l'assassinio di martin l. king jr.


SESSANTOTTOGIACOMO TOMMASI
- 4 aprile 1968 -

«Come chiunque, mi piacerebbe vivere una lunga vita; la longevità ha la sua importanza. Ma ora non mi preoccupo di questo. Voglio soltanto fare la volontà di Dio. E lui mi ha concesso di salire sul monte. E ho guardato in basso e ho visto la Terra Promessa. Potrei non raggiungerla insieme a voi. Ma voglio che sappiate questa sera che noi, in quanto popolo, ci andremo. Sono così contento, questa sera. Non sono preoccupato di nulla, non temo nessun uomo. I miei occhi hanno visto la gloria della venuta del Signore».

(Da “I’ve been to the Mountaintop” di Martin Luther King Jr, 3 aprile 1968, Memphis, TN).

Nel 1968 Martin Luther King era già considerato un’icona. Pastore battista, padre e leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani negli Stati Uniti, era l’uomo che aveva guidato le più celebri marce e manifestazioni in difesa dell’uguaglianza e della libertà della minoranza afroamericana e non solo.

Nel 1955 fu tra i principali organizzatori dello sciopero dei mezzi pubblici di Montgomery, Alabama, che seguì alla protesta pacifica di Rosa Parks e portò alla sospensione della separazione dei posti sui mezzi pubblici in base alla razza; subito dopo, insieme all’attivista Ralph Abernathy, fondò la Southern Christian Leadership Conference (SCLC), un’organizzazione con lo scopo di coordinare e dare una piattaforma al movimento per i diritti dei neri, fino ad allora disgregato tra le comunità religiose delle varie città; nel 1963 il reverendo pronunciò il suo discorso più celebre durante la marcia di Washington di fronte ad una folla di circa 300.000 partecipanti e nel 1964 fu insignito del Premio Nobel per la Pace.

Martin Luther King fu, però, molto di più di questo. Dedicò anima e corpo, ogni giorno, ad essere vicino alla sua gente, e ovunque nel Paese fossero in atto proteste o lotte per i diritti della minoranza afroamericana, lui non mancò di dare il suo contributo, offrire le sue parole di incoraggiamento, di speranza e, soprattutto, di non-violenza.

Il suo più grande merito fu quello di ridare speranza e futuro a milioni di persone, far comprendere a bambini, studenti, donne e uomini afroamericani di ogni età che avevano il diritto di reclamare una condizione di vita migliore. Ma non solo: egli fu capace di unire e coordinare i numerosissimi movimenti attivi nel Paese, ricercando unità di intenti tra le diverse azioni di boicottaggio dei mezzi pubblici, i sit-in degli studenti neri a Greensboro in North Carolina, la marcia dei Freedom Riders da Washington D.C. fino al Deep South degli Stati Uniti, le manifestazioni di Birmingham in cui marciarono persino i bambini delle scuole elementari e medie, la Freedom summer in Mississipi e, infine, la celebre marcia di Selma, Alabama.

Nel 1968, trascorsi ormai alcuni anni dai momenti più caldi della lotta per i diritti civili, Martin Luther King non cessò, tuttavia, di occuparsi dei deboli, delle minoranze povere nel Paese e non mancò di schierarsi duramente contro il conflitto in Vietnam e contro la condizione dei lavoratori negli Stati Uniti.

Fu per questa ragione che in seguito alla morte, il primo febbraio 1968, di due netturbini afroamericani di Memphis, morti schiacciati dal camion dei rifiuti durante il turno di lavoro, King decise di raggiungere Memphis dove nel frattempo era stato organizzato uno sciopero degli operai della nettezza urbana per protestare contro le condizioni di lavoro e le discriminazioni salariali imposte dall'allora sindaco razzista Henry Loeb.

Il 3 aprile, decise di tornare a Memphis per stare nuovamente vicino alla sua gente, e scelse di alloggiare, come sempre aveva fatto, al Lorraine Motel, un rifugio sicuro, in teoria, per i viaggiatori neri e i visitatori di Memphis. Il motel, infatti, era inserito in “The Negro Motorist Green Book”, noto anche come la Green Guide, una raccolta di hotel, ristoranti, distributori di benzina, istituti di bellezza, barbieri e altre attività, considerati luoghi sicuri e accoglienti per gli afro-americani durante l’era di Jim Crow. Purtroppo, quella volta, non fu così.

Dopo una giornata trascorsa in testa alla marcia degli operatori sanitari della città, poi conclusasi tristemente con scontri con la polizia che portarono alla morte di un ragazzo afroamericano, King, seppur stanco e affaticato, decise di recarsi ugualmente al tempio del vescovo Charles J. Mason, per non deludere i suoi fedeli riuniti per ascoltare le sue parole di incoraggiamento e amore. Il reverendo King tenne così in quell’occasione il discorso “I've been to the Mountaintop” che sarebbe diventato famoso e ricordato per sempre oltre che per la sua profondità, per i suoi toni fortemente premonitori.

Infatti il giorno seguente King, mentre alloggiava al Lorraine Motel assieme ad altri attivisti storici come Ralph Abernathy, poco prima delle 18, uscì sul balcone della camera 306 al secondo piano e si fermò a parlare con gli amici che si trovavano nel parcheggio sottostante. Chiese al sassofonista Ben Branch di suonare "Take My Hand, Precious Lord" al raduno che si sarebbe tenuto quella sera in una chiesa locale. Tuttavia, mentre King si voltò per tornare nella sua stanza, un proiettile lo colpì al collo, togliendogli la vita all'istante.

La notizia del suo assassinio accese disordini e proteste in tutto il Paese, provocando la morte di 39 persone. Decine di città furono attraversate da manifestazioni violente. In particolare, Washington, Baltimora e Chicago furono messe a ferro e fuoco. Si rese necessario, per placare le rivolte, persino un appello alla calma da parte dello stesso Presidente Lyndon Johnson, presidente che nel 1964 aveva firmato il Civil Rights Act con il quale aveva dichiarato illegali la segregazione e le discriminazioni negli Stati Uniti. Lo stesso Johnson, inoltre, annunciò un giorno di lutto nazionale il 7 aprile.

I funerali si svolsero ad Atlanta, sua città natale, prima alla Ebenezer Baptist Church, poi al Morehouse College, dove King fu trasportato in un carretto di legno trainato da due muli della Georgia, un tributo alla lotta contro la povertà a cui stava dedicando l'ultima fase della sua vita.

Nel suo epitaffio ancora oggi si può leggere: «Free at last» (“finalmente libero”).

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- Howell Raines, “My Soul is rested”, Penguin Books;

- ”Where Do We Go from Here: Chaos or Community?”, Martin Luther King Jr.;

- “The Trumpet of Conscience”, Martin Luther King Jr.