TOGLIATTI E LA JUGOSLAVIA DI TITO


STORIE DELLA REPUBBLICALORENZO BONAGURO


«La guida non puo non essere per tutti altro che una: nel campo della dottrina è il marxismo-leninismo; nel campo delle forze reali è il paese il quale è già socialista, nel quale un partito marxista-leninista ha funzione di dirigente»

(Togliatti, L’Unità, 2 luglio 1948)

All’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale le relazioni tra Josip Broz “Tito”, leader della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, e Stalin, segretario del PCUS e guida indiscussa del comunismo internazionale, erano ottime. Nel 1945 Tito firmò un trattato d’amicizia con l’URSS e adottò una pianificazione economica sul modello stalinista. Nonostante ciò, i comunisti jugoslavi cercarono fin dall’inizio l’indipendenza da Mosca, la quale ufficialmente difendeva le pretese di Tito su Trieste, ma che di fatto subordinò le aspirazioni nazionaliste jugoslave ai propri interessi di superpotenza. La rottura definitiva tra i due paesi si consumò nel giugno 1948, tramite una risoluzione del Cominform, quando Stalin riconobbe che la Jugoslavia stava diventando un secondo centro d’aggregazione politica del campo socialista in grado di sfidare l’egemonia russa.

Il Partito Comunista Italiano, guidato dal Segretario Generale Palmiro Togliatti, mantenne un atteggiamento ondivago nei confronti Belgrado, mentre si mostrò sempre in linea con i dettami sovietici. Fino al 1948, il PCI intrattenne rapporti distesi e collaborativi con i vicini orientali, nonostante molti comunisti italiani avessero manifestato perplessità verso la piega nazionalista dei partigiani titini. Per quanto riguarda la complessa gestione della questione giuliana, in cui il PCI doveva districarsi tra le alleanze internazionali e l’interesse nazionale, la posizione ufficiale del partito era una risoluzione che coinvolgesse soltanto Roma e Belgrado, escludendo la mediazione degli Alleati, poiché si riteneva potessero fare leva su Trieste per ricattare il governo italiano. L’altra possibilità presa in considerazione era che venisse applicato il progetto ONU del Territorio Libero di Trieste, posizione promossa anche dall’URSS. Il 20 marzo 1948, al culmine della campagna elettorale, i comunisti italiani furono presi in contropiede dalla dichiarazione tripartita di USA, Gran Bretagna e Francia di restituire Trieste all’Italia. La rottura tra Belgrado e Mosca, avvenuta un paio di mesi dopo, permise a Togliatti di liberarsi da questa scomoda situazione. Inoltre, vertici del PCI erano ben informati dell’imminente rottura tra le due grandi forze socialiste, ma questi preferirono comunque temporeggiare, attendendo una possibile riconciliazione.

Il Segretario Togliatti era realmente preoccupato del frazionamento interno al blocco comunista e, nonostante fosse ufficialmente schierato con Stalin, risulta evidente da alcuni documenti prodotti dal PCI e dalla diplomazia jugoslava, che egli sollecitò il Cominform affinché tornasse sui suoi passi. Inoltre, egli auspicava che anche Tito smorzasse gli esasperanti toni nazionalisti e si riavvicinasse a Mosca. Anni dopo, Togliatti accuserà pubblicamente il Cominform di aver compiuto un «errore gravissimo, indice di superficialità burocratica» nella gestione della crisi. Non era ideologicamente contrario alla “via jugoslava al socialismo”, dal momento che era cosciente del fatto che anche il PCI, date le contingenze politiche dell’Europa occidentale, avrebbe dovuto costruire un proprio cammino verso socialismo che si differenziasse dal modello russo, senza però mettere in discussione la guida di Mosca. La posizione di Togliatti non era comunque condivisa da tutti i vertici di partito: Secchia e Pajetta, stalinisti convintissimi, speravano in una repressione ancor più dura per la «cricca di Tito». Pietro Secchia, in particolare, pare fosse avesse legami con la presenza di cominformisti italiani in incognito, che operavano con compiti di spionaggio e propaganda in territorio jugoslavo. Fra questi agenti, due tra i più noti furono Alfredo Bonelli, che prese spontaneamente parte all’attività clandestina, e Adriano Dal Pont, funzionario del Cominform presso il PC triestino. Il primo, trasferitosi con la famiglia a Rijeka (Fiume), entusiasta di partecipare alla costruzione di un paese socialista, rimase deluso dalla situazione di crisi economica e delle contraddizioni della società jugoslava, che di fatto non aveva cancellato le iniquità sociali ed anzi privilegiava gli uomini vicini al Maresciallo. Bonelli partecipò alla fondazione di un’organizzazione composta da cominformisti in incognito, della quale fu un membro centrale.

La repressione di Tito, che a inizio anni Cinquanta aveva sostanzialmente smantellato la rete clandestina, fu durissima ma, nonostante ciò, Bonelli fu tra i pochi fortunati ad uscire indenne dalla prigionia. Al contrario di Bonelli, Dal Pont fu appositamente inviato dal PCI con l’obiettivo di spiare e destabilizzare la Jugoslavia, ma la sua organizzazione ebbe vita ancor più breve. Molti comunisti cominformisti italiani, fra i quali Dal Pont, vennero internati in campi di prigionia e rieducazione politica quali il famigerato Goli Otok e furono liberati soltanto nel 1956, grazie al processo di distensione promosso da Nikita Chruščëv. Una volta rientrati in Italia vennero isolati dai compagni e l’argomento della loro missione non fu mai discusso all’interno del partito. I rapporti con il Maresciallo Tito erano tornati buoni, come dimostrarono le visite a Tito da parte di Togliatti e Longo, e nessuno voleva rischiare di creare nuove fratture riportando a galla eventi scomodi del recente passato. L’accaduto, come altri temi nelle relazioni italo-jugoslave, passò in secondo piano e non venne affrontato fino agli Sessanta e Settanta, quando una nuova generazione di comunisti creò un clima più disteso e meno influenzato dal passato stalinista.

Ad oggi, il dibattito sul ruolo di Togliatti in relazione alla questione Jugoslava è ancora aperto. Da molti egli è accusato di essere l’uomo di Stalin, cominformista integralista, supino esecutore dei diktat moscoviti. Ciononostante, la figura che emerge dalle memorie dei suoi stretti collaboratori quali Longo, Secchia e Nilde Iotti, sua compagna nella vita privata, e dalle trascrizioni delle riunioni di direzione, è quella di un leader che cerca di barcamenarsi negli angusti spazi della politica internazionale di inizio Guerra Fredda. Non si oppose mai apertamente a Stalin, questo è certo, e quasi sempre vi si allineò. Tuttavia, in più di un’occasione, cercò di mediare le tensioni fra Mosca e Belgrado, con l’obiettivo di non spaccare il fronte socialista. Fu un uomo diviso fra un’anima profondamente internazionalista, che poneva la realizzazione del socialismo al di sopra di tutto, ed una tattica e calcolatrice, a tratti cinica, che lo rese in grado di destreggiarsi nel gioco labirintico della politica italiana e di quella internazionale.


LETTURE ED APPROFONDIMENTI

- Roma-Belgrado. Gli anni della guerra fredda, a cura di M. Galeazzi, Longo Editore Ravenna, 1995

- Togliatti nel suo tempo, a cura di R. Gualtieri, C. Spagnolo, E. Taviani, Carocci Editore, 2007