di Lorenzo Bonaguro

ZAIBATSU: CAPITALISMO IN CHIAVE GIAPPONESE


«Gli zaibatsu rappresentano una forma tipicamente giapponese di organizzazione del capitale»

Shibagaki Kazuo


Se oggi qualcuno nomina Mitsubishi o Fuji, tutti sanno di cosa si sta parlando: multinazionali giapponesi enormi e dai contorni sfumati, sinonimo stesso del modello economico giapponese. Affianco a queste ci sono altre grandi imprese, meno note al grande pubblico, che hanno contribuito allo sviluppo del Sol Levante fin dalla seconda metà dell’Ottocento, periodo in cui sono nate queste imprese che subito si sono configurate in conglomerati industriali e finanziari quasi simbiotiche al mondo politico, creando così un vero e proprio modello di governance che caratterizza ancora oggi il Giappone, anche se in forme diverse.

Il termine zaibatsu (財閥) è difficile da tradurre: “zai” significa denaro, mentre “batsu” indica un gruppo coeso e omogeneo, chiuso alle influenze esterne. Fin dall’inizio il termine indicò i potentissimi conglomerati facenti capo a un numero esiguo di famiglie, che avevano così la capacità di influenzare l’intera economia del paese. Il fenomeno, sviluppatosi alla fine del periodo Edo, è peculiarmente giapponese a causa sia di fattori economico-sociali specifici, sia culturali. Culturali nel senso che la cultura giapponese impregnata di confucianesimo, che diede per secoli un modello sociale gerarchizzato al popolo giapponese e che fu applicato anche ai rapporti industriali: la fedeltà all’azienda è una delle qualità principali di un lavoratore. Per fattori economici e sociali si intende la situazione in cui versava il Giappone a metà Ottocento: mirando a un rapido sviluppo industriale per mettersi al passo con le potenze occidentali, l’elite politica nipponica si appoggiò al ceto mercantile esistente, detto seishoo, stipulando numerosi contratti, commesse pubbliche e privatizzando il settore minerario, commerciale, la finanza e l’industria bellica.

Nel giro di pochi anni le famiglie mercantili si sottrassero sempre di più al controllo statale pur mantenendo strettissimi legami con la sfera politica. Queste famiglie controllavano svariate succursali e aziende sottoposte tramite una gerarchia basata sul fatto che il gruppo principale, la holding, sceglieva dirigenti fedeli per la direzione delle aziende sottoposte. Il gruppo centrale fungeva anche da finanziatore per le altre aziende, in questo senso le zaibatsu erano anche dei “monopoli di capitali”. Un esempio del ruolo della famiglia è dato dalla Mitsui, il cui statuto interno stabiliva che il presidente della holding doveva essere il capo del ramo principale della famiglia.

La storia della zaibatsu è divisibile in tre periodi principali: dalla restaurazione Meiji (1868) alla guerra russo-giapponese del 1904-1905; da qui fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale e agli anni dell’occupazione americana; infine da allora fino ai giorni nostri. Il primo periodo vide la nascita dei primi gruppi e in particolare dei “quattro grandi”: Mitsui, Sumitomo, Yasuda e Mitsubishi. Quest’ultima in particolare è un caso paradigmatico: il fondatore Iwasaki Yataro fondò la Mitsubishi nel 1873, all’epoca una compagnia dedita al commercio di armi e navale. Tramite vari contratti statali ampliò il proprio business lavorando per l’esercito e la marina imperiale.

Nella seconda fase nacquero varie altre zaibatsu, quali Furukawa e Nakajima. I nuovi arrivati fecero fortuna grazie alla politica espansionistica dell’Impero del Sol Levante; in particolare profitti immensi vennero fatti nel periodo della Prima Guerra Mondiale. Il primo dopoguerra fu invece catastrofico a causa della riconversione economica e della fine delle commesse pubbliche: nella crisi che seguì solo i gruppi più grandi riuscirono a sopravvivere e approfittarono del vuoto sul mercato per espandersi ancora di più, adottando però una struttura meno gerarchica ma più flessibile e ponendo massima cura nella ricerca tecnologica. Durante il periodo interbellico questi gruppi gestirono di fatto l’economia del paese, rivestendo un ruolo fondamentale nella svolta autoritaria, e secondo molti, nello scoppio della guerra.

Per questo motivo, oltre che a causa di un pensiero economico radicalmente differente, dopo la resa del 1945 e la conseguente occupazione, gli Stati Uniti cercarono di smontare il sistema zaibatsu sciogliendo i grandi agglomerati, ma in gran parte fallirono. Le famiglie furono obbligate a vendere le proprie azioni, cedendo così il controllo delle holding. Tuttavia queste furono spesso vendute alle succursali, le quali nel giro di pochi anni tornarono sotto controllo delle aziende "madri". La sopravvivenza di delle zaibatsu, fu comunque in parte dovuto alla classe politica giapponese del secondo dopoguerra, che riuscì a convincere Washington a tollerare questo modello d'impresa per permettere al Sol Levante di risollevarsi in fretta e non dipendere dagli aiuti americani.


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