di Lorenzo Bonaguro

I 55 giorni di Pechino


«Im Jahre 1900, da rief der Trommelklang / die Welt nach Peking, 55 Tage lang

Nell‘anno 1900 il suono del tamburo ha chiamato / il mondo a Pechino, per 55 giorni»

Fünfundfünfzig Tage in Peking, canzone militare tedesca


La ribellione dei boxer, o Yihequan (义和拳) “Pugni di giustizia e concordia”, fu un episodio breve – dall’autunno del 1899 al settembre 1901 – ma significativo degli ultimi anni della dinastia Qing e dell’Impero di Mezzo, la Cina. Iniziata nella regione dello Shandong, ben presto la rivolta si estese alla maggior parte delle provincie costiere, dove la presenza degli stranieri era maggiore. Il movimento, che coinvolse anche la popolazione contadina e i bassi strati sociali delle città, chiedeva a gran voce un profondo rinnovamento della società e delle istituzioni cinesi. In un primo momento, la rivolta fu veicolata contro la dinastia regnante, che però riuscì astutamente a dirottare la rabbia e la violenza contro la presenza di europei e giapponesi. Infatti, da questi furono in sostanza percepite solo le istanze xenofobe e anticristiane. Ben presto i dispacci delle legazioni europee non facevano che segnalare la crescente ondata di violenze e omicidi contro gli stranieri e i cristiani, anche se cinesi. Dapprima i governi d’Europa decisero di mobilitare le flotte in Asia, dando una dimostrazione di forza premendo sui principali porti del nord della Cina. Ma non fu sufficiente e l’avanzata degli insorti raggiunse il suo picco con l’assedio delle delegazioni straniere a Pechino, situate in un quartiere a ridosso della Città Proibita.

Avendo capito che il governo cinese non avrebbe potuto garantire la sicurezza loro del loro staff e delle relative famiglie, gli ambasciatori occidentali, più quello giapponese, decisero di asserragliarsi nel quartiere delle legazioni della capitale. Le truppe di varia nazionalità si disposero nei palazzi e nelle strade più difendibili del quartiere. La maggior parte dei civili fu sistemata nell’ambasciata britannica, la più spaziosa. Gli americani e gli inglesi presero il comando, essendo i più numerosi e organizzati: il britannico Claude MacDonald fu scelto per guidare la resistenza armata, assistito dall’americano Herbert Squiers. A partire dal 20 giugno 1900 i ribelli cinesi, affiancati da soldati simpatizzanti iniziarono l’assedio, ma non avendo un piano preciso né una linea di comando chiara gli attacchi non ebbero successo, nonostante un numero soverchiante rispetto ai difensori.

Le giornate decisive furono quelle all’inizio del mese di luglio. Gli americani e i tedeschi difesero il cosiddetto Muro dei Tartari, lanciando anche delle controffensive per alleggerire l’assedio. Il perimetro difeso da giapponesi e italiani subì gli attacchi peggiori, costringendo la difesa ad arretrare. Il palazzo dell’ambasciata francese fu fatto saltare in aria dai Boxer spingendo ancor di più i civili ad ammassarsi nei pochi edifici ancora in piedi. Gli assedianti, infatti, non esitarono ad appiccare incendi. Alla fine del mese i difensori avevano perso un terzo della forza militare, e i restanti uomini erano feriti o gravemente denutriti, come gran parte dei civili. La speranza arrivò però con armistizio, che permise loro di riprendere fiato e aspettare i soccorsi che giunsero a metà di agosto. Un esercito internazionale composto da russi, inglesi, francesi, e americani assediarono la città di Pechino da ogni porta, ponendo fine all’assedio dopo ben 55 giorni.


LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

  • 55 giorni a Pechino, regia di Nicholas Ray

  • Preston, Diana, The Boxer Rebellion: The Dramatic Story of China's War on Foreigners That Shook the World in the Summer of 1900, 1999