di Giovanni Ronzo


L’ACHILLE LAURO

la crociera del terrore

Lunedì 7 ottobre del 1985

A bordo della nave da crociera italiana “Achille Lauro” sembra una tranquilla mattinata di vacanza per gli oltre 700 passeggeri.

La nave si trova al largo delle coste egiziane e gli ospiti a bordo non attendono altro che sbarcare per una visita guidata a il Cairo come da programma per quella giornata. Dopo l’Egitto, la prossima meta è Israele, porto di Ashdod, ma la nave, Israele, non lo vedrà mai.

La tranquillità a bordo viene bruscamente interrotta quando, nella stanza del capitano, il comandante in seconda irrompe frettolosamente informandolo che 4 terroristi hanno iniziato a seminare il panico a bordo.

Nemmeno il tempo di entrare nella plancia che il comandante del transatlantico, Gerardo De Rosa, si trova un fucile puntato alla gola.

Ha inizio la vicenda che porterà le relazioni fra Italia e Stati Uniti sull’orlo di una grave crisi diplomatica e militare, ha inizio “L’Affaire Sigonella” come scrivono i tabloid americani.


5 ottobre 1985.

I quattro attentatori (Bassām al-ʿAskar, Aḥmad Maʿrūf al-Asadī, Yūsuf Mājid al-Mulqī e ʿAbd al-Laṭīf Ibrāhīm Faṭir) di cui uno minorenne, erano riusciti ad imbarcarsi a Genova esibendo dei passaporti falsi (di nazionalità ungherese e greca). Nell’attentato, si identificano come appartenenti all’ “organizzazione per la liberazione della Palestina” (OLP), organizzazione paramilitare palestinese di stampo politico, nata a metà degli anni 60’ a Gerusalemme. Essa unisce a se organizzazioni molto diverse tra loro che però sono accomunate da un solo obiettivo: la distruzione dello stato di Israele e la liberazione della Palestina. Dal 1969 il referente dell’organizzazione è Yasser Arafat. Sotto la sua guida, l’OLP cerca di allargare la platea di sostenitori della loro causa, rivolgendosi alle Nazioni Unite e agli stati occidentali. Dal 1970 però l’OLP comincia ad assumere una posizione più moderata nei confronti di Israele, diventando meno incline alla guerra. Ciononostante, nel 1985 Stati Uniti e Israele ancora la considerano una organizzazione votata al terrorismo.

L’obiettivo degli attentatori sull’Achille Lauro inizialmente non è il dirottamento della nave. I quattro infatti, carichi di esplosivo, vogliono scendere al porto israeliano di Ashdod, uccidere lì più soldati israeliani possibile con un attacco dinamitardo e far liberare 52 palestinesi detenuti nelle carceri di Gerusalemme. Ma mentre stanno sistemando le armi vengono scoperti per puro caso dai membri dell’equipaggio intorno alle 13:07 e, sentendo che il loro piano era ormai fallito, iniziano a fare fuoco all’interno della nave. Costringono quindi i passeggeri a riunirsi nella grande ed elegante sala da pranzo e durante il trasferimento un membro dell’equipaggio viene ferito da un colpo di Kalashnikov.

Quello che ricordo era un misto di passeggeri. Alcuni erano vestiti, altri erano ancora bagnati e con il costume da bagno perché erano stati trascinati con violenza dalla piscina mentre sotto un lenzuolo bianco coperto di sangue c’era uno dei nostri ferito gravemente” - Rosaria Nuzzo, ufficiale di bordo.

In meno di un’ora l’intera nave, 24.000 kg di stazza per 200 metri di lunghezza è nelle mani di 4 uomini.

Alle 15:05, il marconista di bordo riesce a lanciare il primo mayday che viene captato dalla sorveglianza radio di Stoccolma. Queste le esatte parole : “MAYDAY, MAYDAY, MAYDAY. Qui Achille Lauro. Siamo stati dirottati da un numero imprecisato di Palestinesi. Chiedono la liberazione di 50 loro compagni in prigione in Israele”.

In caso di mancato accoglimento della loro richiesta la minaccia dei terroristi è ben chiara: l’intera nave salterà in aria.

Intanto, alla Farnesina, viene diramato immediatamente lo stato di massima allerta e a dover risolvere la brutta situazione sono l’allora ministro degli esteri Giulio Andreotti e Giovanni Spadolini ministro della difesa.


“OPERAZIONE MARGHERITA”

Si pensa inizialmente ad una operazione di forza per liberare la nave dalla morsa dei terroristi.

Gli americani, con il loro ambasciatore a Roma, in un colloquio a palazzo Chigi con Bettino Craxi si offrono di pianificare l’operazione di rilascio degli ostaggi con un intervento dei loro “Navy Seals”. Craxi, anche per una questione di orgoglio, voleva che all’operazione partecipassero e dirigessero gli incursori del COMSUBIN. Dopo un vertice al Ministero della difesa con i massimi esponenti militari, ed una volta ottenute le autorizzazioni per le operazioni militari da Gran Bretagna e USA, parte ufficialmente l’operazione Margherita. Una operazione militare colossale che prevedeva la mobilitazione di 4 elicotteri da trasporto con 60 paracadutisti incursori del 9° battaglione “Col Moschin”, per individuare la posizione esatta della nave e liberarla mediante uno sbarco a bordo del contingente militare.


8 OTTOBRE 1985

A palazzo Chigi intanto, Craxi, Andreotti e Spadolini si danno appuntamento per un vertice notturno di emergenza. L’approccio alla risoluzione della crisi prevede due possibili alternative: da un lato, una linea “più morbida”, di massima estensione accolta da Andreotti che prevede di aprire i primi canali diplomatici per mediare con i terroristi in modo da evitare spargimenti di sangue tra i civili; dall’altra la linea “di ferro” aperta dal ministro Spadolini e che coinvolge tutti i vertici delle forze armate e del SISMI per creare un piano di liberazione della nave con un intervento militare. Quest’ultima, però, si presenta da subito difficile e rischiosa; si calcola che almeno 25 civili possano perire nell’azione, ma gli incursori del raggruppamento “Teseo Tesei” vengono comunque inviati a bordo dell incrociatore “Vittorio Veneto” mentre i ricognitori dell’aereonautica militare partono dalla Sicilia per individuare l’esatta posizione nel mediterraneo dell’Achille Lauro.

Nelle prime ore dell’8 Ottobre, Yasser Arafat telefona personalmente ad Andreotti. Nel dialogo, Arafat chiarisce fermamente che i 4 attentatori sono estranei alla sua organizzazione e informa che due suoi collaboratori sono stati inviati immediatamente a Il Cairo in qualità di mediatori per affiancare le autorità egiziane alla trattativa. I due inviati sono Hani El Hassan (uomo fidato di Arafat) e Abul Abbas, fondatore del FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, l’ala più moderata della OLP),

“Quello che non tutti sanno è che furono proprio gli americani a consigliare di interpellare Arafat, risolvere l’intera situazione tramite la stessa OLP. Egli si rese particolarmente disponibile ad aiutarci e propose Abul Abbas”- Giulio Andreotti, ministro degli esteri del governo Craxi.

Nel frattempo i ricognitori della aereonautica militare individuano l’Achille Lauro in rotta verso la Siria dove i dirottatori poco dopo prenderanno contatto con le autorità portuali di Tartus.

“UN MORTO OGNI 3 MINUTI”

Presi i contatti con le autorità portuali siriane i terroristi avanzano le prime richieste: vogliono un negoziato con gli ambasciatori di Italia, Regno Unito e Stati Uniti per la liberazione di 50 palestinesi detenuti a Gerusalemme, che il negoziato venga mediato dalla Croce Rossa Internazionale ed il permesso di attraccare a Tartus. Permesso che Damasco acconsenta, a condizione che i paesi coinvolti accetteranno di trattare.

Intanto alle ore 13:30 a palazzo Chigi si reca l’ambasciatore americano Maxwell Rabb che chiarisce immediatamente qual è la posizione di Washington riguardo le richieste avanzate: “Gli Stati Uniti non trattano con i terroristi”.

A questo punto, le nazioni coinvolte si rifiutano di trattare, il permesso di attraccare viene negato e a bordo inizia il teatro dell’orrore.

I terroristi alla radio minacciano ripetutamente di uccidere tutti i passeggeri allo scadere di ogni 3 minuti se le loro richieste non verranno accolte, iniziando dai cittadini americani e a seguire con gli inglesi e gli italiani.

“Ricevuta la notizia, i terroristi hanno iniziato a raccogliere tutti i nostri passaporti per cercare di distinguere le nostre nazionalità. Avevamo le ballerine che erano inglesi, l’equipaggio che era italiano e poi alcuni passeggeri americani. Selezionavano chi erano i primi a dover morire e fra tutti scelsero il più indifeso, Leon Klinghoffer”. -Aldo Accardi, commissario di bordo.

Il sessantanovenne Leon Klinghoffer, è la prima ed unica vittima della furia omicida dei terroristi. Americano ed ebreo, costretto a vivere su una sedia a rotelle a seguito di un ictus, viene ucciso a bruciapelo con due colpi al petto di Kalashnikov ed uno alla fronte, ed il suo corpo gettato in mare. Il suo cadavere verrà ritrovato 6 giorni dopo, il 14 ottobre, dalle autorità siriane e riportato in patria da un aereo Alitalia 737 partito da Roma. Si scoprirà della sua morte soltanto quando i terroristi abbandoneranno la nave a Porto Said.

In seguito, i sequestratori non proseguiranno nell’attuare la loro minaccia, se non simulandola con diversi spari che terrorizzano l’equipaggio e passeggeri.

Dalle intercettazioni del Mossad, si scoprirà che, tramite radio, un certo “Abu Aled” che i terroristi chiamano “comandante” gli abbia intimato di fermarsi e di non fare più vittime.


Mercoledì 9 ottobre ore 09:00

La Achille Lauro pertanto si allontana dalla costa siriana e si dirige a Porto Said in Egitto come da richiesta del mediatore Abu Abbas il quale, con l’autorizzazione del governo italiano, propone ai 4 terroristi in cambio della loro resa una via di fuga diplomatica verso la Tunisia.

Questa soluzione viene appoggiata dall’OLP e gestita dal governo italiano.

Gli Stati Uniti si dichiarano assolutamente contrari, l’Italia accetta invece, ma soltanto ad una condizione: che a bordo non siano stati commessi reati perseguibili secondo il codice penale italiano. Il comandante della nave, sotto la minaccia delle armi dei terroristi, conferma alla radio, mentendo, che tutti i passeggeri sono incolumi.

Pertanto, nonostante l’opposizione americana, il salvacondotto diplomatico viene firmato dall’ambasciatore italiano in Egitto Giovanni Migliuolo e la nave viene liberata.

Il governo egiziano decide di effettuare immediatamente un trasferimento aereo in Tunisia, dove all’epoca ha la sede l’OLP mettendo a disposizione un Boeing 737 della EgyptAir.

Su richiesta americana, Tunisi nega il permesso ad atterrare, l’aereo allora ripiega su Atene, che anch’essa rifiuta.

Dalla Casa Bianca, mentre il Boeing della Egyptair ancora si trova in volo, Ronald Regan manda un messaggio molto chiaro ai terroristi: “ovunque voi siate, potete scappare… ma non vi potete nascondere”.

I terroristi e i mediatori devono essere arrestati e processati a Washington a tutti i costi. Dalla portaerei USS Saratoga decollano quindi quattro F-14 Tomcat per rintracciare l’aereo.

Lo rintracciano sopra Malta e lo costringono ad atterrare nella base di Sigonella in Sicilia dove ha sede una delle basi americane nel mediterraneo.

Il presidente del consiglio, Bettino Craxi, contrariato da questa intromissione di Reagan, consente l’atterraggio a Sigonella ma solo a condizione di gestirne le conseguenze autonomamente. In segreto ordina ai vertici militari che i terroristi e i mediatori siano messi sotto la protezione delle autorità italiane.

Non appena l’aereo atterra, sia i Carabinieri che i militari della VAM (Vigilanza Aeronautica Militare) in servizio presso la base, scortano l’aereo nell’area sotto la giurisdizione italiana e dove opera l’aeronautica italiana. Pochi minuti dopo l’atterraggio del Boeing, a luci spente e senza il permesso della torre di controllo, atterrano anche due C-141 americani con a bordo le forze speciali della Delta Force. Di corsa si precipitano verso l’aereo egiziano, ed intimano al colonnello Annichiarico, comandante della base, la consegna dei terroristi e di Abu Abbas. La tensione sale quando gli incursori della Delta Force, armi in pugno, circondano tutto il cordone degli uomini della VAM e i carabinieri della base disposti intorno all’aereo, ma a loro volta vengono circondati da un secondo plotone di carabinieri con le armi puntate, giunti in rinforzo dalle caserme di Catania e Siracusa.

Se la delta force, avesse tentato di entrare con la forza nell’aereo, o avesse travolto i nostri militari, di certo i nostri avrebbero fatto fuoco” - Francesco Cossiga, presidente della repubblica.

La Casa Bianca intima a Palazzo Chigi la consegna del commando e di Abu Abbas. Craxi non ci sta: “Nave italiana, il reato è commesso sul nostro territorio, appartengono alla nostra giurisdizione!”

Due ore dopo i dirottatori scendono dall’aereo e vengono presi in custodia dai carabinieri. I militari della Delta Force soltanto a questo punto abbandonano la loro posizione, quando cioè, sotto gli occhi del generale Carl Stiner hanno la conferma che i sequestratori sono effettivamente in stato di arresto. A bordo rimane però Abu Abbas, l’uomo che gli americani vogliono perché lo ritengono vero mandante del dirottamento della nave, il quale però pretende di ripartire immediatamente. Egli gode della protezione del governo egiziano, che si schiera dalla sua parte: l’Achille Lauro, infatti, non è autorizzata a partire da Porto Said finché l’aereo di Abbas non abbia lasciato Sigonella. Craxi ordina allora che l’aereo decolli alla volta di Roma, direzione aeroporto di Ciampino.

Il boeing Egyptair viene scortato da due Panavia Tornado, ma sui cieli di Roma, un f-14 americano si posiziona dietro la coda del Boeing in posizione di attacco per dirottarlo su una base americana a Cipro e il dialogo fra i piloti italiani e americani si fa sempre più acceso e colorito a questo punto.

"Brutto stronzo! - urlò prima in italiano e poi in inglese uno dei due piloti italiani - brutto stronzo che non sei altro: levati di mezzo prima di andare a sbattere... sei pericoloso per noi e per te...". L'americano, con voce dura, rispose: "Figli di puttana, maledetti figli di puttana... Quell' aereo è mio, avete capito? E' mio! E siete voi che dovete levarvi di mezzo"

È una situazione dura, gli Stati Uniti con ogni mezzo tentano di avere Abu Abbas. Sono certi che lui sia la mente dietro al dirottamento e all uccisione di un loro cittadino.

Certezza che sarà confermata più tardi quando, il 16 ottobre, la CIA renderà noti i testi completi delle intercettazioni fra i dirottatori e Abul Abbas che confermano la sua responsabilità e che indigneranno non poco l’opinione pubblica internazionale sull’Italia.

Alle 23:10 di venerdì 11 ottobre l’aereo atterra a Ciampino. Un secondo f-14 americano, dichiara lo stato di emergenza e chiede di poter atterrare a Ciampino, permesso che gli viene concesso, ma al fine di impedire il decollo del Boeing, l’aereo americano si posiziona proprio a metà della pista.

L’ammiraglio Martini, capo SISMI avverte tramite radio il pilota americano che se entro 5 minuti non si fosse spostato, sarebbe stato buttato fuori dalla pista con un bulldozer.

In soli 3 minuti, l’f-14 a pieni motori riparte e lascia la pista.

Formalmente allora gli stati uniti domandano un mandato di estradizione per Abu Abbas all’Italia con l’accusa di terrorismo internazionale.

Il 12 ottobre alle ore 13:00 alla richiesta risponde personalmente il ministro di Grazia e Giustizia Mino Martinazzoli rilevando che: “la richiesta di arresto provvisorio non contiene sostanziali elementi secondo i criteri che la legge italiana fissa per l'acquisizione delle prove e il giudizio sulla loro evidenza

Ancora una volta l’Italia dice NO agli Stati Uniti.

Il problema allora è: dove può andare Abbas senza che gli americani lo intercettino nuovamente?

Fra i vari paesi interpellati, soltanto la Jugoslavia è disposta ad accoglierlo, su consiglio di Al Aflak Hussein, ambasciatore dell’OLP a Roma. Alle 18:45 del 12 ottobre Abu Abbas, protetto dai servizi segreti italiani, viene imbarcato su un aereo civile alla volta di Belgrado.

Mesi dopo la vicenda, l’opinione pubblica americana si scagliò molto violentemente contro l’Italia

quello che non ci piacque fu che avevate i terroristi in trappola ma avete fatto il possibile per farli fuggire” rilevò Michael Ledeen, consulente di sicurezza nazionale americana in Italia.

Se gli Stati Uniti ritenevano Abu Abbas capo ed organizzatore degli esecutori materiali del sequestro dell'Achille Lauro e dell'omicidio del loro cittadino, il governo italiano invece lo riteneva invece un semplice mediatore totalmente estraneo alla faccenda.

Nove mesi dopo però, gli inquirenti italiani, ebbero conferma dei sospetti americani. Abu Abbas è l’architetto della sequestro.

La condanna pervenne soltanto il 23 maggio 1987 quando la Corte d'Assise di Genova sentenziò l’ergastolo in contumacia, confermato in Cassazione il 10 maggio 1988; inutile in quanto oramai

viveva rifugiato in Iraq dove vi rimase fino al 2003, quando venne catturato dalle forze di occupazione statunitensi e morì durante la custodia americana per circostanze naturali, nonostante la richiesta di estradizione italiana.

Nel 1996 Abu Abbas pronunciò pubbliche scuse per l'atto di terrorismo contro l'Achille Lauro. Le sue scuse, tuttavia, vennero respinte dal governo degli Stati Uniti e dalla famiglia Klinghoffer, che lo invitarono invece a presentarsi al cospetto della giustizia a rispondere dei suoi crimini.

“Avrò per sempre nella mia mente l’immagine del sangue di mio padre che aveva raggiunto la linea di galleggiamento della nave. Mai nella mia vita avrei pensato di vedere così tanta violenza contro un uomo che non poteva difendersi.” – Lisa Klinghoffer, figlia della vittima.