di Lorenzo Balma

LA MARCIA DEI QUARANTAMILA


“L’azienda era in perdita e bisognava ridurre, ma il problema era il governo delle fabbriche. Noi avevamo in mente chiaramente il numero di operai e dipendenti da allontanare dalla fabbrica”

Cesare Romiti, amm.del. Fiat


La FIAT alla fine degli anni ‘70 aveva intrapreso il percorso di trasformazione che l’avrebbe portata dal modello di fabbrica fordista a quello automatizzato, grazie all’introduzione delle conoscenze informatiche. A causa di queste trasformazioni nella gestione delle fabbriche, l’azienda preannunciò nel settembre del 1980, la cassa integrazione a zero ore per 24 mila lavoratori. La linea antisindacale di Cesare Romiti (lasciato solo in carica dopo che Umberto Agnelli si fece da parte), era già stata mostrata un anno prima con il licenziamento di 61 operai sospettati - senza troppe prove - di collusione con il terrorismo rosso. Dopo una settimana di trattative infatti, si annunciarono più di 14 mila licenziamenti, che Romiti giustificò come sola possibilità per evitare il fallimento aziendale.

Iniziò il 10 settembre la lunga vertenza in cui gli operai incominciarono, dopo aver indetto lo sciopero, a bloccare con presidi e picchetti i cancelli della FIAT. Il 26 settembre durante un comizio a Torino, Enrico Berlinguer si pronunciò solidale e favorevole a nome di tutto il Pci ad una eventuale occupazione della fabbrica e la promessa di costringere il governo a prendere una posizione, lasciando dedurre un appoggio politico del partito alla lotta. Il 27 settembre il governo Cossiga cadde per la bocciatura da parte delle Camere della manovra finanziaria e, dato che mancò l’interlocutore istituzionale, si fermarono le procedure per la messa in cassa integrazione a zero ore, che vennero però consegnate il 30 settembre a quasi 23 mila operai. Si contestò inoltre il fatto che furono colpiti in massa i delegati dei consigli di fabbrica e più volte fu minacciato lo sciopero generale di tutti gli stabilimenti, mentre a Torino i picchetti e i presidi dei lavoratori e continuavano senza tregua con l’appoggio dei sindacati, che intanto portavano avanti le trattative senza scendere a patti.

Al 35º giorno di mobilitazione (per questo venne chiamata come “lotta dei 35 giorni”) si tenne presso il Teatro Nuovo un’assemblea dei quadri e degli impiegati FIAT i cosiddetti “colletti bianchi”, che culminò in una manifestazione per le strade di Torino, a cui si unì la partecipazione spontanea della gente. Gli striscioni, divenuti celebri, che portavano i quadri recitavano: “Vogliamo la trattativa non la morte della FIAT” e “Il lavoro si difende lavorando”. Passò alla storia come “marcia dei quarantamila” nonostante la questura ne dichiarò 12.000, cifre a cui si accodarono i comunisti e i giornali del partito per screditare la portata (innegabilmete di rilievo) della manifestazione. Fu il segretario CGIL che parlò di 40mila contromanifestanti, numero che invece chiaramente i vertici della FIAT non smentirono, ma anzi lo usarono a loro vantaggio anche mediaticamente (Luigi Arisio, organizzatore dell’assemblea dei quadri dubitò che fosse l’esatto numero dei partecipanti).

L’effetto della manifestazione fu fondamentale per le trattative dato che tre giorni dopo venne trovato un compromesso: vennero ritirati i licenziamenti, ma non la cassa integrazione a zero. Una durissima sconfitta per il sindacato, la cui modalità di lotta da allora fu solo difensiva, facendo cambiare progressivamente il proprio ruolo e la propria efficacia. Questo evento rappresentò una cesura fondamentale tra la vecchia e la attuale azione del sindacato, oltre che un nuovo modo di regolamentare dei rapporti tra sindacato, politica e imprenditoria.

Fu probabilmente la poca lungimiranza, il poco coraggio e cattive scelte strategiche dei vertici del sindacato e della sinistra che fecero fallire il lavoro di 35 giornate di lotta. La classe operaia come soggetto e la sua rappresentanza sindacale iniziò a perdere da quel momento rilevanza politica.

Paradossalmente, poca lungimiranza l’ebbero anche i quadri intermedi che marciarono il 14 ottobre 1980, anch’essi poi di lì a poco soggetti a selvaggi licenziamenti anche loro vittime dello stesso male degli operai contro i quali avevano manifestato, l’innovazione tecnologica che permetteva di produrre con meno manodopera.


LETTURE E APPROFONDIMENTI:


  • Michele Costa, Grave misura Fiat: cassa integrazione per 78 mila, in l’Unità, 9 maggio 1980, p.1;


  • Bruno Ugolini, Cassa integrazione per 22 mila operai della FIAT, in l’Unità, 6 settembre 1980, p.1;


  • La FIAT sceglie la linea dura, in l’Unità, 11 settembre 1980, p.1;


  • Partono 14 mila licenziamenti, in l’Unità, 12 settembre 1980, p.1;


  • Partono 14 mila licenziamenti, in l’Unità, 12 settembre 1980, p.1;


  • Sospesi i licenziamenti Fiat. È un primo grande successo, in l’Unità, 28 settembre 1980 p.1;


  • Marcello Villari, Fiat: ore decisive. Stretta per le trattative (PDF), in l’Unità, 15 ottobre 1980, p.1;


  • Marcello Villari, Fiat: firmato l’accordo al ministero del Lavoro fra sindacati e azienda , in l’Unità, p.1;


  • Michele Costa, «Io, l’inutile colletto bianco» , in l’Unità, 3 febbraio 1994, p. 19