Il G8 di Genova

FILIPPO FRIGERIO
STORIE DELLA REPUBBLICA

IL G8 DI GENOVA

“Le scuse le devono chiedere in tanti, per i fatti commessi dalla polizia. Come le devono chiedere in tanti, per i fatti commessi dai manifestanti.”

(Antonio Di Pietro)

19-22 luglio 2001. Genova ospita il G8, il forum politico-economico che riuniva gli otto governi nazionali di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti d'America, oltre ai rappresentanti dell'Unione Europea.

Da un lato i capi di governo dei maggiori paesi industrializzati, dall’altro i movimenti no-global e le varie associazioni di protesta, separati dalle forze dell’ordine. Le manifestazioni di dissenso sfociarono in gravi tumulti di piazza, con scontri tra forze dell'ordine e manifestanti.

Fin dalla sua designazione, la sede di Genova per la riunione del G8 suscitò notevoli perplessità a causa della topografia della città, che mal si prestava a un evento di tale portata, inadatta a garantire una buona gestione della sicurezza e dell'ordine pubblico. Queste perplessità furono confermate: l’enorme numero di manifestanti e la conseguente mancanza di preparazione delle forze dell’ordine a gestire una tale situazione di emergenza portarono non solo al contatto fra i manifestanti e la forza pubblica, ma anche ad azioni che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato, sottolineando come, in quei giorni, siano state messe in atto pratiche di tortura e di trattamenti inumani e degradanti.

L’immagine di Genova in quei giorni è quella di una città messa in ginocchio dalla guerriglia urbana, ferita prima dal vandalismo e dalla violenza di strada e poi dalle azioni riprovevoli messe in atto da chi la città avrebbe dovuto difenderla nel nome della legalità.

Gli scontri e gli assalti alla polizia del pomeriggio del 20 luglio, durante i quali perse la vita Carlo Giuliani in Piazza Alimonda, furono solo l’inizio delle barbarie di cui furono testimoni i genovesi e che toccarono l’apice nel disgustoso assalto alla scuola Diaz e alla scuola Pascoli, nel quale le forze dell’ordine in tenuta antisommossa arrestarono e pestarono 93 giovani e giornalisti senza alcuna ragione. Le immagini di quei momenti mostrano muri, pavimenti e termosifoni macchiati di sangue; a nessuno degli arrestati venne comunicato di essere in arresto e dell'eventuale reato contestato, tanto che molti di loro scoprirono solo in seguito di essere stati arrestati per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, resistenza aggravata e porto d'armi. Nessuno degli arrestati fu poi condannato per tali reati.

Le persone fermate e arrestate durante i giorni della manifestazione furono in gran parte condotte nella caserma di Genova Bolzaneto, approntata come centro per l'identificazione dei fermati. In numerosi casi i fermati accusarono il personale delle forze dell'ordine di violenze fisiche e psicologiche e di mancato rispetto dei diritti degli imputati, quali il diritto a essere assistiti da un legale o di informare i parenti del proprio stato di detenzione; gli arrestati riferirono, inoltre, episodi di tortura e di un clima di euforia tra le forze dell'ordine per la possibilità di infierire sui manifestanti, riportando invocazioni a dittatori e a ideologie dittatoriali di matrice fascista, nazista e razzista, nonché minacce a sfondo sessuale nei confronti di alcune manifestanti.

I pubblici ministeri al processo contro le forze dell'ordine riguardo ai fatti della caserma Bolzaneto riferirono di persone “costrette a stare in piedi per ore e ore, fare la posizione del cigno e della ballerina, abbaiare per poi essere insultati con minacce di tipo politico e sessuale, colpiti con schiaffi e colpi alla nuca ed anche lo strappo di piercing, anche dalle parti intime. Molte le ragazze obbligate a spogliarsi, a fare piroette con commenti brutali da parte di agenti presenti anche in infermeria”.

A seguito degli eventi accaduti a Genova tra il 19 e il 21 luglio 2001, il Parlamento europeo approvò una "Relazione sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea" nella quale, tra l'altro, "deplora le sospensioni dei diritti fondamentali avvenute durante le manifestazioni pubbliche, e in particolare in occasione della riunione del G8 a Genova, come la libertà di espressione, la libertà di circolazione, il diritto alla difesa, il diritto all'integrità fisica" ed "esprime grande preoccupazione per il clima di impunità che sta sorgendo in alcuni Stati membri dell'Unione europea (Austria, Belgio, Francia, Italia, Portogallo, Svezia e Regno Unito), in cui gli atti illeciti e l'abuso della violenza da parte degli agenti di polizia e del personale carcerario, soprattutto nei confronti dei richiedenti asilo, dei profughi e delle persone appartenenti alle minoranze etniche, non vengono adeguatamente sanzionati ed esorta gli Stati membri in questione a privilegiare maggiormente tale questione nell'ambito della loro politica penale e giudiziaria".

Essere imparziali scrivendo del G8 di Genova non è facile, ma è necessario condannare tutto ciò che è accaduto in quei giorni, a prescindere dagli schieramenti che tali azioni hanno messo in atto. È necessario provare disgusto tanto dal lancio di molotov contro le vetrine dei negozi, dalla violenza ingiustificata e dalla distruzione di una città, quanto dall’abuso sconsiderato e codardo della forza messo in atto dalla polizia.

Il ricordo di quei giorni deve rimanere vivo nella memoria come monito, per comprendere come sia facilmente valicabile la linea che separa la dignità umana e il rispetto sociale da comportamenti barbari e disumani conditi dalla codardia e dalla brutalità.