L'amnistia Togliatti

GABRIELE PATO

L’AMNISTIA TOGLIATTI

A poco più di un anno dalla fine della guerra, il 22 giugno 1946, entrò in vigore il Decreto presidenziale n. 4, meglio conosciuto come amnistia Togliatti: un provvedimento di condono delle pene per reati comuni e politici. Il Decreto poneva l’amnistia per i reati con pene fino ai 5 anni (tra i quali rientravano, ad esempio, il concorso in omicidio e il collaborazionismo con il nemico) ed i reati commessi dall’8 settembre 1943 fino al 18 giugno 1946 compreso.

Secondo le stime di Franzinelli (autore de L’amnistia di Togliatti) vennero liberati circa 10000 uomini tra militanti fascisti e collaboratori. Tra questi si trovavano esponenti di spicco del PNF e gerarchi quali Renato Ricci e Junio Valerio Borghese - il quale l’8 dicembre 1970 si rese protagonista del famigerato tentativo di golpe - ma soprattutto gran parte dei funzionari amministrativi e militari, agenti segreti e non, informatori e giudici.

Da parte della base del Partito Comunista Italiano e delle associazioni partigiane vi furono reazioni di ferma condanna, che nell’area del cuneese si trasformarono in aperta ostilità verso lo Stato: a Santo Stefano Belbo un gruppo di ex partigiani si arroccò armato presso la frazione di Santa Libera protestando contro l’amnistia, mentre a Casale Monferrato Carabinieri, Polizia e 12 carri armati bastarono a malapena per calmare la folla dopo la liberazione di sei fascisti condannati a morte.

La decisione di Togliatti provocò un definitivo scollamento tra molti partigiani comunisti ed l'intellighenzia del PCI, nonostante il responsabile del decreto fu - a quanto risulta - esclusivamente del Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, il quale scrisse gran parte del testo di suo pugno.

La decisione, invocata in nome della pacificazione nazionale dopo gli anni di guerra civile, fu approvata all’unanimità dal governo De Gasperi e diede un importante slancio all’entrata del PCI nella politica parlamentare del dopoguerra.