di Lorenzo Bonaguro

La Strage di Piazza Fontana


Alle 16:37 del 12 dicembre 1969, una bomba al tritolo deflagrò nella hall della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana nel centro di Milano. La triste conta delle vittime fu di 17 morti e 87 feriti. Lo stesso giorno, altre bombe esplosero a Roma, ma senza fare morti. La reazione immediata della questura milanese fu di arrestare vari esponenti dei gruppi politici extraparlamentari ed impedire lo scoppio di violenze di piazza. Particolare attenzione fu data ai gruppi anarchici e di estrema sinistra: figure di spicco prese in custodia da questi ambienti furono Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda.


Pinelli è uno dei nomi più noti di questa vicenda a causa delle circostanze della sua morte avvenuta tre giorni dopo la strage e durante un interrogatorio in questura. L’evento esasperò i rapporti fra gli anarchici e la polizia milanese. Le tensioni culminarono con l’assassinio del commissario Calabresi - che stava interrogando Pinelli in quei giorni - da parte di esponenti di Lotta Continua. Tutt’oggi la morte/omicidio Pinelli è uno dei più grandi misteri del periodo. Valpreda invece fu arrestato il 16 dicembre, indicato da un testimone oculare come il possibile esecutore. Subito si scatenò un linciaggio mediatico bipartisan nei suoi confronti: «il mostro di Piazza Fontana» (l’Unità), «una belva oscena e ripugnante» (Secolo d’Italia) e anche negli ambienti anarchici in pochi lo difesero a causa delle sue posizioni ambigue. Il processo che ne seguì durò fino al ’79 e si concluse con l’assoluzione dell’imputato.

Gli apparati investigativi dello Stato si buttarono quindi immediatamente sulla pista dell’estrema sinistra, non trovando nulla di serio fra nei circoli milanesi. Diversa strada fecero i giudici: questi incriminarono i neofascisti appartenenti a gruppi del nord Italia, come Franco Freda e Giovanni Ventura, trovando delle prove molto più solide: fu una frase di troppo di Ventura nel reclutare un suo amico a portarlo all’attenzione dei giudici. I due verranno assolti, ma alcuni sviluppi negli anni seguenti convinsero la magistratura del loro coinvolgimento nella strage di Piazza Fontana. Fra i carteggi di Ventura furono rinvenuti dei documenti che chiamavano in causa il giornalista Guido Giannettini, scoperto dopo mesi di indagine essere un membro del Servizio Informazioni Difesa (SID) e soprannominato “Agente Zeta”. Incalzato dai giudici fuggì all’estero, ma non venne ma definitivamente condannato. Interpellato più volte dai giudici, il SID dichiarerà sempre che le notizie richieste non erano divulgabili perché segreto militare.

Tutte le indagini di questi cinquanta anni non hanno portato quasi a nulla. Una certezza è il depistaggio attuato per anni dai servizi segreti, l’altra è sul coinvolgimento del gruppo veneto neofascista di Ordine Nuovo cui appartenevano Freda e Ventura, una verità storica senza alcuna pena sentenziata.


LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

Benedetta Tobagi, Piazza Fontana : il processo impossibile, Torino Einaudi, 2019

Enrico Deaglio “La bomba : cinquant'anni di Piazza Fontana” Milano Feltrinelli, 2019

L’Espresso, “Strage piazza Fontana: 50 anni tra depistaggi, innocenti puniti e terroristi fascisti liberi”, 10 dicembre 2019