di Lorenzo Balma

LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI


“Io lanciavo le bombe a mano, mio fratello aveva il moschetto. Poi imbracciai anche io il moschetto e abbiamo sparato […] avevo 22 anni e mio fratello 16”

Maddalena Cerasuolo


Le quattro giornate di Napoli rappresentano uno dei più grandi successi della resistenza e il suo valore è accresciuto dal fatto che fu una rivolta spontanea e trasversale dell’intera società civile contro l’occupazione della Wehrmacht. Infatti Napoli fu l’unica città europea a liberarsi autonomamente dal giogo nazista e per questo le venne riconosciuta la medaglia d’oro al valore militare. Nonostante le quattro giornate di Napoli rappresentino un valore che dovrebbe essere unificante, molti sono i tentativi di diversi colori politici di revisionismi o creazione di feticci, da usare strumentalmente.

In seguito all’armistizio del 3 settembre 1943, poi reso noto l’8, i nazisti agli ordini del comandante Scholl occupanoNapoli imponendo lo stato d’assedio, ordinando il coprifuoco e la consegna immediata delle armi. Mentre i soldati italiani scappanoo vengono uccisi dai tedeschi, il 12 settembre un marinaio viene giustiziato sulle scalinate della Federico II, che viene poi data alle fiamme, quasi in segno dispregiativo, insieme alla Biblioteca regia. In aggiunta, Scholl ordina l’evacuazione di tutta la fascia costiera provocando 200.000 sfollati, da collocare in una città già dilaniata dai bombardamenti alleati. Nel comunicato di Scholl è presente anche l’obbligo a tutti gli uomini abili (i nati tra il 1910 e il 1925) di presentarsi per il lavoro obbligatorio nei campi di detenzione. Inizia la prima ondata di violenza tedesca dopo l’armistizio il cui fine consisteva nel “punire” gli italiani ed eliminando il territorio. I tedeschi, consci del fatto che devono abbandonare la città a breve dato che gli alleati sono sbarcati a Salerno il 9 settembre, incominciano a distruggere sistematicamente le fabbriche, le infrastrutture portuali e continuano a ridurre in macerie la città. Tutta la cittadinanza nasconde i propri uomini dalle milizie naziste e quando iniziano i rastrellamenti casa per casa la popolazione insorge.

Nella sera del 27 settembre i cittadini assaltano le armerie di Castel Sant’Elmo e il giorno dopo i combattimenti si estendono anche sulle colline di Capo di Monte, a Mater Dei e al Museo Nazionale. Intanto al liceo San Lazzaro si costituisce il Fronte Unico Rivoluzionario, che avrà il compito di coordinare politicamente e militarmente la rivolta in città, la cui guida viene affidata ad Antonino Tarsia in Curia, ex politico comunista ora nominato colonnello.

Il 29 settembre i partigiani uccidono due militari della Wehrmacht a Ponticelli, provocando l’esecuzione di 30 civili e assaltano al Vomero lo Stadio del Littorio (anche con l’aiuto di ex militari italiani), dove i nazisti sono asserragliati con degli ostaggi, costringendoli alla resa. Per la prima volta la Wehrmacht è costretta a negoziare in posizione di sconfitta con membri della società civile.

Il giorno seguente, le truppe di Scholl lasciano Napoli, per quella che rappresenta la prima vittoria della resistenza italiana, in cui i napoletani evitarono anche la deportazione nei campi di sterminio, mentre il primo ottobre gli alleati entrano in una Napoli devastata, senza generi alimentari, acqua, abitazioni o servizi.

Risulta curioso riflettere su come Napoli, una città medaglia d’oro per la resistenza sarebbe diventata poi, durante il referendum del 1946, città simbolo del voto monarchico, mostrando così come anche il periodo dopo la liberazione dai nazisti, sotto occupazione americana, non fosse stato meno disastroso e difficile, all’insegna della fame e della povertà in una città distrutta.

La partecipazione alle giornate di Napoli rappresenta sicuramente la parte più curiosa, perché ne presero parte donne, uomini, anziani e ragazzi. Troviamo sicuramente insolita (oltre a quella femminile, largamente documentata)la partecipazione degli “Scugnizzi”, ovvero i ragazzi minori di 20 anni che presero parte alle rivolte e a cui già nel novembre 1943 la rivista “Life” dedicò un reportage firmato da Robert Capa.

Ancora più impensabile, ma anche indicativo di quanto Napoli fosse sempre stata una città laboratorio di esperienze civili e di convivenza, può sembrare l’apporto dato alla rivolta dai femminielli, giovani transessuali che abitavano nei pressi del Rione San Giovanni, che si batterono per cancellare il pregiudizio della cittadinanza, proprio grazie alla coesione e alla unione sociale che la resistenza crea.


LETTURE E APPROFONDIMENTI:


  • ”Seconda Guerra Mondiale nel Mezzogiorno”, G.Cerchia

  • ”Le quattro giornate di Napoli”, Nanni Loy (film).