Il Sessantotto

FILIPPO FRIGERIO
SESSANTOTTO

IL SESSANTOTTO

«Una rivolta è in fondo il linguaggio di chi non viene ascoltato.»

(Martin Luther King)

Valle Giulia, 1968

Era l’1 marzo del 1968 quando, per la prima volta, la rivolta degli studenti arrivava sui titoli dei giornali e dei telegiornali: venne ribattezzata come la “battaglia di Valle Giulia“. In realtà, il ‘68 italiano era incominciato già dalla fine del 1967, con l’occupazione della Cattolica di Milano e di Palazzo Campana a Torino, ma ci vollero le cariche della polizia, il fuoco, le pietre, gli arresti e i feriti affinchè i media si accorgessero di cosa stava accadendo. In altre parole, era stata necessaria la violenza.

Il mese successivo, le stesse immagini aprivano i telegiornali tedeschi, con gli scontri di Berlino seguiti all’attentato contro Rudi Dutscke, leader del movimento studentesco tedesco. Fu poi la volta di Parigi, del maggio francese, della Sorbona in mano agli studenti con il Quartiere Latino in fiamme.

Nel frattempo, era iniziata al di là della “cortina di ferro” la Primavera di Praga, che porterà all’invasione sovietica della Cecoslovacchia, con i carriarmati che invasero Praga e il giovane Jan Palach che si diede fuoco nel cuore di Piazza San Venceslao. E ancora, la rivolta in Messico e il massacro di piazza delle Tre Culture, con gli studenti fucilati dagli elicotteri mentre il Paese si preparava ad ospitare i Giochi Olimpici, ricordati per il pugno destro avvolto nel guanto nero alzato da Tommie Smith e John Carlos nel saluto del Black Power, durante la premiazione dei 200 metri. Fu un gesto che faceva seguito all’esplosione della rivolta sociale successiva all’assassinio di Martin Luther King, avvenuto a Memphis il 5 aprile 1968.

Dall’altra parte del mondo, a completare il panorama storico di quell’anno, l’insurrezione degli Zengakuren giapponesi, con l’assedio alle basi americane, e la rivoluzione culturale cinese, con Mao Tze-Tung che dava l’illusione di una rivolta antiburocratica e libertaria. In sottofondo, il fragore della guerra in Vietnam, segno della immoralità e dell’ipocrisia Occidentale, con l’offensiva del Tet e le immagini di quella guerra che entravano nelle case di tutto il mondo.

Il Sessantotto fu, quindi, una prima anticipazione della globalizzazione in cui molti di noi sono nati e cresciuti. Fu l’inizio di una partecipazione di massa crescente alle lotte che i neri avevano cominciato a condurre contro la segregazione e le discriminazioni razziali, che porteranno alla nascita del Black Power o delle Pantere Nere; fu anche l’inizio del movimento pacifista, alimentato dal rifiuto per l’assurdità del conflitto vietnamita, con il boicottaggio del reclutamento, le diserzioni di massa e la comparsa dei veterani nelle manifestazioni contro la guerra; sancì, inoltre, l’affermazione del movimento femminista, che rappresentò probabilmente la critica più forte e riuscita del Sessantotto.

Tuttavia, il Sessantotto non fu una rivoluzione politica, in quanto non produsse particolari spostamenti negli assetti statali di alcuno Stato, e non fu una rivoluzione sociale, in quanto non si assistette ad alcun rovesciamento del rapporto di potere tra le classi. Fu però una rivoluzione culturale, antropologica e comportamentale, che mutò completamente il linguaggio pubblico e sociale.

Letture e approfondimenti:

Antisystemic movements - Giovanni Arrighi, Terence Hopkins, Immanuel Wallerstein;

Mai 68: La Brèche - Edgar Morin;

Vi odio, cari studenti - Pier Paolo Pasolini;

The Strawberry Statement: Notes of a College Revolutionary - James Simon Kunen.