LA BATTAGLIA DI SINGAPORE

«Era difficile credere che ora fossimo nelle mani dei Giapponesi. Quella notte, mentre ci chiedevamo che cosa ci riservasse il futuro, non potevamo non pensare allo stupro di Nanchino»

(J. Chalker)

La battaglia di Singapore, combattuta tra l’8 e il 15 febbraio 1942, fu un capitolo decisivo per la campagna giapponese nel sud est asiatico durante la Seconda guerra mondiale. A Singapore i nipponici colsero una vittoria schiacciante sulle forze britanniche, le quali si videro costrette ad arrendersi e cadere prigionieri dei temuti nemici. La disfatta inglese fu accolta in patria come un evento tragico e fortemente destabilizzante, al punto che lo stesso Primo ministro Winston Churchill la definì come la più grave capitolazione della storia militare britannica.

La situazione di Singapore appariva in realtà già compromessa dai primi giorni del gennaio 1942, dal momento che il contingente britannico di stanza sull’isola aveva ben chiaro che i sistemi di difesa del territorio erano assolutamente inadeguati al contesto: mancavano fortificazioni, campi minati e fossati anticarro in molti dei punti strategicamente più sensibili. Con questa situazione drammatica a fare da sfondo e con i Giapponesi ormai giunti alle porte dell’isola, Churchill pensò in un primo momento di pianificare un’ordinata ritirata delle truppe verso la Birmania o verso l’isola di Giava, ma questa opzione fu aspramente osteggiata dal Primo ministro australiano John Curtin, il quale riteneva Singapore un avamposto decisivo per la difesa del proprio paese dalla rapida avanzata giapponese. Le ragioni di Curtin ebbero infine la meglio, trasformando Singapore nel teatro dapprima della resistenza delle forze britanniche e, in seguito, della loro tragica resa.

La strategia del generale giapponese Tomoyuki Yamashita prevedeva la conquista di Singapore entro l’11 febbraio, grazie alla posizione favorevole che i nipponici avevano da poco conquistato sullo stretto di Johore, da dove erano in grado di bombardare gli avamposti nemici senza grossi rischi. Nel giro di poche ore dall’inizio dell’attacco, le truppe britanniche coordinate dal generale Percival palesarono grandissime difficoltà, disperdendosi nei terreni ostili delle foreste pluviali dell’isola, perdendo così ogni possibilità di comunicazione tra i reparti. Con le armate britanniche immerse nel caos, iniziarono i primi sbarchi giapponesi, volti alla conquista del villaggio di Buki Timah, luogo decisivo per il controllo del territorio circostante, che capitolò l’11 febbraio, a cui seguì dopo poco la presa dell’aeroporto di Tengah. Perse tutte le posizioni strategiche e con l’esercito nella più totale confusione mentre l’isola veniva messa a ferro e fuoco dai Giapponesi, al generale Percival non rimase altra scelta che arrendersi. Così, il 15 febbraio 1942, alle ore 20.30, fu firmata la resa dell’esercito britannico.

La sconfitta della Gran Bretagna a Singapore ebbe conseguenze terrificanti per i soldati britannici. Circa 80.000 uomini caddero prigionieri, costretti a sopportare per anni atrocità e violenze. In particolare, gran parte dei soldati catturati vennero mandati a lavorare in condizioni disumane nei cantieri per la costruzione della linea ferroviaria tra Thailandia e la Birmania: fu la prima volta nella storia che un Inglese fu fatto schiavo.

LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

- N. Ferguson, “Impero. Come la Gran Bretagna ha fatto il mondo moderno”, Mondadori, 2009.

- Bernard Millot, “La guerra del Pacifico”, BUR, 2002.

- Film: “Il ponte sul fiume Kwai”, di David Lean, 1957.