STORIE DELLA REPUBBLICA

IL PCI E LA RIVOLUZIONE UNGHERESE

“Se non si vuole distorcere la realtà dei fatti, se non si vuole calunniare la classe operaia ungherese, occorre riconoscere con coraggio che in Ungheria non si tratta di un putsch o di un movimento organizzato dalla reazione, ma di un’ondata di collera che deriva dal disagio economico, da amore per la libertà e dal desiderio di costruire il socialismo secondo una propria via nazionale”

(Manifesto dei 101 del 29 ottobre 1956)

Il processo di destalinizzazione, avviato in seguito al XX congresso del PCUS, generò la speranza nelle democrazie popolari dell’Europa orientale di poter sviluppare forme di dissenso contro l’egemonia sovietica al fine di guadagnare maggiori spazi di libertà. I primi scontri si verificarono in Polonia e si risolsero tramite un compromesso fondato sulla nomina a capo del partito di Gomulka. Completamente differente fu, invece, l’atteggiamento assunto dall’URSS per risolvere i moti insurrezionali ungheresi che ben presto assunsero le caratteristiche di una vera e propria rivoluzione. Nel momento in cui Nagy annunciò la volontà di ricostruire i partiti di opposizione, indire libere elezioni e soprattutto fuoriuscire dal Patto di Varsavia, le truppe sovietiche invasero il Paese ponendo brutalmente fine alla rivolta.

La Rivoluzione ungherese segnò uno dei momenti più critici della storia del PCI. Infatti, in merito a tale tragico evento, il partito di Togliatti assunse una posizione intransigente in favore della repressione sovietica che provocò la spaccatura definitiva nella sinistra italiana. Secondo i dirigenti comunisti l’origine dell’insurrezione era di matrice fascista e reazionaria ed aveva come unico intento l’abbattimento del socialismo, come lo stesso Togliatti scrisse in un articolo intitolato “Sui fatti di Ungheria”, nel quale la rivolta veniva considerata una vera e propria controrivoluzione organizzata volontariamente da forze nemiche estere. Inoltre, in questo schema interpretativo era presente un richiamo al passato che serviva a paragonare i rivoltosi al regime autoritario di Horthy che aveva posto fine all’esperienza della repubblica sovietica ungherese di Bela Kun.

Questa specifica interpretazione a favore dell’intervento armato dell’URSS, segnò una crepa insanabile con il PSI guidato da Nenni che, invece, sostenne apertamente gli insorti. La rottura ufficiale tra i due principali partiti della sinistra italiana avvenne nel XXXII congresso del partito socialista nel quale Nenni proseguì nella sua ferma condanna della repressione sovietica e quindi del PCI. Questo distacco dall’orbita comunista ebbe delle ripercussioni fondamentali per la storia d’Italia, in quanto segnò parallelamente l’avvicinamento del partito socialista alla DC che si concretizzò con l’esperienza del centrosinistra degli anni sessanta.

Inoltre, anche alcuni membri del partito e soprattutto molti intellettuali comunisti considerarono la repressione armata un atto inaccettabile e in aperto contrasto con i valori fondamentali del comunismo. Tale dissenso e spaesamento degli intellettuali legati al partito, portò alla formulazione del Manifesto dei 101. Lo scopo di questo documento era quello di avviare una discussione sui tragici fatti di Ungheria al fine di rivedere l’interpretazione ufficiale considerata errata. Veniva chiesta anche una dura presa di posizione nei confronti dello stalinismo in seguito alle rivelazioni fatte successivamente al XX congresso del PCUS. In realtà, questa iniziativa fu fortemente osteggiata dal PCI che decise di non accettare le richieste di pubblicazione del documento sull’Unità. Il partito ufficialmente non ritrattò mai la sua presa di posizione sulla rivoluzione ungherese, ma decenni dopo alcuni suoi massimi esponenti come Ingrao e Napolitano fecero pubblica ammenda per criticare l’appoggio incondizionato del PCI all’intervento armato sovietico.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- “La rivoluzione ungherese del 1956 e l’Italia”, a cura di Andras Fejerdy

- “Ungheria 1956, La rivoluzione calunniata”, F. Argentieri, Marsilio editore, 2006