di Gabriele Pato

THAILANDIA: 15 ANNI DI CRISI POLITICA

Il Regno di Thailandia è conosciuto in tutto il mondo per essere un’importante meta turistica, visitato ogni anno da milioni di stranieri attratti dalle straordinarie bellezze naturali, dagli antichi templi buddhisti e dalla vita notturna di Bangkok e Pattaya. Tuttavia, la Thailandia è anche uno dei paesi politicamente più instabili del sud-est asiatico e dal 1932, anno di instaurazione della monarchia costituzionale grazie ad un golpe militare, il parlamento è stato esautorato del proprio potere dal susseguirsi di una dozzina di colpi di stato.

L’ultimo quindicennio di caos politico affonda le proprie radici nel 2001, quando Thaksin Shinawatra, imprenditore e ai tempi uomo più ricco del paese, venne eletto primo ministro. Il suo governo, di stampo fortemente populista, conobbe un grande successo soprattutto tra le fasce più povere e nelle zone rurali, grazie ai massicci investimenti in infrastrutture, alla pace fiscale e all’introduzione di prestiti agevolati per i contadini. Il governo era però duramente criticato dall’opposizione per migliaia di esecuzioni sommarie compiute dall’esercito, nonché accusato di corruzione. Shinawatra sbaragliò gli avversari nelle elezioni del 2005, ma nel 2006 fu deposto da un golpe incruento. Nel maggio 2007 il suo partito venne sciolto dalla Corte Costituzionale, i suoi beni vennero confiscati e una nuova costituzione fu approvata tramite referendum nell’agosto 2008.

Ciononostante, le elezioni successive furono vinte dal Partito del Potere Popolare (PPP), che sosteneva apertamente Shinawatra. Il nuovo governo propose di modificare la costituzione, mentre Shinawatra e suoi familiari e collaboratori venivano condannati per reati fiscali e fuggivano in esilio. Intanto, la magistratura denunciava gravi brogli elettorali nelle ultime elezioni e il partito d’opposizione Alleanza Popolare per la Democrazia (ADP) organizzava grandi manifestazioni contro il PPP. I manifestanti, chiamati Camicie Gialle, arrivarono ad assediare il palazzo del governo e la TV nazionale, che però non sfociarono in gravi violenze. Le dimostrazioni e gli scioperi proseguirono per tutto il mese di agosto ma, nel frattempo, un movimento filogovernativo – le Camicie Rosse – iniziò a contendere le piazze agli oppositori. Le due fazioni arrivarono spesso al confronto violento, causando un morto e decine di feriti ed il governo reagì stabilendo lo stato di emergenza in tutto il paese. Intanto, il 9 settembre 2008, la Corte costituzionale dichiarò il primo ministro colpevole di conflitto di interessi per la sua presenza in due programmi televisivi durante il mandato, ma il PPP riuscì comunque a mantenere la maggioranza ed il Primo ministro.

Nei primi giorni d’ottobre, importanti membri dell’ADP vennero arrestati con l’accusa di ribellione e cospirazione ed i militanti del partito reagirono circondando il parlamento con filo spinato e affrontando la polizia: alla fine si contarono un morto e oltre cento feriti. Le proteste delle Camicie Gialle proseguirono per tutto ottobre e novembre, arrivando a bloccare il principale aeroporto del paese per giorni interi e cessarono soltanto quando la Corte costituzionale, all’inizio di dicembre, stabilì lo scioglimento del PPP a causa di brogli elettorali e il bando dei suoi membri dalla politica per 5 anni. Il potere tornò sostanzialmente in mano alla giunta militare ma le Camicie Rosse, sostenitrici di Shinawatra, ed ora costituitesi nell’associazione Fronte Unito per la Democrazia contro la Dittatura (FUDD), non cessarono di manifestare per i due anni successivi, arrivando spesso allo scontro violento con le forze dell’ordine thailandesi.

Nel 2011 si tennero nuove elezioni, che furono vinte con ampia maggioranza da Yingluck Shinawatra, sorella dell’ex presidente, sostenuta dal FUDD. Tuttavia, dopo tre anni di governo, anche la nuova presidente e tutti i suoi ministri vennero destituiti dalla Corte Costituzionale con l’accusa di “abuso del potere politico per fini privati” a causa di una proposta di amnistia che, tra le altre cose, avrebbe permesso a suo fratello di tornare in patria. Le elezioni anticipate del 2014 furono un fallimento, con gravi scontri per le strade del paese, il boicottaggio di alcuni tra i principali partiti e la chiusura forzata di oltre 400 seggi. Con la motivazione ufficiale di “riportare l’ordine nel paese”, la giunta militare applicò la legge marziale dal 20 maggio 2014. Due giorni dopo un nuovo colpo di stato militare, ufficialmente sostenuto dal re, colpì la Thailandia. Venne imposto il coprifuoco, la costituzione fu abrogata e venne proibito a centinaia di politici di lasciare il paese. Nel 2016, il re Rama IX è venuto a mancare, lasciando il trono all’erede Rama X, che ha mostrato da subito di voler appoggiare la dittatura accentrando più poteri possibili sulla propria figura. Tra 2017 e 2018, un’assemblea non eletta di politici e militari ha nel frattempo redatto una nuova costituzione, che venne applicata per la prima volta per le criticatissime elezioni del 2019 - comunque vinte da Prayut Chan-o-cha, generale già a guida della giunta militare - e che prevedeva una camera eletta ed un senato di 250 membri scelti dalla giunta. Il futuro per la Thailandia è tutto da scrivere ma, per come si sono evolute le cose, un ritorno alla democrazia sembra più distante che mai.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- Documentario “Thailandia: quello che i turisti non vedono

- The Guardian sulle irregolarità nelle elezioni thailandesi del 2019