STORIE DELLA REPUBBLICAdi Lorenzo Balma

LA RIFONDAZIONE DEL SISTEMA DEI PARTITI

"È perciò un autentico cambiamento di regime, che fa morire dopo settant'anni quel modello di partito-Stato, che fu introdotto in Italia dal fascismo e che la Repubblica aveva finito per ereditare, limitandosi a trasformare un singolare in plurale"

(Giuliano Amato alla Camera il 21 aprile 1993)

Il referendum del 1993, a cui partecipò il 77% degli aventi diritto al voto, vide gli italiani favorevoli al mutamento delle regole elettorali e all'abbandono del finanziamento pubblico ai partiti.

Lo spirito "riformatore" iniziato con De Gasperi e che accompagnò tutta la prima Repubblica, aveva trasformato l'Italia da paese arretrato culturalmente, socialmente ed economicamente in un paese al passo con le principali società industriali.

Questo stesso spirito, che accompagnò la "stagione dei diritti”, come la definì Aldo Moro, non contagiò invece i partiti di massa che avevano mantenuto, seppur all'interno di un sistema democratico, tratti totalizzanti che hanno reso incompiuto il processo di evoluzione della forma Stato nell'epoca della democrazia di massa.

La suddetta democrazia di massa obbligava i partiti ad assumere la fisionomia di "partiti pigliatutto" e aumentava l'impossibilità di ambire a rappresentare la totalità.

All'indomani di "Mani Pulite" conservare se stessi significava corruzione, non tanto nella misura del sistema di tangenti scoperchiato dai magistrati, ma perpetuare un sistema politico che i cittadini avevano individuato come causa del disfacimento della via italiana alla democrazia. Era dunque normale chiedersi come avrebbero fatti i vecchi partiti, che non erano riusciti a riformarsi, ad accompagnare il paese verso le sfide del nuovo mondo globalizzato.

Il referendum costrinse Amato a dimettersi e Scalfaro a nominare Carlo Azeglio Ciampi a capo di un nuovo esecutivo. La nomina di Ciampi fu una soluzione di continuità, non perchè non fosse un politico di professione (in quanto capo della Banco d'Italia faceva parte della classe dirigente), ma perchè la sua formazione politica nel Partito d'Azione non coincideva con nessun partito storico di massa.

Come Ferruccio Parri dovette guidare la nascita e la costruzione delle fondamenta della "casa comune" democratica che si reggeva sui partiti, così Ciampi aveva il compito di guidarne il delicato sviluppo durante il declino di quest'ultimi.

Lo spirito dell'azionismo tornava per costruire un nuovo modello di rappresentanza politica su un terreno condiviso, come di condivisione era anche il piano di Ciampi per inaugurare una nuova pedagogia civile che rinsaldasse il sentimento dei cittadini verso le istituzioni.

Le nuove leggi elettorali segnarono l'abbandono del proporzionale in favore di un sistema misto, la c.d. Legge Mattarella. Anche in questo senso si sostanziava il cambio di paradigma nella politica italiana, nonostante il proporzionale sarebbe poi ritornato anni dopo, facendo derivare una fossilizzazione dei partiti.

Nel nuovo scenario geopolitico di integrazione europea e disgregazione del blocco sovietico, sia la destra sia la sinistra cercavano un nuovo spazio di manovra e nuove risposte da dare al proprio elettorato. Se la sinistra si trovava in una sostanziale crisi di identità, senza riferimenti interni ed esterni e con una nuova figura da costruire per far convivere le anime massimaliste e riformiste, il progetto di costruzione per una nuova destra fu guidato da Silvio Berlusconi, imprenditore formatosi nel clima culturale del miracolo economico e detentore del monopolio televisivo commerciale e privato. Alla disgregazione del partito di massa, egli rispose con la novità del partito personale in cui il partito scompariva a vantaggio della leadership, fondata sul carisma e sull'immagine positiva del leader, figura insostituibile e cardine del partito.

La particolarità unica del partito personale di Berlusconi era che i componenti del partito fossero personaggi di rilievo pubblico che lavoravano nelle sue televisioni e imprese. Si poteva dire, in un certo senso, che il partito di Berlusconi era la televisione stessa, che orientava l'opinione pubblica, producendo nuove élites che rappresentavano la bontà del loro capo. Berlusconi riuscì a costruire, tramite il partito-televisione, la nuova "casa degli italiani", creando nelle tribune politiche e negli altri programmi trasmessi nelle sue reti, un desacralizzato senso di appartenenza e di condivisione di idee, finendo per tirarsi dietro anche i vecchi soggetti politici di destra che salirono sul carro del vincitore.

In buona sostanza, le posizioni che assunsero i berlusconiani furono liberali, liberiste e apertamente anticomuniste: una volta sconfitto lo statalismo, infatti, si sarebbe presentato un nuovo miracolo economico.

La maggiore abilità politica di Berlusconi però fu sicuramente far convergere verso di sé il polo dei cattolici di destra, oltre che la componente più giovane della Democrazia Cristiana (come Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella), i resti del Partito Popolare del comitato Comunione e liberazione (di Buttiglione e Formigoni) e i resti del partito liberale, tra cui anche i radicali di Marco Pannella ed Emma Bonino.

Più a destra, invece, il Msi decise di superare l'eredità della dittatura fascista con il congresso di Fiuggi e accettare il progetto di Gianfranco Fini di attuare una "rivoluzione conservatrice", trasformandosi in Alleanza Nazionale, sempre con la fiamma tricolore.

Differente fu invece il caso della Lega Nord, che presetava come idea cardine la proposta di un federalismo, che meglio si addiceva alla fisionomia del paese. Si presentò come un partito non partito, né di destra né di sinistra, ma con un animo anitifascista (premiando il federalismo a scapito dell'idea nazionale, che tornerà sotto la segreteria Salvini) cercato di dimostrare durante la sfilata della manifestazione del giorno della Liberazione nel 1994.

La Lega Nord dava una nuova identità politica, perlomeno al nord Italia, di fronte allo spaesamento derivante dalle rapidissime trasformazioni che mettevano in discussione i paradigmi culturali consolidati. Dava anche voce ai nazionalismi localistici, baluardi della custodia delle tradizioni contro la globalizzazione omologante.

A sinistra, fu invece affidato il progetto della costituzione di un soggetto politico a Romano Prodi, docente d'economia, presidente dell'Iri e ministro dell'Industria durante la solidarietà nazionale.

L'Ulivo era il profilo dell'unità di forza divise e coltivanti la propria specificità, che doveva far coesistere Pds (poi Democratici di sinistra con D'Alema), Rifondazione comunista, Verdi e Socialisti.

Se la parola d'ordine a destra nel fronte popolare fu l'unità attorno a Berlusconi, i progressisti a sinistra furono la rappresentazione anticipata della sconfitta, con continui lavori per dare appeal elettorale al nuovo soggetto. Il voto di sfiducia nell'ottobre 1998 del governo Prodi rivelò difficoltà strutturali nella convivenza delle forze politiche all'interno di un progetto di sinistra.

Con l'abbandono di Prodi, sembrò che anche a sinistra si affacciasse l'ombra dei partiti personali, come l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro.

Solo il partito personale (principale tipo di partito che vediamo oggi), il cui proposito era onorare l'impegno politico del passato, seppe rispondere con straordinaria capacità alla dissoluzione dei partiti di massa "tradizionali" grazie all'utilizzo dei "nuovi mezzi della democrazia". Il vero limite di questo modus operandi della politica però fu presto rivelato, mostrando che l'attaccamento al passato fosse solo retorica, per catapultare la politica in un’altra dimensione, comunque impotente nel rispondere ai dilemmi del presente.

LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

- Paolo Soddu, "La via italiana alla democrazia", Editori Laterza;