di Gabriele Moretti

2003: L’EPIDEMIA DELLA SARS


Nel febbraio 2003, fu identificata una nuova forma di polmonite acuta, causata da un virus sconosciuto fino a quel momento, che dalla provincia di Guangdong si era diffuso nella Cina meridionale, ad Hong Kong e in Vietnam. La malattia fu scoperta dal dottor Carlo Urbani, direttore della sezione italiana di Medici Senza Frontiere che al momento lavorava ad Hanoi e che morì proprio a causa di questa polmonite il 29 marzo 2003. Alla malattia venne dato il nome di SARS (acronimo di Severe acute respiratory syndrome), basato sui sintomi più comuni, ovvero crisi respiratorie acute gravi e in alcuni casi mortali.

I primi indizi dell’epidemia apparvero alla fine di novembre 2002, quando il Global Public Health Intelligence Network – un sistema di allerta elettronico dell’OMS – selezionò una serie di rapporti riguardo ai focolai influenzali in Cina. A causa di difficoltà di comunicazione – dovute sia al fatto che il GPHIN lavorava soltanto in inglese e francese sia alla riservatezza del governo cinese – il primo report ufficiale in inglese fu pubblicato solo il 21 gennaio 2003, nonostante l’OMS avesse chiesto apertamente informazioni alle autorità di Pechino il 5 e l’11 dicembre. L’attenzione mediatica sull’epidemia arrivò soltanto tra febbraio e marzo, quando i casi di SARS cominciarono ad avere rilevanza numerica internazionale.

Liu Janlun, microbiologo cinese sessantaquattrenne ricercatore all’università di Guangzhou, enorme conurbazione situata a circa 150 chilometri da Hong Kong, fu molto probabilmente “l’untore”. Da diversi mesi stava lavorando per individuare una misteriosa infezione che ciclicamente decimava gli animali della regione. Liu, che non aveva sintomi particolari e pensava che l’oggetto dei suoi studi fosse un patogeno limitato al mondo animale, ovviamente non sapeva e non avrebbe potuto immaginare di essere il paziente zero del virus che cercava di combattere. Durante un breve soggiorno all’Hotel Metropole di Hong Kong, dove passò le notti del 21 e 22 febbraio 2003, il ricercatore accusò i primi sintomi e li associò ad una comune influenza. Senza saperlo, stava dando il via alla catena di contagio e per di più lo stava facendo in un luogo dove transitavano varie centinaia di persone ogni giorno. Liu Janlun fu subito messo in isolamento nell’ospedale Kwong Wah di Hong Kong e lì morì il 4 marzo. Ma il domino dell’epidemia si era oramai innescato e almeno altri ventitré ospiti dell’albergo erano già stati contagiati. Uno di questi era Johnny Chen, l’imprenditore sino-americano che trasportò il virus in Vietnam, dove era diretto per questioni lavorative, e dove il dottor Carlo Urbani lo visitò e comprese di avere a che fare con una malattia nuova e pericolosa. Il 26 febbraio Chen venne internato all’Ospedale Francese di Hanoi, dove infettò almeno 38 membri dello staff medico.

Nel frattempo, gli altri ex ospiti infetti dell’Hotel Metropole, del tutto inconsapevoli di essere portatori di un virus contagioso e pericoloso, continuarono a viaggiare per il mondo e a diffondere la SARS: Kwan Sui-Chu e suo figlio tornarono a casa a Toronto, Canada, mentre altri viaggiarono a Taiwan, a Singapore, in Thailandia (dove accusò i primi sintomi e fu ricoverato il dottor Urbani) e nella Cina continentale. Da questi paesi il virus si diffuse rapidamente agli stati limitrofi e, probabilmente attraverso viaggi aerei, gli altri continenti: oltre ai 146 Canada, quarantuno casi furono individuati negli Stati Uniti, due in Brasile, trentacinque in Europa, quattro in Australia, uno in Kuwait e uno in Sud Africa. Nonostante l’inefficienza delle risposte iniziali, dovuta soprattutto al governo cinese che per alcuni mesi proseguì a trattare la SARS come una qualsiasi polmonite di origine batterica, da febbraio-marzo del 2003 iniziarono le vere e proprie operazioni di contenimento. Nei mesi successivi, nuovi casi scoppiarono soltanto all’interno degli ospedali e, il 5 luglio 2003, l’Organizzazione Mondiale della Sanità poté finalmente dichiarare l’emergenza rientrata. Negli anni successivi sono stati riportati soltanto altri quattro casi di SARS, tutti in Cina, e tre su quattro a causa di incidenti di laboratorio risultati in infezioni.

L’epidemia di SARS si risolse in poco tempo, ma lasciò dietro di sé notevoli conseguenze. In totale vi furono 8096 casi certi di infezione (dei quali 7077 tra Cina e Hong Kong) e 774 morti (648 tra Cina e Hong Kong), per un tasso di mortalità del 9,6%. Inoltre, vi furono notevoli altre conseguenze indirette: alcune aree della Cina e di Hong Kong rimasero isolate per diverse settimane, gli ospedali si trovarono in condizioni di sovraffollamento e spesso non in grado di gestire le ondate di panico tra la popolazione. L’assalto ai pronto soccorso causò poi gravi scompensi nella distribuzione delle risorse, togliendo personale, materiali ed energie ad altre situazioni che avrebbero necessitato maggiori attenzioni. Molti mercati vennero chiusi e la vendita di carne e altri prodotti freschi fu fortemente limitata. Anche il turismo e i viaggi di lavoro, entrambi settori cruciali per la Cina meridionale, Hong Kong e Singapore, ebbero un brusco calo per diversi mesi dovuto al terrore della SARS. Il costo globale dell’epidemia fu calcolato in circa 54 miliardi di dollari americani.


LETTURE E APPROFONDIMENTI:


- http://www.treccani.it/enciclopedia/sars_(Il-Libro-dell'Anno)/

- https://www.epicentro.iss.it/focus/sars/oms