato nessun tavolo di trattativa con i sindacati, in alcuni casi i proprietari delle fabbriche addirittura risposero allo sciopero degli operai con la serrata (ovvero non aprendo i cancelli della fabbrica e non permettere che lo sciopero avesse fisicamente luogo). La FIOM - la Federazione Impiegati Operai Metallurgici - controbatté incitando gli operai all’occupazione delle fabbriche. Più di 400.000 operai del cosiddetto “triangolo industriale” composto da Milano, Torino e Genova, iniziarono ad occupare e a far funzionare le fabbriche (tra cui anche la FIAT), in alcuni casi anche armati. In questa situazione il sindacato venne scavalcato a sinistra da gruppi politici come “Ordine Nuovo”, capeggiato da Antonio Gramsci, che miravano non solo al miglioramento delle condizioni lavorative, ma alla costruzione di consigli operai all’interno delle fabbriche e quindi alla socializzazione della fabbrica stessa, per dare poi vita alla democrazia dei consigli dei lavoratori.

In questo scenario Giolitti compì un gesto di assoluta portata storica, decidendo di non intervenire militarmente nelle fabbriche e cercando un accordo tra il sindacato e Confindustria, che si concluse con la riduzione dell’orario, l’aumento del salario e l’introduzione di commissioni di controllo operaio all’interno della fabbrica, che non entrarono mai realmente in vigore prima dell’avvento del fascismo.

Fu sicuramente una sconfitta per gli industriali, una grande vittoria per il sindacato, ma altrettanto una sconfitta per quella parte socialista rivoluzionaria che guardava agli esempi di Berlino e soprattutto di Pietrogrado. Fu da questa divisione che nacque a Livorno, nel gennaio 1921, il Partito comunista italiano guidato da Bordiga, con un programma apertamente rivoluzionario.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

-Protagonisti e alternative del "Biennio rosso", Tommaso Detti, Istituto Gramsci Editore;

-Croce giornalista : dal "biennio rosso" all'antifascismo, Rossella Martina, Editoriale scientifica;

-Da biennio rosso a guerra civile, Steven Forti, Clueb.