Il "centrismo" degasperiano

ANDREA BERNABALE
STORIE DELLA REPUBBLICA

il centrismo degasperiano

«La fine di De Gasperi è la fine di un’epoca: con lui finisce un’epoca e ne comincia un’altra non certamente migliore»

(Indro Montanelli)

Fase caratterizzante del sistema politico italiano dal 1947 al 1962, il centrismo fu una formula politica congegnata dal leader democristiano Alcide De Gasperi per escludere le frange più estreme del sistema dall’esercizio del potere esecutivo.

Per circa quindici anni, infatti, la risorta democrazia italiana fu governata ininterrottamente da governi sostenuti dai principali quattro partiti di centro (Democrazia Cristiana, Partito Liberale Italiano, Partito Repubblicano e Partito social-democratico) che escludevano dal governo i partiti collocati alla loro destra e sinistra, istituendo una tacita “conventio ad excludendum” nei loro riguardi.

Questa formula politica si fonda su una lettura tripolare del sistema partitico italiano: a destra venivano collocati i monarchici e i neo-fascisti, a sinistra i socialisti e comunisti, mentre al centro il quadripartito guidato dalla DC. In tale visione, solo i partiti di centro erano legittimati a governare, in quanto gli altri due poli venivano considerati “nemici” del sistema democratico.

A destra, i missini raccolgono l’eredità dell’esperienza fascista e i monarchici, per loro stessa definizione, si oppongono all’istituto repubblicano in favore di quello monarchico uscito sconfitto nel referendum del 2 giugno 1946; a sinistra, invece, PSI e PCI per i loro legami ideologici con il comunismo e la fedeltà a Mosca non rendono garanzie alla democrazia e non possono onorare l’alleanza atlantica.

Questa forte polarizzazione rende, pertanto, i termini “centrismo” e “governo” come sinonimi, dal momento che i governi erano retti da sole coalizioni di centro che rappresentavano un equilibrio tra i due poli estremi e tra loro antagonisti.

La formula centrista fu artefice di notevoli successi - sul piano delle riforme - nell’Italia del dopoguerra: dall’economia al sociale, pose le basi per il cosiddetto “miracolo economico” italiano.

La prima grande riforma fu quella fondiaria che eliminò i latifondisti e ridusse il peso dei grandi agrari, favorendo invece i ceti medi agricoli. Un’altra riforma istituì la Cassa per il Mezzogiorno (1950), finanziata congiuntamente dallo Stato italiano e dai fondi americani del piano Marshall. La Cassa permise la realizzazione di opere pubbliche nel meridione (strade, acquedotti, irrigazione ecc..) per un totale di circa 170mila progetti approvati dal 1950 al 1960. Tuttavia, l’assenza nel Mezzogiorno di una solida tradizione imprenditoriale e la resistenza degli industriali settentrionali a investire in regioni ancora arretrate nei servizi, rese impossibile l’industrializzazione del meridione e l’auspicato investimento privato.

Dal 1948 al 1953, il reddito nazionale salì a ritmi incalzanti e la produzione registrò indici prima di allora sconosciuti ed inimmaginabili. Non era ancora il “boom” degli anni ‘60 ma di certo si posero le basi che lo resero possibile.

Tuttavia, il grande sviluppo degli anni ‘50 aveva anche dei limiti: interi settori dell’economia italiana ne erano esclusi e vertevano ancora in condizioni di sottosviluppo. Tale spaccatura non fece altro che determinare un’Italia a due velocità, caratterizzata da grandi disparità ed eccessiva disoccupazione che portò ad emigrazioni di massa (circa 150mila persone all’anno).

Nonostante il rapido sviluppo industriale degli anni ‘50, l’Italia rimaneva un paese povero e arretrato, specialmente nel Mezzogiorno e nelle isole.

A fare tesoro, in termini elettorali, delle difficoltà sociali ed economiche furono senz’altro i partiti di sinistra che inneggiavano il modello delle democrazie popolari dell’Est Europa.

Al fine di tenere “bloccato” il sistema politico, nel 1953 fu approvata una nuova legge elettorale che attribuiva il 65% dei seggi alla Camera alla coalizione che avesse superato il 50% dei voti alle elezioni. Tale legge, fu ribattezzata dalle sinistre come “legge truffa”.

Il bonus di maggioranza, in realtà, non riuscì mai ad essere attribuito, in quanto nessuna coalizione raggiunse il 50% dei voti.

Col passare degli anni, la formula centrista finisce per esaurirsi a causa dell’indebolimento elettorale dei partiti di centro, creando un netto divario tra area di governo e area di rappresentanza. Si rese necessario, perciò, allargare le basi della maggioranza eliminando la conventio ad excludendum nei confronti dei socialisti che, rompendo con il PCI e con Mosca, entrano nella coalizione di governo e iniziano a cooperare con la DC.

Si crea così un nuovo equilibrio che segna la fine del centrismo e l’inizio dei governi di centro-sinistra retti dal nuovo quadripartito Dc-Psi-Psdi-Pri, diventato poi pentapartito negli anni ‘80 con l’aggiunta del Pli. Sul PCI continuerà invece a pesare la conventio ad excludendum, rendendo impossibile - fino alla sua dissoluzione - la costituzione di un governo comunista in Italia.