Hirohito e la resa del Giappone

GABRIELE PATO

L'ULTIMO DEGLI DEI – HIROHITO E LA RESA DEL GIAPPONE

«Siamo arrivati alla conclusione che dobbiamo sopportare l’insopportabile e tollerare l’intollerabile».

(Imperatore Hirohito, 1945)

Con queste parole, il 15 agosto 1945, sei giorni dopo gli attacchi nucleari ad Hiroshima e Nagasaki, il 124° “sovrano celeste” salito sul Trono del Crisantemo, annunciava ai propri sudditi la resa incondizionata. Soltanto la distruzione delle sessantasei maggiori città del paese, i bombardamenti incendiari su Tokyo e l'utilizzo di «una nuova e crudelissima bomba, il cui potere di causare danni è, infatti, incalcolabile, prendendo il tributo di molte vite innocenti» convinsero l'imperatore Hirohito ad optare per quest'opzione rispetto al progetto della «onorevole morte dei cento milioni», ovvero il piano propagandato per anni dalla leadership militare alla popolazione giapponese, che contemplava un'onorevole suicidio di massa in caso di sconfitta. I vertici dell'esercito nipponico erano così convinti dell'impossibilità di una resa che, la notte precedente alla dichiarazione dell'Imperatore, un commando di alti ufficiali arrivò ad assaltare il palazzo imperiale per impadronirsi del nastro su cui era registrata la “radiotrasmissione della voce del Gioiello” ed in seguito imporre al paese il proprio piano di onorevole morte collettiva. Il piano fu sventato con facilità dato il numero esiguo dei congiurati, ma quest'episodio è paradigmatico dello spirito che pervadeva la nazione.

Hirohito, dunque, prese la decisione più logica e pietosa, ma anche la più inaspettata. I giapponesi furono completamente scioccati. Essi stavano udendo, per la prima volta nella storia, la viva voce del “dio vivente” (現人神 - arahitogami), che mai in precedenza si era rivolto direttamente ai sudditi e per il quale, questi ultimi, erano pronti a dare la vita. La notizia della resa portò ad un gran numero di suicidi. Moltissimi, soprattutto tra le classi alte e tra i militari, scelsero di togliersi la vita piuttosto che affrontare la sconfitta. Il picco dei suicidi non si ebbe però in reazione al discorso del 15 agosto, bensì a quello del 1° gennaio 1946, quando – su richiesta del generale MacArthur – l'imperatore firmò e promulgò alla nazione la Dichiarazione di umanità (人間宣言 - Ningen-sengen). Queste parole, tutt'ora assai controverse dal punto di vista formale, annunciavano la stesura di una costituzione per la creazione di un nuovo Giappone democratico e furono interpretate dalla maggioranza dei giapponesi, secondo l'obiettivo degli statunitensi, come la rinuncia alla pretesa di divinità dell'imperatore.

Il discorso – ideato da due americani esperti in cultura giapponese, John W. Dower e Herbert P. Bix – era effettivamente incentrato sul ruolo della democrazia nel Sol Levante, sull'idea che questo sistema fosse in realtà già ben saldo dall'epoca della restaurazione Meiji e sulla necessità di collaborazione e di unità per una «rivitalizzazione nazionale»; la "Dichiarazione di umanità" era, da un punto di vista testuale, marginale. Inoltre conteneva alcune ambiguità dovute soprattutto all'utilizzo del giapponese di corte. Effettivamente, nel passaggio in cui Hirohito dichiarava la «falsa concezione secondo cui l'Imperatore sarebbe divino […] e il popolo giapponese superiore ad altre razze e predestinato a governare il mondo», veniva utilizzata la parola “akitsumikami” (現御神, incarnazione di dio) anziché il comune epiteto “arahitogami” (現人神, dio vivente): dal momento che Hirohito si considerava, ed era considerato, non incarnazione di una divinità bensì diretta emanazione nel tempo della dea Amaterasu, la sua affermazione risultava lapalissiana. Questa finezza lessicale era segno delle convinzioni profonde di Hirohito, che pochi mesi prima aveva dichiarato al proprio ciambellano: «È lecito ritenere falsa la concezione che i giapponesi discendano dagli dei, ma del tutto inammissibile giudicare fantasiosa l'idea che ne discenda l'imperatore».

Nonostante i cavilli e le sfumature interpretative, difficilmente comprese dalla popolazione dal momento che il documento era redatto in giapponese arcaico, milioni di persone cresciute a riso, nazionalismo e culto dell'imperatore videro le proprie convinzioni ed i propri valori sbriciolarsi sotto il peso della sconfitta e migliaia di loro preferirono aderire al bushido – il codice di comportamento samurai – e togliersi la vita. Allo stesso modo, nonostante Hirohito fosse convinto della propria origine divina e non avesse volutamente espresso in modo netto la confutazione di quest'idea, dal 1945 in poi il "sovrano celeste" avrebbe ricoperto un ruolo meramente cerimoniale in quanto «rappresentante delle volontà del popolo»