di Gabriele Pato

L’ASSALTO AL TEMPIO D’ORO

Con l’avvento della cosiddetta Rivoluzione Verde, dall’inizio degli anni ’70, il crescente benessere degli stati settentrionali dell'India aveva fomentato la recrudescenza di velleità indipendentiste, nate durante l’occupazione britannica e mai realmente sopite. Tra le popolazioni più determinate vi furono, senza dubbio, i Sikh – fedeli di una religione monoteista “costola” dell’induismo nata intorno al XVI secolo predicando l’uguaglianza di tutti gli uomini, rifiutando quindi il sistema indù delle caste – i quali rappresentavano la maggioranza nel prospero Punjab, stato al confine nordorientale del paese. L’area, da sempre molto sviluppata e caratterizzata da uno dei terreni più fertili al mondo, aveva conosciuto una straordinaria espansione economica, diventando lo Stato più ricco e tecnologicamente avanzato della Repubblica indiana: qui il 92% delle terre coltivabili veniva irrigato artificialmente, la meccanizzazione era diffusa e la totalità dei villaggi serviti dall'energia elettrica, cosa impensabile in gran parte delle altre regioni. Oltre al benessere economico, differenze religiose e culturali - legate alle differenze linguistiche e religiose - contribuirono alla propagazione del desiderio di indipendenza.

Tra le frange più estreme del separatismo Sikh - in particolare i membri della diaspora sparsi per il Commonwealth - prese piede l’idea di fondare uno stato autonomo, chiamato Khalistan, “Terra della Purezza”. Questi trasformarono il più importante centro del potere religioso, il Tempio d'Oro di Amritsar, in centro politico costituito intorno alla figura del fondamentalista Jarnal Singh Bindranwale e cominciarono a raccogliere donazioni (anche milionarie) per la causa. Nell’aprile 1979 venne fondato il Consiglio Nazionale del Khalistan e nel maggio 1980 Jagjit Singh Chohan, un Sikh da tempo emigrato in Inghilterra, ne dichiarò l’indipendenza e assunse il ruolo di presidente.

Tuttavia, le posizioni di Chohan e di molti separatisti moderati differivano da quelle del leader spirituale Bindranwale, il quale promuoveva la creazione di una teocrazia Sikh anche attraverso la violenza. Il consenso intorno a Bindranwale crebbe anno dopo anno e con questo anche le azioni violente dei militanti Sikh crebbero di numero: tra l’agosto 1982 ed il giugno 1984, 410 persone furono uccise e oltre 1200 ferite in attacchi da parte dei separatisti Sikh, tra i quali il più noto fu probabilmente l’omicidio del capo della polizia del Punjab Avtar Singh Atwal. Inizialmente, le forze dell’ordine ebbero difficoltà ad intervenire ed individuare i colpevoli, a causa del clima omertoso e di cieca fedeltà a Bindranwale che permeava la comunità. Inoltre, era noto che gli attentatori trovassero rifugio nei templi, ma il governo di Delhi tentò di evitare azioni violente all’interno dei luoghi sacri per il timore di scatenare una reazione popolare su vasta scala. L’uccisione indiscriminata di sei cittadini di religione indù nel 1983, però, cambiò le carte in tavola: il governo di Indira Ghandi impose lo stato di emergenza nel Punjab e decise che era necessario risolvere la situazione una volta per tutte.

La repressione governativa non fece altro che aumentare gli attriti tra sikh e indù, fino a che, nella primavera del 1984, la fazione più estrema si radunò in armi nel Tempio d’Oro di Amritsar allo scopo di proteggere Bindranwale ed ottenere definitivamente l’indipendenza. Indira Ghandi decise di reagire con fermezza e di rispondere con l’intervento militare a quella che era chiaramente una provocazione di tipo militare, ordinando l’avvio dell’Operazione Blue Star: il 3 giugno 1984 l’esercito indiano circondò il Tempio d’Oro. Venne ordinato ai militanti asserragliati all’interno di lasciare liberi i pellegrini, ma non ottennero risposta e nulla accadde fino a sera. Verso le 19, cominciò l’offensiva dell’esercito. L’assedio si rivelò durissimo e durò circa 24 ore: la struttura del tempio, una sorta di fortezza al centro di un’enorme vasca, era una straordinaria posizione difensiva ed era stata preparata e fortificata nei mesi precedenti. Inoltre, l’esercito aveva sottovalutato l’armamento dei sikh, i quali avevano a disposizione mitragliatrici pesanti, lanciagranate e bombe anticarro. In ogni caso, l’esercito regolare riuscì a liberare il tempio grazie all’intervento di carriarmati ed artiglieria pesante. Alla fine della giornata di battaglia, gli assediati si arresero. Bindranwale era morto nei combattimenti e molti tra i suoi più importanti collaboratori erano riusciti a fuggire. Nelle file dell’esercito si contarono 83 morti e 249 feriti, contro i 483 morti tra combattenti ribelli e civili usati come ostaggi e gli oltre 1500 separatisti arrestati e portati a processo.

La risposta dei Sikh fu univoca: vendetta. Vendetta affidata a ciascun Sikh, vendetta di un popolo intero che si è sentito violentato dall’usurpazione del Tempio d’Oro. Indira Ghandi però decise di non curarsi delle minacce, e decise di mantenere nella propria scorta personale due sikh nei quali riponeva profonda fiducia. Fu il più grave errore di valutazione della sua vita. Il 31 ottobre 1984, le due guardie del corpo scaricarono i propri caricatori sul primo ministro indiano, uccidendola nel giardino della residenza presidenziale.