di Lorenzo Balma

IL PARTITO D’AZIONE

"[...] una Costituzione tripartitica, di compromesso, molto aderente alle contingenze politiche dell'oggi e del prossimo domani. E quindi poco lungimirante"

Piero Calamandrei nel suo discorso alla Costituente nella seduta del 4 marzo 1947

Unica nuova forza del panorama politico italiano all'indomani della fine della seconda guerra mondiale, il Partito d'Azione ebbe vita assai breve all'interno del nuovo sistema di partiti. Le elezioni per la Costituente segnarono già la morte del neonato soggetto politico (il partito si presentò già frantumato e non raggiunse il 2,5%), ma nonostante la sua prematura scomparsa, le pratiche e i metodi della politica e della morale azionista accompagnarono l'Italia e la sua classe dirigente per tutta la prima Repubblica.

L'esperienza azionista traeva ispirazione dai valori espressi nella Resistenza e i suoi militanti divennero figure di spicco della vita politica italiana: da Calamandrei a La Malfa, da Foa a Parri (che fu peraltro il primo Presidente del Consiglio eletto nel 1945, tutti erano accomunati dall'idea di vivere la politica come una professione.

Il pensiero politico ed economico azionista era un'unione tra principi liberisti e collettivisti, risultato del processo di revisione delle diverse esperienze della sinistra occidentale del primo Novecento. I suoi esponenti erano favorevoli al nuovo paradigma liberale di orientare l'evoluzione della nuova società attraverso la costruzione di un’economia di mercato, che aveva come scopo primario, oltre che procurare benessere diffuso, quello di superare il partito totale, incarnato dal fascismo.

La specificità del Partito d'Azione nel modo di intendere il politico (in un panorama occidentale sempre più secolarizzato) fu quella di trarre importanti lezioni dalle critiche alle esperienze euroamericane, spogliandole delle derive élitarie e antipopolari dei gruppi dirigenti, dimostrando un profondo interesse per la questione dell'uguaglianza civile e soprattutto sociale (motivo per cui l'azionismo diventò una delle anime della sinistra italiana, assieme al Pci e al Psi), che dovevano rappresentare le sfide della nuova società di massa.

La grande sfida, una volta finito il ventennio, fu cercare di trasporre i valori della Resistenza nella dimensione pubblica, creando una vera pedagogia civile che unisse gli italiani e creasse un codice etico condiviso, una cultura d'appartenenza. Occorreva costruire un'altra dimensione dello stare insieme, che non occultasse l'appena passata esperienza totalitaria, che fosse accompagnata da un mutamento dei paradigmi politici e liberata dalle cieche appartenenze. Solo in questo modo poteva avviarsi una nuova fase di eticità politica condivisa.

Sembrava quindi indispensabile, per dare inizio questa nuova morale, di ripartire dalle domande e dalle riflessioni sul recente passato, per evitare ogni possibile mitizzazione del popolo (parte del quale si era riscattato durante la Resistenza) e per evitare che si cercasse di sfuggire agli errori che portarono al fascismo.

Bisognava rifiutare a tutti i costi l'”heri dicebamus”, il "dicevamo ieri", ovvero riallacciarsi al discorso politico dal momento precedente alla genesi del fascismo, l'Italia liberale di inizio Novecento, ricominciando dove la storia era stata interrotta. Per gli azionisti questo avrebbe significato evitare di fare i conti con le colpe della vecchia classe dirigente che cercava di rilegittimarsi all'interno di un nuovo sistema, ma sopratutto avrebbe significato ignorare la sconfitta a livello etico da parte della popolazione.

Secondo diverse visioni storiografiche, il Partito d'Azione rappresentò la massima espressione dell'antifascismo esistenziale trasportato nel politico e nella figura stessa di politico nella società di massa, altresí venne descritto come apartitico, antipolitico, di fisionomia prepolitica, creando secondo questa narrazione una contrapposizione tra il tradizionale "partito delle tessere" e il "partito dei fucili".

Secondo Giovanni De Luna questa controversa dicotomia (tutti i partiti della resistenza allora dovrebbero essere considerati "partiti dei fucili") era paradossalmente quella che meglio esprimeva la natura del PdA rispetto alle ideologie di massa, alla quale opponeva un piano di inclusività democratica solo in una dimensione antifascista che lottasse contro il conservatorismo dei paradigmi post guerra.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

-La via italiana alla democrazia, Paolo Soddu, Editori Laterza;

-Storia del Partito d'Azione, Giovanni De Luna, UTET.