STORIE D'ORIENTEdi Lorenzo Bonaguro

IL GIAPPONE NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


«[Il Giappone] non potrà limitarsi ad individuare e distruggere le navi tedesche… sarà costretto a adottare ogni misura necessaria per neutralizzare le forze tedesche nella regione, per amore della pace in tutta l’Asia orientale»

(Katō Takaaki, Ministro degli Esteri giapponese)

Il ruolo dell’Impero giapponese nel primo conflitto mondiale viene solitamente trascurato o minimizzato nei manuali di storia occidentali, più attenti ai campi di battaglia del nostro continente. Tuttavia l’Oceano Pacifico occidentale fu un teatro di guerra importante, che provocò grosse ripercussioni nel mondo europeo, protrattesi fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questo disinteresse è in parte dovuto al fatto che la stessa storiografia giapponese tende a leggere l’intervento giapponese come una guerra bilaterale nippo-tedesca, anziché analizzarla nel quadro più ampio della Grande guerra.

In Giappone, negli anni immediatamente precedenti la guerra, salì al potere della fazione militare a scapito dei "genroo" (traducibile come “anziani uomini di stato”), un gruppo di individui così influente da stabilire il Primo Ministro e il gabinetto pur essendo menzionati nella Costituzione Meiji. Ciò era dovuto anche alla debolezza del Trono del Crisantemo, a sedeva l’imperatore Taisho, gravemente malato. Nel ceto dominante e in gran parte della società civile erano ormai diffuse idee imperialiste e antioccidentali basate sul motto «Fukoku kyōhei», ovvero «arricchisci il Paese, rinforza l'esercito!», che identificavano il Giappone come baluardo asiatico contro l’"imperialismo bianco”, portando la politica estera di Tokyo in contrasto con le grandi potenze europee e con gli Stati Uniti.

Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, l’imperialismo nipponico aveva già collezionato una serie successi politico-militari: grazie alla schiacciante vittoria nella guerra sino-giapponese del 1894-95, il Giappone era diventato la prima potenza imperialista non occidentale al mondo. Altro grande successo fu la vittoria contro la Russia nel 1905, conflitto mirato ad escludere un ingombrante rivale nell’area e di conseguenza rafforzare la sfera d’influenza giapponese in Cina. Anche grazie a questi trionfi, nel corso degli anni le ambizioni espansionistiche della classe dirigente nipponica crebbero notevolmente. Le motivazioni dell’intervento nella Grande guerra furono dunque il soddisfare i bisogni di un’economia capitalista in rapida espansione nonché il creare un ambiente internazionale in grado di garantire la sicurezza del paese. Nella mentalità del tempo ciò significava politica di potenza. Tuttavia, l’entrata in guerra non fu un processo semplice o automatico: ci volle il peso politico di personaggi di grande spessore e carisma, di uomini profondamente consapevoli della situazione internazionale ed europea quali Kato Takaaki, allora Ministro degli Esteri, per arrivare a tale decisione.

Sebbene in principio avesse dichiarato la neutralità, il governo nipponico ricevette una richiesta di aiuto dall’Impero Britannico, di cui era alleato fin dal 1902. Tokyo dunque reagì intimando alla Germania di abbandonare ogni possedimento in Estremo Oriente, ma il Reich non si degnò di rispondere per via diplomatica. Le operazioni militari in collaborazione con la Royal Navy iniziarono, quindi, con l’assedio della concessione tedesca di Qingdao, situata nella penisola dello Shangdong e affacciata sul Mar Giallo. Qui si trovava un importante porto fortificato, essenziale per il controllo del Mar di Corea. L’assedio di Qingdao si risolse in una sola settimana, tra il 31 ottobre al 7 novembre 1914, e coinvolse truppe nipponiche e britanniche. Inoltre, a Qingdao fu effettuato il primo attacco aereonavale della storia, grazie alla pioneristica portaerei giapponese Wakamiya. Negli anni a seguire, l’esercito imperiale svolse principalmente azioni di disturbo ai tedeschi e di supporto agli inglesi, in particolare nell'Asia sud-orientale. Il Giappone giocò anche un ruolo indiretto ma fondamentale sullo scenario europeo, garantendo rifornimenti all’Intesa e bloccando quelli tedeschi e partecipando a numerose operazioni di scorta e di salvataggio nel Mar Cinese Meridionale, nel Mediterraneo e nell'area del Capo di Buona Speranza.

Durante il conflitto, il governo nipponico cercò di portare avanti i propri obiettivi, anche quando si trovò in contrasto con le potenze dell’Intesa, come nel caso dell’espansione in Cina, dove, approfittando del caos che regnava nel paese, l'Impero del Sol Levante tentò, nel 1915, di imporre a Pechino le cosiddette “Ventuno richieste”, le quali avrebbero ridotto di fatto la Repubblica cinese a un mero protettorato giapponese. Il presidente Yuan Shikai denunciò però quest'imposizione alle potenze, le quali che fecero pressione su Tokyo affinché allentasse la presa: nessun paese europeo, né tanto meno gli Stati Uniti, erano disposti a perdere i privilegi acquisiti nei decenni precedenti nel territorio cinese. Alla fine le richieste vennero ridimensionate, ma Tokyo ottenne comunque il riconoscimento della divisione in sfere d’influenza delle aree strategiche del territorio cinese, grazie ad accordi stipulati particolare con la Russia e con gli USA.

Alla Conferenza di pace di Versailles, la delegazione del Sol Levante non ottenne quanto si aspettava. Si concordò di assegnare al Giappone le ex colonie tedesche nel Pacifico (arcipelaghi delle Marshall, delle Caroline e delle Marianne) con un mandato di “tipo C”, il quale permetteva ampie possibilità di ingerenza alla potenza mandataria; inoltre furono concessi anche diritti ferroviari e minerari su vaste arie del territorio cinese. Fu invece lasciata a futuri accordi bilaterali con la Cina la questione del Shandong. Ciò non era abbastanza per le ambizioni espansionistiche dell’Impero. Immediatamente dopo la chiusura delle conferenze, l'élite politica ed i gruppi nazionalistici spinsero ulteriormente la propaganda sciovinista anti occidentale, ottenendo largo seguito nei ranghi intermedi dell’esercito e della piccola borghesia, gettando così le basi ideologiche del regime fascista che condurrà il Giappone alla Seconda Guerra Mondiale.

LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

- R. Caroli, F. Gatti, “Storia del Giappone”, Mondadori, 2016.

- E. Di Nolfo, “Storia delle relazioni internazionali, 1918-1999”, Laterza, 2002

- O. Frattolillo , S. Oliviero, La diplomazia giapponese di fronte alla prima guerra mondiale: dalla dichiarazione alle “ventuno domande”http://siba-ese.unisalento.it…/article/download/15730/13633