L'attentato a Togliatti

PAOLO CASTELLI

L’ATTENTATO A TOGLIATTI

“Io mi misi in testa un'idea molto precisa: se Togliatti fosse morto, l'Italia si sarebbe salvata. Pensavo che quello fosse l'unico modo di evitare l'invasione dei sovietici, dovevo farlo e l'ho fatto. Ma da quel giorno non mi sono mai più occupato di politica.”

Antonio Pallante

Il clima dell’assemblea Costituente, che aveva portato alla formazione di un governo di unità nazionale con il sostegno contemporaneo di tutti i principali partiti italiani, era finito nel 1947. In quell’anno infatti, l’allora presidente del consiglio De Gasperi si era recato in America per incontrare il presidente americano Truman, ottenendo i primi aiuti economici per la ricostruzione del paese. Il famosissimo Piano Marshall divenne un argomento di divisione nella politica interna, in particolar modo nella dialettica fra PCI e DC. Nel maggio del 1947 venne poi formato un nuovo governo, privo del sostegno sia dei comunisti che dei socialisti. Il 22 dicembre dello stesso anno terminarono i lavori dell’Assemblea Costituente e vennero indette nuove elezioni politiche per il 18 aprile dell’anno successivo. Queste elezioni segnarono l’inizio di una guerra fredda interna al nostro paese; da una parte la DC dall’altra il Fronte Popolare, composto da PCI e PSI. Le elezioni si conclusero con la netta affermazione della Democrazia Cristiana.

La situazione rimase però estremamente calda, fino ad arrivare a un attentato ai danni dell’allora segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti. Infatti, il 14 luglio del 1948 alle ore 11.45 il cittadino siciliano Antonio Pallante ferì gravemente Togliatti con tre colpi di pistola all'uscita del Parlamento in via della Missione. Pallante era un ragazzo siciliano di 24 anni, studente universitario, nazionalista e anche attivista per l’Uomo Qualunque, partito fondato dal commediografo e giornalista italiano Guglielmo Giannini.

Togliatti venne immediatamente portato all’ospedale Policlinico di Roma, in condizioni estremamente gravi. La Cgil decise di proclamare immediatamente uno sciopero generale e tutti i simpatizzanti e i militanti del PCI scesero in piazza sull’onda dell’emozione. In quasi tutte le città d’Italia il clima divenne rovente, anche se da subito il PCI diede l’indicazione di non colpire i simboli strategici e di non rendere lo sciopero un tentativo di rivoluzione. Il ministro dell’Interno Scelba propose di dichiarare “lo stato di pericolo nazionale”, che prevedeva la possibilità di passare il potere alle autorità militari.

De Gasperi non accolse positivamente la proposta di Scelba, rassicurato dal leader della CGIL Di Vittorio. La linea del PCI di mantenere una certa razionalità riuscì a convincere anche gli animi più scatenati. Nei giorni successivi la situazione tornò lentamente alla calma e il 19 luglio Togliatti, uscito dal pericolo di vita anche se molto provato, lanciò un appello dalla stanza in cui era stato ricoverato presso il Policlinico. “Le mie forze non sono ancora molto grandi, però sono fuori pericolo e assicuro tutti i compagni che a suo tempo saprò essere di nuovo al mio posto di lavoro”. Anche nei giorni precedenti, in condizioni ben peggiori, Togliatti si era totalmente allineato alla prudenza dettata dai vertici del suo partito.

Il rischio della guerra civile venne quindi scongiurato, anche se le reazioni all’attentato dimostrarono tutta la fragilità della nuova repubblica italiana. Circa 30 morti, 800 feriti e 7000 arresti furono il bilancio di quei giorni. Parallelamente Pallante confessò tutte le sue colpe, assicurando però di essere oltre che unico esecutore, anche unico mandante dell’attentato, convinto che l’Unione Sovietica stesse per invadere l’Italia. Venne scarcerato nel 1953.