di Andrea Bernabale

IL NUOVO SOCIALISMO: IL REVISIONISMO CRAXIANO


«La mia libertà equivale alla mia vita.»

(Iscrizione sulla sua tomba nel cimitero cristiano di Hammamet, in Tunisia)


A vent’anni dalla sua morte ad Hammamet (Tunisia), dove era fuggito nel 1994, la figura politica di Bettino Craxi resta controversa, discussa, e spesso anche rimpianta. Di certo, il leader socialista, seppure alla guida di un medio partito, fu capace di intendere la società del suo tempo e il suo rapporto con la politica, traducendo tali intuizioni in nuove proposte politiche capaci di ripensare, in maniera radicale, l’idea di socialismo nella società contemporanea.

Gli anni che meglio inquadrano la sua parabola politica, un periodo compreso tra il 1976 e il 1992 circa, furono infatti anni di mutamento e profonde trasformazioni dell’Occidente europeo, Italia compresa. Trasformazioni destinate a permeare anche una nuova offerta politica.

In questo contesto storico e politico si inserisce la figura di Craxi segretario del PSI, all’epoca figura di forte divisione del giudizio collettivo, che spaziava tra i suoi sostenitori più convinti e adulatori ai più critici del pensiero riformatore craxiano. Dal canto suo, Craxi si affermò senz’altro come una figura carismatica capace di coinvolgere aspetti emozionali dell’elettore, strategia oggi ampiamente e patologicamente ricercata dai leader di partito, spogliando sempre più il dibattito politico del contenuto politico.

Se da una parte, quindi, Craxi fu una figura carismatica dotata di un’eccellente intuizione socio-politica, dall’altra non mancano le critiche che lo accusano di aver incentivato la corruzione politica e, a sinistra, di aver mutato il “carattere genetico” del socialismo italiano trasformando il partito in un conglomerato di carrieristi e affaristi, nonché di aver portato il PSI a destra di tutti i partiti socialisti europeo, seppure anch’essi subirono una profonda rilettura ideologica.


IL CRAXISMO COME INTUIZIONE

L’intuizione di Craxi fu quella di capire, prima di altri, che con gli anni ‘80 entravamo nell’epoca del consumo opulento, un’epoca caratterizzata da scarsa adesione alla dimensione ideologica e più propensa a quella edonistica, un nuovo stadio e grado di secolarizzazione della società. Intuì, inoltre, l’importante arma mediatica televisiva, potenzialmente capace di incidere significativamente sugli orientamenti politici e culturali degli italiani. Tant’è che nel 1993 disse all’amico Silvio Berlusconi: «Bisogna trovare un'etichetta, un nome nuovo, un simbolo, un qualcosa che possa unire gli elettori moderati che un tempo votavano per il pentapartito. Con l'arma che tu hai in mano delle televisioni, attraverso le quali puoi fare una propaganda martellante, ti basterà organizzare un'etichetta, un contenitore. Hai uomini sul territorio in tutta Italia, puoi riuscire a recuperare quella parte di elettorato che è sconvolto, confuso, ma anche deciso a non farsi governare dai comunisti, e salvare il salvabile

Consigli da mentore che trovarono un'effettiva applicazione pratica e che favorirono l’impero mediatico in capo a Berlusconi.

Craxi intuì anche la necessità di una Grande Riforma - mai attuata e mai delineata precisamente - che indirizzava il sistema politico italiano verso un sistema presidenziale, per garantire maggiore stabilità all’esecutivo.

Lasciò in eredità alla politica italiana la figura di Silvio Berlusconi, mentre la tanto voluta riforma costituzionale rimase lettera morta; nota è invece la triste capitolazione politica di Craxi sotto le inchieste della magistratura. Più complesso, piuttosto, è il suo revisionismo del pensiero socialista.


UN “NUOVO” SOCIALISMO

Resa impossibile la possibilità di rafforzare la stabilità dei governi modificando l’architettura costituzionale, l’idea di Craxi fu quella di elaborare una strategia che ricollocasse il PSI in una posizione di centralità nello schieramento politico, ritenendo naturale una posizione intermedia tra il PCI e la DC. Una strategia che necessita di un ripensamento dell’ideale socialista, nonché il suo stesso superamento per sfociare “oltre” la dimensione di sinistra.

La via da adottare è necessariamente quella di un revisionismo ideologico, che passa anche attraverso un mutamento linguistico: non esiste più la classe operaia ma esiste il mondo del lavoro; non più capitalismo o “padrone”, ma sistema di mercato e imprenditori. In altre parole, attenuazione della tensione dialettica che prelude ad un allentamento della tensione ideologica.

Il pensiero craxiano è dunque caratterizzato da una forte contestazione della tradizione marxista che, tuttavia, in un’ottica comparata non costituisce una novità, essendo idea condivisa di quasi tutti partiti socialisti dell’Europa mediterranea durante tutti gli anni ‘70.

Partendo da questo assunto, Craxi tenta una sintesi - per molti versi contraddittoria - tra socialismo e liberalismo, servendosi dei contributi del filosofo Norberto Bobbio e del sociologo Luciano Pellicani, con il quale collaborò alla scrittura de “Il vangelo socialista”.

Da Bobbio - considerato l’intellettuale più prestigioso dell’area laica - riprende l’idea che il fondamento della democrazia non risiede nell’eguaglianza ma bensì nella libertà, intesa come autonomia dell’uomo nei confronti della società e dello Stato. Un’idea che riprende, a sua volta, un’elaborazione di Hans Kelsen, secondo il quale «(..) è il valore di libertà e non quello di eguaglianza a determinare in primo luogo l’idea di democrazia.»

Da Pellicani, invece, riprende la critica alla linea leninista (sostenuta dal PCI) e un certo approccio metodologico. Infatti, Pellicani respinge la pretesa di concepire il socialismo come uno stato di perfezione sociale e considera leninismo e pluralismo come termini antitetici : se prevale il primo muore il secondo. E ciò perché l’essenza specifica, il principio animatore del progetto leninista consiste nell’istituzione del comando unico e della centralizzazione assoluta: il che, evidentemente, implica la statizzazione integrale della vita umana individuale e collettiva. La democrazia (liberale o socialista) presuppone invece l’esistenza di una pluralità di centri di potere (economici, politici ,religiosi, ecc.) in concorrenza fra di loro e la cui dialettica impedisce il formarsi di un potere assorbente e totalitario. Di qui la possibilità che la società civile abbia una certa autonomia rispetto allo Stato e che gli individui e i gruppi possano fruire di zone protette dall’ingerenza della burocrazia. Inoltre, la società pluralista è una società laica, nel senso che non c’è alcuna filosofia ufficiale di Stato, alcuna verità obbligatoria. Nella società pluralista la legge della concorrenza non opera solo nella sfera economica, ma anche in quella politica e in quella delle idee. Il che presuppone che lo stato è laico nella misura in cui non pretende di esercitare, oltre al monopolio della violenza, il monopolio delle gestione dell’economia e della produzione scientifica. In breve: l’essenza del pluralismo è l’assenza del monopolio. Tutto il contrario delle tendenze che si sono affermate nel sistema comunista.

In conclusione, possiamo considerare il craxismo - nella sua declinazione prettamente politica - una mutazione genetica socialista, nonché un nuovo paradigma per le “sinistre” a venire, un socialismo liberale intriso di tutte le sue contraddizioni.


LETTURE E APPROFONDIMENTI:



- Libro “Gli anni di Craxi”, https://www.fondazionesocialismo.it/wp-content/uploads/2015/10/Decisione-e-processo-politico.pdf