di Lorenzo Balma

IL PCI E L'INVASIONE DI PRAGA

«Sarebbe davvero singolare che il marxismo, sorto oltre cent’anni or sono come superamento di ogni visione utopistica del socialismo, proprio nel giudizio sulla realtà della società sovietica e socialista ricadesse in atteggiamenti utopistici»

(E.Berlinguer)

L’indomani dell’ingresso delle forze del Patto di Varsavia a Praga, si riunì l’Ufficio politico del PCI per prendere una posizione riguardo l’accaduto. Il partito si espresse definendosi sorpreso e meravigliato, alla luce degli accordi stretti a Cierna e Bratislava, stipulati in piena coerenza con lo spirito di unità e coesistenza pacifica nell’orbita socialista, della tattica di offensiva militare contro uno stato amico e socialista. Gli organi dirigenti del PCI, pur ribadendo il rapporto di amicizia con il PCUS, condannarono fermamente l’accaduto e considerarono l’azione un’aggressione ingiustificata, in quanto non si conciliava con lo spirito dell’internazionalismo proletario che in quel momento esigeva la difesa dell’unità.

Infine, il comunicato della dirigenza del Pci volse la propria attenzione alle speculazioni anticomuniste nella scena politica italiana e internazionale, su cui ogni forza comunista avrebbe dovuto vigilare, esprimendo senza riserva la propria solidarietà al partito comunista cecoslovacco.

La redazione di Rinascita, rivista settimanale del PCI, si unì alla solidarietà per Praga e alla disapprovazione per l’occupazione sovietica, ripubblicando l’ultimo scritto di Togliatti “Il promemoria di Yalta” in cui l’ex segretario analizzava le problematiche che si stagliavano davanti al movimento operaio internazionale e scrivendo parole di profondo dolore e dissenso verso Mosca.

La risposta fu quella di trovare il proprio campo di battaglia politica in Europa, nel tentativo di trovare terreno più fertile nell’avvicinamento del socialismo alla pratica della libertà democratica. Venne posta l’attenzione anche sulla pesante pressione esercitata sulle spalle dei dirigenti del partito comunista italiano, che nonostante avesse apprezzabilmente espresso la propria avversione verso la violenza sovietica, si trovava da un lato a dover onorare il legame materiale con Mosca e dall’altro a sostenere un pesante fardello morale con cui convivere.

Benché chiaramente non vi fossero responsabilità né dirette né indirette da parte dei comunisti italiani, non era possibile e non conveniva distruggere i ponti con il PCUS, con cui si continuava a ribadire la fratellanza e la condivisione degli obbiettivi politici. Inoltre, agli occhi dell’opinione pubblica italiana questo poteva essere un problema, soprattutto ricordando quando nel ‘56 in molti consegnarono la tessera del partito dopo l’invasione di Budapest. Questa era la grande sfida interna del comunismo italiano: non fare tramontare le speranze ed evitare di perdere consenso. Le ripercussioni dell’intervento militare a Praga venivano cercate sul piano internazionale, in un momento in cui si iniziava una seconda fase del dopoguerra e della guerra fredda, in cui i due blocchi andavano ridefinendosi, creando un nuovo equilibrio mondiale. Anche internamente al nostro paese però, si ebbero conseguenze a livello politico. Essendo il PCI il più forte avversario delle forze dominanti, iniziò una campagna di strumentalizzazione dell’invasione, malgrado il partito avesse preso una posizione netta.

Dopo alcuni giorni di attente valutazioni a seguito dell’uso delegittimante della Primavera da parte delle forze anticomuniste, si espressero in modo chiaro anche i leader del PCI. Luigi Longo, allora segretario del partito, ci tenne a sottolineare il poco riscontro che avevano le accuse di controrivoluzione o di una deriva di destra, che poi diventarono le giustificazioni dell’attacco a “difesa del socialismo”. Infatti, dopo vent’anni di esistenza, il socialismo cecoslovacco aveva costruito un apparato che si accorgeva e respingeva ogni tentativo eversivo delle forze di destra.

Il “nuovo corso” cecoslovacco si proponeva di consolidare il socialismo, implementando una via democratica per far fronte alle esigenze del rapporto a tre fra: partito, Stato e masse. Era evidente per Longo che non esistessero motivazioni tali da giustificare l’occupazione di un paese indipendente e sovrano, caratteristiche fondamentali per la crescita di un socialismo libero. Sul piano internazionale, oltre ad esprimere sincere preoccupazioni per l’internazionalismo che rischiava di compromettersi, considerò l’intervento contro i principi che deve avere un partito comunista, in un’ottica di squilibrio dei rapporti di forza da inquadrare in una fredda logica dei blocchi. Parlando del compromesso raggiunto dalle delegazioni moscovite e praghesi, egli espresse la ferma condanna sulle modalità in cui è stato imposto, ma rifletté anche sulle basi che esso potesse costruire per una normalizzazione che non ricadesse sul movimento operaio internazionale. Affinché funzionasse il compromesso e Praga potesse proseguire il proprio corso verso il socialismo, i rapporti avrebbero dovuto fondarsi sulla fiducia tra il PCUS e il PCC, tra Dubcek e la popolazione, e tra i membri del Partito comunista cecoslovacco, ripartendo comunque dalle basi del Programma d’azione.

Ancora una volta la parola d’ordine era: unità. Il compito del Partito comunista italiano era di sostenere le politiche del partito di Dubcek e in questo non vi era nessuna contraddizione tra la posizione assunta dal partito sui fatti di Praga e la propria collocazione internazionale. Anche Gian Carlo Pajetta denunciava la non necessità dell’intervento, preoccupato come Longo dai tentativi reazionari che avrebbero utilizzato l’invasione come pretesto per ricreare un clima di tensione, di guerra fredda e di repressione antipopolare. Pajetta osservava una profonda analogia tra l’atteggiamento dei partiti comunisti dell’Europa occidentale e quello cecoslovacco, accomunati da un oggettivo fondamento storico. La differenza più grande tra la Cecoslovacchia e il resto dei paesi del blocco era infatti la preesistenza di una democrazia borghese abbastanza avanzata, che creava una particolare situazione sociale, culturale ed economica, facendone un unicum nel suo genere. Da questa considerazione derivava la differenza più grande, secondo Pajetta, tra l’atteggiamento del Pcus e quello del Pci. La differenziazione consisteva nel punto, ritenuto fondamentale dai comunisti italiani, che le difficoltà derivanti dal passato e la necessità di adeguarsi al presente, dovessero essere superate attraverso lo sviluppo della democrazia del partito, la sua volontà rinnovatrice e la sua capacità di porsi come forza egemone tramite il rinnovamento dei suoi metodi di lavoro. L’essenzialità della partecipazione di massa dei lavoratori, dei giovani e degli intellettuali alla vita democratica del partito e del paese era l’obbiettivo a cui tendere.

Si fece sentire anche la voce di Enrico Berlinguer che invitò il fronte comunista a mantenere la linea unitaria, continuando a solidarizzare con l’intero schieramento antimperialista e le sue pratiche. Allo stesso tempo, però, invitò a riflettere sulle condizioni del socialismo, superandone qualsiasi visione mitica che ne impedisse una politica al passo coi tempi. Escludendo categoricamente l’abbandono della linea comunista a favore di una socialdemocrazia borghese e attaccando coloro che avrebbero voluto collocare i comunisti in un corso politico altro (nella stessa operazione anticomunista utilizzata per gli eventi accaduti il 21 agosto), non poté fare a meno di ribadire i principi di vita democratica fondamentali garantiti dalla Costituzione italiana, necessari per il successo del progetto.

Le differenze tra comunismo italiano e sovietico, che c’erano sempre state, causa la diversissima impronta culturale, iniziavano a diventare spiccate. La vocazione internazionalista era messa a dura prova dalla divisione del mondo in blocchi contrapposti la cui natura, nel 1968, stava inesorabilmente cambiando.


LETTURE ED APPROFONDIMENTI:

- Praga 1968. La «primavera» e la sinistra italiana, di Francesco Anghelone, Luigi Scoppola Iacopini (a cura), Mondadori

- "Il Pci e la crisi di Praga (intervista con Luigi Longo)" in « Astrolabio », 8 settembre 1968, p 6-12

- Redazione di Rinascita, "Le radici del nostro dissenso", in « Rinascita » , 23 agosto 1968, p 1

- Ufficio politico del Pci, "Il giudizio del Pci sull'occupazione in Cecoslovacchia", in « Rinascita », 23 agosto 1968, p 1.